LA CHIESA ARMENA

Ricordiamo che San Biagio di Sebaste nasce in Armenia

 

La Chiesa Armena può vantare un primato tra le antiche comunità cristiane:

l'Armenia, infatti, è stato il primo regno cristiano.

Su questo primato ci sono pochi dubbi fra gli studiosi, mentre resta discussa la questione della data, fissata dalla tradizione al 301, benché in realtà le ricostruzioni più accreditate posticipino l'evento di alcuni anni,

in piena età costantiniana, non oltre il 315 .

 

ARMENIA OGGI 2023

 

ARMENIA OGGI 2023 Antichissima Chiesa di S. Hisprine

 

NEI PRESSI DI EREVAN

 

La chiesa è in buono stato di conservazione e ricade come si vede dalle mappe, in territorio Armeno odierno.

Diversa sorte invece, è toccata ad altre chiese Armene in territorio che oggi appartiene alla Turchia.

 

 

La parte appena scavata della capitale Artachat con vista sul monte Ararat

( Hartak Movsissian )

Città dell'Armenia antica, fondata nel 189 a. C., su consiglio e direzione di Annibale, dal generale di Antioco III di Siria, Artaxia, che per qualche tempo assunse anche il titolo di re d'Armenia. Essa sorgeva nel territorio dell'Ararat, sul fiume Arasse, in una forte posizione su una penisoletta congiunta da un istmo fortificato alla terra (odierne rovine presso Erivan, fra Tovin e Aralik). Capitale del regno armeno, si arrese nel 58 d. C. a Corbulone, che, non avendo forze sufficienti per presidiarla, la incendiò e rase al suolo. Nel 66 Tiridate, proclamato re d'Armenia da Nerone, la ricostruì con l'aiuto di maestranze italiche e la ribattezzò col nome di Neroneia, che però non sostituì nell'uso l'antico. È menzionata ancora da Ammiano Marcellino e nella Tabula Peufingeriana col vecchio nome.

MAPPA DELL' ARMENIA I - IV Sec.

MICHAELIS LE QUIEN

ECCLESIÆ, PATRIARCHE, CÆTERIQUE PRÆSULES TOTIUS ORIENTIS

( 1740 )

( si noti la complessità e suddivisione del grande territorio Armeno )

 

 

SEBASTE CATTEDRALE S. MADRE DI DIO

( fotografia di fine '800 )

(n.d.r.)

(da notare i due minareti in lontananza, sia a sinistra che a destra)

 

Nel 2015 Papa Francesco riconosce per la prima volta da parte della Chiesa Romana il genocidio del popolo Armeno.

 

 

Il cristianesimo armeno

Dalla prima evangelizzazione alla fine del IV secolo

Enciclopedia Costantiniana (2013)

di Riccardo Pane

 

A oriente della penisola anatolica, in una vasta area compresa fra il mondo greco, quello siriaco e quello iranico, sorge la civiltà armena. Parliamo di civiltà, perché nel corso dei secoli gli armeni sono stati divisi sotto differenti dominazioni e hanno conosciuto più di una persecuzione.

 

IL TERRITORIO ARMENO NEL IV SECOLO

 

E' necessario chiarire che cosa si intenda dal punto di vista geografico con il termine Armenia .

Gli armeni vivono infatti in un vasto territorio, i cui confini sono abbastanza indeterminati, diviso fra giurisdizioni e signorie diverse, che tendono a variare nel corso dei secoli in esame.

 

Il nucleo principale è costituito dalla cosiddetta Grande Armenia , sulla quale regna a partire dal I secolo a.C. la dinastia artasside, seguita da quella arsacide.

Nel 66 d.C. il re Tiridate I si recò a Roma per essere incoronato dall'imperatore Nerone, ricevendo un'accoglienza d'onore che sancì il protettorato di Roma sull'Armenia .

In una data compresa tra il 383 e il 388 (il 387 per la maggior parte degli storici), l'imperatore Teodosio e il re sasanide Shabur III misero fine alle contese secolari sul regno arsacide della Grande Armenia dividendoselo, e lasciando una parvenza di potere a due rappresentanti delle dinastie locali.

Benché la parte toccata ai romani occupasse circa un quinto dell'antico dominio arsacide, essa permetteva loro di far avanzare la frontiera dell'Impero verso est, superando il limite dell'Eufrate, imposto da secoli a partire da Augusto.

Il confine scendeva dalla regione di Teodosiopoli (oggi Erzurun) fino a Dara in Mesopotamia, a nord-ovest di Nisibi.

Il nuovo  limes  venne fortificato nel VI secolo da Giustiniano.

Questa parte acquisita eredita talvolta il nome di Grande Armenia, mentre la parte rimasta sotto l'influenza persiana prende anche il nome di Persarmenia.

Nella porzione persiana la dinastia arsacide si mantenne fino al 428; nel lato imperiale, invece, solo fino al 390 .

A ovest dell'Eufrate troviamo la cosiddetta Piccola Armenia, che faceva parte dell'Impero romano.

 

IN ROSSO LE CITTA' ARMENE III Sec. - Imp. Romano

 

Teodosio la divise in Armenia I e Armenia II alla fine del IV secolo, con Sebaste e Melitene come rispettive metropoli.

Entrambe avevano lo statuto di province amministrate da un  praeses, che dipendeva dal vicario della diocesi del Ponto.

Più a sud, lungo l'Eufrate orientale e al di là del Tigri, si trovano dei principati armeni autonomi, il più noto dei quali è la Sofene. Essi furono in parte acquisiti dall'Impero romano in seguito alla pace di Nisibi del 299, con lo statuto di  civitates liberae et immunae , e ritornarono alla Persia dopo il 363 . Altri resistettero fino alla riorganizzazione giustinianea.

 

 

CONSIGLIO DI NICEA

anno 325

 

Il Concilio di Nicea  è il primo Concilio Ecumenico, cioè a dire, universale, in quanto parteciparono vescovi di tutte le regioni dove ci fossero cristiani . Ebbe luogo quando la Chiesa poté godere di una pace stabile e disponeva di libertà per riunirsi apertamente.

Si svolse dal 20 maggio al 25 luglio dell'anno 325.

 

NICEA NELLE VICINANZE DI COSTANTINOPOLI

 

Ad esso parteciparono alcuni vescovi che avevano nei loro corpi i segni dei castighi che avevano sofferto per mantenersi fedeli alle persecuzioni passate, che ancora erano molto recenti.

L'imperatore Costantino, che all'epoca non si era ancora battezzato, facilitò la partecipazione dei vescovi, mettendo a loro disposizione i servizi delle poste imperiali perché facessero il viaggio, e offrendo loro ospitalità a Nicea di Bitinia, vicino alla sua residenza di Nicomedia.

Di fatto, considerò molto opportuna questa riunione, giacché dopo aver ottenuto con la sua vittoria contro Licinio nell'anno 324 la riunificazione dell'Impero, desiderava anche vedere unita la Chiesa, che in quei momenti era scossa dalla predicazione di Ario, un sacerdote che negava la vera divinità di Gesù Cristo.

Dall'anno 318 Ario si era opposto al suo vescovo Alessandro di Alessandria, e fu scomunicato in un sinodo di tutti i vescovi d'Egitto. Ario fuggì e andò a Nicomedia, presso il vescovo Eusebio, suo amico.

Fra i Padri Conciliari si contavano le figure ecclesiastiche più rilevanti del momento. C'era Osio, vescovo di Cordova, che probabilmente presiedette le sessioni. Erano presenti anche Alessandro di Alessandria, assistito dall'allora diacono Atanasio, Marcello di Ancira, Macario di Gerusalemme, Leoncio di Cesarea di Cappadocia, Eustachio di Antiochia, Spiridione di Trimitonte e alcuni presbiteri in rappresentanza del Vescovo di Roma, che non poté assistere a causa della sua avanzata età. Non mancarono neanche i sostenitori di Ario, come Eusebio di Cesarea, Eusebio di Nicomedia e altri ancora. In totale i vescovi partecipanti furono circa trecento.

I sostenitori di Ario, che contavano anche delle simpatie dell'imperatore Costantino, pensavano che al momento di esporre i loro punti di vista la assemblea avrebbe dato loro ragione. Tuttavia, quando Eusebio di Nicomedia prese la parola per dire che Gesù Cristo non era che una creatura, sebbene molto eccelsa ed eminente, e che non era di natura divina, la immensa maggioranza degli assistenti notarono subito che questa dottrina tradiva la fede ricevuta dagli Apostoli. Per evitare così gravi confusioni i Padri Conciliari decisero di redigere, sulla base del credo battesimale della Chiesa di Cesarea, un simbolo di fede che riflettesse in modo sintetico e chiaro la confessione genuina della fede ricevuta e ammessa dai cristiani dalle origini. Si dice in esso che Gesù Cristo è “della sostanza del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato,  homoousios tou Patrou  (consustanziale al Padre)”. Tutti i Padri Conciliari, eccetto due vescovi, ratificarono questo credo, il Simbolo Niceno, il 19 giugno dell'anno 325.

Oltre a questa fondamentale questione, a Nicea si fissò la celebrazione della Pasqua nella prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, seguendo la prassi abituale della Chiesa di Roma, e molte altre cose. Furono pure trattate alcune questioni disciplinari di minore importanza, relative al funzionamento interno della Chiesa.

Per quello che si riferisce al tema più importante, la crisi ariana, poco tempo dopo Eusebio di Nicomedia contando con l'aiuto di Costantino ottenne di tornare alla sua sede, e lo stesso imperatore ordinò al vescovo di Costantinopoli che ammettesse Ario alla comunione. Frattanto, dopo la morte di Alessandro, Atanasio era subentrato all'episcopato in Alessandria. Fu una delle maggiori figure della Chiesa in tutto il secolo IV, e difese con grande altezza intellettuale la fede di Nicea, ma proprio per questo fu inviato in esilio dall'imperatore.

Lo storico Eusebio da Cesarea, anche lui vicino alla tesi ariana, esagera nei suoi scritti l'influenza di Costantino nel Concilio di Nicea. Se si disponesse soltanto di questa fonte, si potrebbe pensare che l'imperatore, oltre al pronunciare alcune parole di saluto all'inizio delle sessioni, fu protagonista della riconciliazione degli avversari e della restaurazione della concordia, imponendosi anche nelle questioni dottrinali al di sopra dei vescovi che partecipavano al Concilio. Si tratta di una versione distorta della realtà.

Seguendo tutte le fonti disponibili si può dire, certamente, che Costantino propiziò la celebrazione del Concilio di Nicea e influì nel fatto della sua celebrazione, prestando tutto il suo appoggio. Tuttavia, lo studio dei documenti mostra che l'imperatore non influì nella formulazione della fede che si fece nel Credo, perché non aveva capacità teologica per dominare le questioni che lì si dibattevano.

 

I PRIMI DISSIDI TRA LE DIVERSE CHIESE

Concilio di Calcedonia 451 d.C


Il quarto concilio ecumenico, che inaugurò l'epoca degli scismi fra le diverse Chiese ed ebbe luogo (451 d.C.) nell'antica città della Bitinia (odierna Kadiköy, quartiere di Istanbul) sulla costa asiatica del Bosforo, fondata da Megara nel 7° sec. a.C.

I personaggi principali furono: Eutiche, archimandrita di un monastero di Costantinopoli, che professava una cristologia di tipo monofisita; Leone, vescovo di Roma, e Domno, vescovo di Antiochia, sostenitori della dottrina delle due nature in Cristo; Dioscoro, patriarca di Alessandria, favorevole a Eutiche; Marciano, schierato coi «difisiti».

La formula conclusiva attribuiva al Cristo due nature unite, inconfuse, inconvertibili, inseparabili; si apriva così un contrasto insanabile tra le comunità monofisite di Egitto, Siria e Armenia, e la Chiesa di Roma e Costantinopoli.

 

In Armenia nasce un'altra grande figura storica, che ancora oggi, grazie all' Ordine Monastico da lui creato

prosegue un lavoro di ricerca della verità storica sulle prime comunità Cristiane.

 

Abate Mechitar

  MECHITAR DI SEBASTE

 Il 7 febbraio 1676 nasce a Sebaste degli Armeni (Sivas) Pietro Manuk,

che entra quindicenne nel monastero di Surp Nshan (“Santo Segno”, vale a dire Santa Croce), assumendo il nome di Mechitar (Mkhitar, in armeno  consolatore ).

 

Pietro Manuk (MECHITAR )

 

Negli anni giovanili di formazione, peregrinando di monastero in monastero, Mechitar matura le linee essenziali del proprio carisma personale.

Nel 1692, assorto in preghiera nel monastero dell'isola di Sevan, ha la visione della Vergine Maria, che dà l'impulso decisivo alla sua missione.

Nel 1696 Mechitar è ordinato sacerdote e nel 1698 è insignito del grado dottorale di  vardapet , mentre prende forma in lui l'idea di dar vita ad un Ordine di ieromonaci, dotti predicatori al servizio del popolo armeno, per la sua elevazione spirituale e culturale.

 

Nel 1700, Mechitar, animato da un profondo senso del valore dell'unità della Chiesa, fonda la Congregazione monastica che dopo la sua morte assumerà il nome di Mechitarista.

Sospettato e coinvolto nelle persecuzioni contro i cattolici a Costantinopoli, l' 8 settembre 1701

 – giorno della Natività di Maria –

riunisce i discepoli e decide di trasferirsi a Modone, all'epoca nel dominio veneziano, al riparo dai contrasti confessionali della capitale ottomana, e vi edifica un monastero con una chiesa.

Durante la permanenza a Modone, nel  1711  la Chiesa di Roma approva le costituzioni del suo Istituto che riconoscerà con il nome di  Congregazione dei monaci armeni riformati di S. Antonio Abate .

A Modone Mechitar conosce eminenti personalità veneziane, quali l'ammiraglio Alvise Sebastiano Mocenigo, poi doge (1722-1732), e il governatore della Morea Angelo Emo, che gli apriranno la strada per Venezia, che raggiungerà nel 1715 dovendo lasciare Modone a causa della conquista ottomana della penisola greca.

Nella città lagunare verrà ospitato con i suoi confratelli dapprima in una casa adiacente alla chiesa di San Martino, nei pressi dell'Arsenale, in attesa di una definitiva sistemazione, che avverrà due anni dopo con l'assegnazione dell'isola di San Lazzaro.

 

ISOLA DI SAN LAZZARO VENEZIA

 

Mechitar fa ingresso a San Lazzaro l' 8 settembre 1717 , nel giorno anniversario della fondazione della Congregazione, e pianifica una paziente opera di risanamento degli edifici esistenti, a cominciare dalla chiesa trecentesca, mentre progetta e avvia l'edificazione del nuovo complesso monastico, che procederà fino al 1740.

Appena stabilitosi a San Lazzaro, Mechitar avvia un'intensa attività editoriale, spendendosi egli stesso in una diffusa opera di traduzione e composizione di testi, e contemporaneamente inaugura, con il benestare della Congregazione di Propaganda Fide, le missioni dell'Ordine per gli armeni in Oriente.

Muore il  27 aprile 1749  e viene sepolto nel presbiterio della chiesa di San Lazzaro.

Decisivo il contributo alla  rinascita linguistica e letteraria , giacché la Congregazione si profonde, sin dai primi tempi, nell'attività di ricerca testuale sui classici e la loro diffusione attraverso l'edizione di traduzioni di alto profilo critico e filologico, attività supportata da uno studio comparativo delle lingue e letterature antiche e moderne.

A questo sforzo filologico e critico si accompagna un'intensa opera di creazione poetica.

Ma il contributo propriamente letterario dei Mechitaristi si esplica nel recupero dello spirito classico che permette,

grazie a una sapiente opera di composizione e traduzione di testi classici in  grabar , una graduale epurazione delle incrostazioni linguistiche fino al  recupero dell'armeno classico nello stato prossimo alla purezza originaria dei primi secoli dell'evangelizzazione.

Non a caso, tra le opere più significative del Fondatore vi è una grammatica della lingua armena classica, strumento indispensabile per la comprensione e lo studio della lingua armena che i sistemi di stampa permettevano di diffondere.

L'Abate Mechitar, che nel 1733 pubblicò una nuova edizione della  Bibbia ,alla quale dedicò lunghi anni di cura, compilò pure il  primo Dizionario della lingua armena , che fu pubblicato a poche settimane dalla sua morte, nel 1749, e col quale l'armeno divenne la sesta lingua al mondo a disporre di un dizionario moderno.

I successori di Mechitar riediteranno e amplieranno il Dizionario del Maestro, pubblicando nel 1836 - 1837 il nuovo Dizionario della lingua armena classica, considerato sino ad oggi il massimo e definitivo lavoro sulla lingua antica.

I Mechitaristi si sono distinti anche per un' attività cartografica  che raccoglie un'eredità cara agli armeni nel mondo, da secoli mercanti e viaggiatori.

Due dei discepoli di Mechitar, Padre Ignatios e Padre Zacaria, si affinarono nell'arte dell'incisione del rame e della cartografia, il cui massimo esponente sarà Padre Yeghia Endazian: le sue incisioni e le mappe dell'Armenia possono competere in qualità con i grandi maestri cartografi veneziani dell'epoca.

Nella sua prolifica attività, il contributo della Congregazione alla rinascita culturale armena si avvale anche della felice complementarità delle due ‘anime' di  Venezia e Vienna , che si integrano e completano a vicenda con un ‘taglio' peculiare a ciascuna che le contraddistingue: più marcatamente umanistico e artistico-letterario nella prima, più scientifico e rigorosamente filologico per la seconda, pur se entrambe coltivano la totalità delle discipline, in una prospettiva di comprensione enciclopedica della cultura umana.

 

Anno 1201, i primi trattati tra i Dogi e i Re d'Armenia

I rapporti commerciali, culturali e diplomatici tra  Venezia  e l' Armenia  sono molto stretti sin dalle origini  bizantine  di Venezia.

Anzi si può dire che nelle lagune che videro il sorgere di Venezia e della sua potenza, gli armeni erano già di casa, perché armeni erano molti funzionari dell' Impero Romano d'Oriente , da cui dipendevano Ravenna e le lagune venete.

L'impero commerciale di Venezia ha fondato le proprie fortune sugli scambi con l' Oriente.

Il primo trattato commerciale tra  Venezia  e il Regno d' Armenia   è firmato dal  Doge Enrico Dandolo  e dal Re Levon I nell'anno 1201.

Venezia, a quell'epoca, era già di gran lunga il primo partner commerciale della Cilicia armena (l'ex provincia romana nel Sud della Turchia, che guarda l'isola di Cipro), e nella città di Manistra, allora fiorentissima e poi ridotta in decadenza dal dominio ottomano, la Serenissima aveva fondaci e quartieri con migliaia di residenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AGIOGRAFIA e PALEOGRAFIA

AGIOGRAFIA

La necessità di difendere il  culto  dei santi dagli attacchi dei protestanti, insieme con il sorgere dell'erudizione storica, indusse allo studio critico dei documenti riguardanti martiri, confessori ecc., distinguendo quelli attendibili da quelli leggendari.

Nacque così l'Agiografia critica, o scientifica, per  opera  soprattutto della Società dei Bollandisti, fondata in  Belgio  nel sec. 17° da J. Bolland , che raccoglieva il gruppo di  Gesuiti  editori degli  Acta Sanctorum ( Vita dei Santi )

 

PALEOGRAFIA

Paleografia : Disciplina storica che studia le testimonianze scritte del passato, di qualsiasi tipo ed epoca, e i contesti socioculturali del loro uso, ricostruisce la storia delle forme grafiche, le decodifica, le data e le localizza mediante lo studio delle tecniche esecutive e il confronto fra diversi esempi.

( fonte enciclopedia Treccani )

 

A.I.S.S.C.A.

A tal proposito si segnala che in Italia è presente questa Associazione di Ricercatori specializzata proprio nello studio della Santità dei Culti e dell' Agiografia.

 

Santità e agiografia prima del XIII secolo

( estratto da Simone Casaglia )

Nei primi secoli della storia del Cristianesimo, gli unici santi venerati dalla Chiesa, a eccezione degli Apostoli, di Maria e di Giovanni Battista, furono i martiri.

La loro santità, fu manifestata pubblicamente dalla perseveranza nella fede e dalla morte subita a causa di essa e venne riconosciuta e proclamata dalle Chiese a cui appartennero immediatamente: in questo periodo vigeva infatti l'assunto vox populi, vox Dei .

I martiri venerati, non erano stati canonizzati, come del resto non lo furono la maggior parte dei santi prima del XI secolo. (1)

La concentrazione quasi esclusiva della santità nella figura del martire, fece sì che la maggior parte dei testi agiografici, fino al VI secolo compreso, ebbero come protagonista un martire: esempio tipico furono le passioni e gli atti dei martiri, caratterizzati spesso, però, dal tratto meraviglioso e favoloso della narrazione, deducibile dal probabile sfruttamento di tradizioni popolari da parte degli agiografi. (2)

(1) Vauchez A., La sainteté en Occidente aux derniers siècles du Moyen Âge, Rome, École française de Rome, 1981 (trad. it. La santità nel Medioevo, Bologna, il Mulino, 1989), pp. 25-26

(2) Grégoire R., Manuale di agiologia: introduzione alla letteratura agiografica, Fabriano, Monastero San Silvestro abate, 1987, p. 27

 

Prima di Costantino, l'unico criterio che la Chiesa usava per riconoscere la santità era quello di aver confessato la fede in Cristo, rimanendo in essa irremovibili, fino alla morte.

A partire da Costantino, la tolleranza imperiale fece sì che i cristiani progressivamente si inserissero nella società del Basso impero: il clima spirituale ne risentì e così, dall'età dei martiri si entrò in quella dei confessori.

Si ebbe così un'estensione del concetto di santità: sia i martiri sia i confessori avevano il loro tratto caratterizzante nella confessione della fede , ma poiché nel caso di quest'ultimi essa non andava congiunta necessariamente con l'effusione di sangue, la santità si allargò e i primi beneficiari furono i grandi Padri della Chiesa.

Un altro impulso all'estensione della santità fu dato dalla stessa storia della Chiesa: il nascere dell'ascetismo, del monachesimo e di altre esperienze religiose fece sì che dal V-VI secolo tutte le esperienze di vita religiosa poterono dar vita a una fama sanctitas. (3)

All'evoluzione del concetto di santità, corrispose la stesura di nuovi testi agiografici: le Vitae Patrum, in cui il santo è sempre il protagonista di un incontro tra grazia e peccato, tra volontà divina e libero arbitrio dell'uomo peccatore. (4)

In epoca carolingia, la proliferazione della devozione dei santi che ebbe luogo a partire dal VI secolo, grazie alle prescrizioni contenute nei vari capitolari di Carlo Magno e Ludovico il Pio, fece crescere il controllo dei vescovi sulle devozioni locali, nel tentativo di arginare il fenomeno.

È da questo momento che anche nelle scritture agiografiche si manifesta il desiderio di una maggiore serietà critica, che rimpiazzi i racconti meravigliosi e favolosi dei martiri. Questo processo portò alla stesura dei primi martirologi generali. (5)

In epoca carolingia, tuttavia, l'agiografia, non si preoccupa di “esattezza storiografica”, perché il suo fine era altro: creare pellegrinaggi e accrescere l'entusiasmo popolare e, inoltre, educare i fedeli.

Nell'alto Medioevo, i testi agiografici ebbero, infatti, uno spiccato interesse didattico: furono “mezzi di istruzione catechetica” per citare Grégoire e i loro protagonisti erano presentati come eroi e modelli di virtù e di moralità. Obiettivo del lettore era, allora, imitare il santo, nel tentativo di raggiungere un certo equilibrio spirituale. (7)

(3) Vauchez A., La santità nel Medioevo, p. 27-28

(4) Grégoire R., Manuale di agiologia, p. 24

(5) Ibidem, p. 27-28

(7) Grégoire R., Manuale di agiologia, p. 29-31

 

Intanto, però, il rafforzamento del papato e la conseguente intromissione di esso negli affari del culto dei santi, fecero perdere ai vescovi il controllo sulla devozione locale dei santi.

Pian piano, dopo la presunta prima canonizzazione avvenuta a Roma nel 993 e che fece salire agli altari Ulrico, vescovo di Augusta (†973), si arriva alla definizione del processo di canonizzazione: «bisognò attendere gli inizi del secolo XI perché comparisse il termine canonizare in una lettera inviata da Benedetto VIII al conte di Mantova, con la quale lettera il papa ratificava il culto prestato a san Simone di Polirone: un eremita, morto nel 1016.

E l'uso di quel termine restò molto raro fin verso la metà del secolo XII» (8)

E infatti, in quest'epoca, l'approvazione da parte del papato di un culto già fiorito dalla devozione popolare, non venne cercata che per conferire a tale culto solamente un prestigio maggiore.

Soltanto i racconti di miracoli incontrano un continuo favore popolare, che sarà sottolineato poi dalle numerose traslationes di corpi santi inviati nelle nuove costruzioni ecclesiastiche disseminate dalla seconda metà del X secolo in poi».(9)

Questa considerazione dello studioso francese ci sottolinea ancor di più come il “favore popolare” fosse ancora così importante per la nascita di un culto devozionale nel primo Medioevo.

(8) Vauchez A., La santità nel Medioevo, cit. p. 34

(9) Grégoire R., Manuale di agiologia, cit. pp. 31-32

 

L' AGIOGRAFIA OGGI

La missione dei Padri Bollandisti oggi

I santi sono fonte di ispirazione , anche se alcuni possono appartenere più al regno del folklore o addirittura dell'invenzione .

Per venti secoli hanno influenzato il nostro mondo, la nostra cultura e il nostro pensiero in modi di cui poche persone si rendono conto.

I primi martiri le cui gesta hanno sostenuto generazioni di lettori, i grandi scrittori mistici, i pellegrinaggi e il commercio di reliquie , racconti di guarigioni prodigiose e altri miracoli: i santi hanno ispirato innumerevoli scrittori e artisti, i loro stessi nomi identificano città e villaggi in tutta Europa e in America, il loro patrocinio ispira ancora feste e processioni ovunque.

Per quasi quattro secoli i Bollandisti sono stati in prima linea nella ricerca agiografica .

Il nostro team di esperti, ora sia gesuiti che laici, si dedica esclusivamente allo studio critico delle fonti agiografiche greche, latine, orientali e moderne, nonché alla storia dei santi e dei loro culti in tutti i loro aspetti. Il laboratorio di quella ricerca è una biblioteca unica specializzata in quel campo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMPERATORI

DOMANDA : Ma perché ci sono tanti imperatori ?

In questo periodo Storico, l' Impero si definisce ad " Ordinamento Tetrarchico " per la presenza di un Governo che sovrintende alla gestione del territorio mediante la suddivisione dello stesso in < quattro parti >.

(n.d.r.)

Per maggiore chiarezza, possiamo dire che gli Augusto comandavano e promulgavano leggi, i Cesari avevano il compito di far rispettare dette leggi sui territori di loro competenza .

 

DOMANDA : Ma perché ci interessano queste notizie sugli imperatori ?

La conoscenza dell'avvicendarsi degli Imperatori Romani nel periodo storico in cui si colloca la morte di San Biagio è di fondamentale importanza per poter comprendere le cause Storiche del Martirio del Santo, che come si vedrà nel capitolo specifico " Martirio di San Biagio " avverrà in un' epoca Storica in cui è avvenuta la liberalizzazione dei " Culti Religiosi " e pertanto anche del " Cristianesimo ".

Inoltre, per definire l' anno del martirio in base alla presenza di questo o quell' Imperatore, il cui impero risulta ben documentato e datato dagli studi di Storia Romana .

 

Agicolao, con il titolo di Preside, ( come se fosse un Prefetto dei giorni nostri ) , va appunto collocato storicamente e associato al relativo Imperatore, altrimenti leggendo i testi originali, e qui sotto se ne riporta un frammento, non si capisce che cosa sta avvenendo.

ESTRATTO ORIGINALE ACTA SANCTORUM PAG. 350 DX

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL CULTO DEI SANTI

(n.d.r.)

Il culto dei Santi ( vedi anche Agiografia - con rif. al III e IV sec. ) è iniziato allorquando la Chiesa ha iniziato a costruire luoghi di culto, con l'intento di divulgare maggiormente la crescente nuova Religione.

Si riporta qui per comodità di ricordo quanto sopra citato nella Agiografia del III e IV sec.

La loro santità, fu manifestata pubblicamente dalla perseveranza nella fede e dalla morte subita a causa di essa e venne riconosciuta e proclamata dalle Chiese a cui appartennero immediatamente: in questo periodo vigeva infatti l'assunto vox populi, vox Dei .

E' documentato il lavoro fatto da Papa Damaso durante il suo Pontificato (366-384) per la ricerca delle tombe dei Martiri Cristiani a Roma, della edificazione di cattedrali e chiese sulle loro tombe, del lavoro chiesto a Filòcalo Furio Dionisio, Calligrafo (4º sec. d. C.) , di ornare con epigrafi marmoree dettate da Papa Damaso stesso, le tombe dei martiri .

 

San Damaso e la rappresentazione dei martiri romani nelle catacombe

Raffigurazioni di grazia e devozione

( di Fabrizio Bisconti )

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-12/quo-286/raffigurazioni-di-grazia-br-e-devozione.html

Tutta la concezione e la programmazione dei monumenti di Papa Damaso (366-384), infatti, si imposta sull'uso sistematico dell'iscrizione raffinata, per lo più di grandi dimensioni, che, sistemandosi in sedi altamente strategiche, nell'ambito delle “corsie preferenziali” create per il flusso continuo dei devoti, diviene il fulcro materiale e concettuale di tutto l'impianto, catturando immediatamente il colpo d'occhio del pellegrino.

Se, da un lato, questa scelta prevede dei fruitori ancora molto ricettivi, nei confronti del testo scritto, dall'altro possiamo dedurre che questi  elogia , dall'accurata confezione grafica, assolvevano anche alle esigenze decorative, inseriti come pannelli ornati o, comunque, come elementi salienti negli apparati monumentali.

In questi progetti, dunque, ogni effettivo espediente iconografico viene disatteso e non solo per concentrare l'attenzione sulle magnifiche autentiche papali, ma anche per sintonizzarsi con il tipo di devozione che il pellegrinaggio, già in queste sue prime manifestazioni, aveva innescato: il devoto, giunto alla meta, forse stressato da quella che Peter Brown (1) definisce “terapia della distanza”, prova un irrefrenabile desiderio di contattare fisicamente il martire. In tutta questa ansia, in parte dovuta anche all'aspetto multiplo del pellegrinaggio romano, al devoto non si dà né il tempo, né la possibilità di visualizzare la figura del martire, intanto per tenere in sospeso sino alla fine questo desiderio di contatto e, infine, per dare il senso di questa “presenza invisibile” del santo che, in sostanza, non risulta accessibile in questa terra.

(1) Storico irlandese della cultura tardo-antica (n. Dublino 1935), prof. di storia alle università di Londra (1975-78), di Berkeley (1978-86) e dal 1986 di Princeton.

 

DAMASO I, papa

di Pio Paschini - Enciclopedia Italiana (1931)

Damaso eresse la basilica ora conosciuta col nome di S. Lorenzo in Damaso, dove il suo corpo fu poi trasferito, presso il Teatro di Pompeo, dov'erano gli archivî della Chiesa romana ed un'altra basilica cemeteriale sull'Ardeatina, dove poi fu sepolto con la madre e con la sorella. Speciale fu pure in lui la premura di ricercare le tombe dei martiri, molte delle quali giacevano oscure e dimenticate, di scoprire quello che sul loro conto si poteva sapere di sicuro, di contrassegnare con iscrizioni, in gran parte in versi, le tombe più illustri. Egli trovò un incisore assai valente in Furio Dionisio Filocalo, onde il nome di filocaliani ai caratteri da lui usati. Alcune di queste epigrafi esistono ancora intere o frammentarie; il testo di altre è conservato negl'itinerarî medievali.

 

 

VATICANA

IL CULTO DEI MARTIRI NELLA LITURGIA ROMANA

Mario Lessi-Ariosto

 

Prime testimonianze

Quando la Liturgia romana comincia a caratterizzarsi e assume alcune sue proprie linee di diversificazione dalle altre Liturgie l'era dei martiri non era compiuta. I cristiani seppellivano con il dovuto onore non solo i propri defunti, ma soprattutto coloro che avevano testimoniato, fino a subire la morte, la propria fede. Di un vero culto dei martiri non si trovano che scarse testimonianze fino al terzo secolo. Questo culto si sviluppa a partire dalle normali usanze funerarie locali, purificate alla luce della fede cristiana, e matura alla luce della riflessione relativa al ruolo ecclesiale del martirio e dei martiri.

Due sono i principali filoni di ricerca, che si illuminano vicendevolmente e ci permettono di ottenere delle notizie circa le prime forme del culto dei martiri: quelle che, in senso molto ampio possono essere incluse nella determinazione di "archeologiche" e quelle più propriamente "letterarie". Qui ci si riferirà soprattutto a queste ultime, pur riconoscendo che i due filoni hanno bisogno l'uno dell'altro per avere accesso ad una maggiore conoscenza.

Le prime attestazioni a Roma, le troviamo nella  Depositio Martyrum  del 354, e in essa si risale, prescindendo dagli Apostoli, al tempo di Papa Callisto e al gruppo dei sette diaconi martiri con Papa Sisto II, durante la persecuzione del 258.Nel Calendario Filocaliano non si trova menzione dei martiri del secondo secolo e si riscontrano non poche lacune che hanno dato adito a più di una congettura, ma sostanzialmente riflette il culto dei martiri a Roma. Contemporaneamente a Cartagine, nell'area africana della Liturgia romana, il vescovo Cipriano entra a far parte della lista dei martiri della propria Chiesa, che conosce e di cui scrive.

Le fonti letterarie ci testimoniano tuttavia di una riflessione intorno al martirio e ai martiri attraverso espressioni come quelle di Tertulliano: « Christus in martyre est »  (De Pudicitia , 22) o l'altra di san Cipriano: « Evangelium Christi unde martyres fiume » ( Epist . 38), che ci affermano essere, alla base della stima del martirio, la constatazione di una attuazione piena del Vangelo è quasi una nuova "ripresentazione" della beata Passione e Morte redentrice di Cristo. Per questo ogni Chiesa che, per divina degnazione, si sente illustrata, resa illustre e insieme illuminata, nel proprio cammino verso Cristo dal glorioso sangue dei martiri, che vengono designati come " incolae Christi ", " beati ", " beatissimi ", " benedicti ", può anch'essa gloriarsi del titolo di beata (Cf Cyprianus,  Epist .10).

Ogni Chiesa notava nei suoi fasti la data del martirio dei propri figli (Cf Cyprianus,  Epist .12,2), il ricordo delle gesta, l'ubicazione della tomba. E nella tradizione romana arriverà un momento in cui si arrivano a considerare come cittadini del luogo del martirio anche coloro che fossero originari di un'altra Chiesa (Cf Damasus,  Epigram . n.46, per San Saturnino: " Sanguine mutavit patriam "). Ogni anno nel " dies natalis ", che per i cristiani e il giorno della morte, la comunità cristiana si riunisce presso la tomba del martire, o in un locale più ampio accanto a questa, per celebrare nella gioia il " refrigerium " o pasto funebre al quale vengono unite delle letture, la preghiera, L'Eucaristia con le forme della spontaneità caratteristiche dei primi tempi anche della Liturgia romana. In queste assemblee si forma quello spirito che successivamente Sant'Agostino indicherà con il dire: « Ideo quippe ad ipsam mensam (...) eos commemoramus (...) ut eorum vestigiis adhaereamus » ( In Ioan. tract. 84,1).

La "rievocazione" delle gesta dei martiri era fatta, molto probabilmente con la lettura del racconto del martirio nel corso della celebrazione liturgica e il celebrare la "memoria" di un martire congloba allo stesso tempo un luogo e un anniversario.

 

L'espandersi del culto dei martiri e le forme della sua conservazione

Già per alcune affermazioni precedenti si è superato il periodo anteriore alla pace costantiniana. Non meraviglierà che dopo questa le tombe dei martiri vengano ornate con decorazioni che le distinguono da quelle di altri defunti, che il normale uso delle luci presso le tombe venga nel giorno anniversario ampliato e sulle tombe vengano sostituite le primitive iscrizioni con altre più elogiative. Tra le iscrizioni di questo genere sono celebri quelle di papa Damaso per il loro valore artistico e per la testimonianza della viva memoria storica che tramandano e orientano. Su alcune delle tombe vengono costruite delle basiliche, come luoghi di preghiera e di memoria, che permettono alle celebrazioni anniversarie di assumere caratteri di solennità. Le tombe dei martiri divengono meta di pellegrinaggio (Cf Paolinus Nolanus,  Carmen 26 , v.387-388; Prudentius,  Peristephan. Hymn.XI , v.195-210).

Uno sviluppo ulteriore del culto dei martiri nella Liturgia romana avverrà al momento in cui esso verrà esteso ai "cenotafi" o tombe votive senza il corpo del martire e alle "reliquie", sia che indichino oggetti tenuti a contatto con i corpi o le tombe dei martiri, sia vere e proprie parti dei resti mortali. La mentalità proveniente dal diritto romano ha costituito infatti una iniziale notevole resistenza allo smembramento e anche alla semplice traslazione delle spoglie dei martiri. Se scoperte e traslazioni delle reliquie dei santi si evidenziano alla fine del IV secolo a Roma, però, il fenomeno è più tardivo (Cf San Gregorio Magno nella risposta negativa data all'imperatrice Costantina). Ma presto a Roma, come altrove, dato che molti sepolcri dei martiri stavano fuori della città, per toglierli all'incuria del possibile saccheggio, nel VII secolo iniziarono le traslazioni dei corpi dei martiri in città. Ciò si accentuò con le prime invasioni dei Longobardi e dei Saraceni.

Anche se fin dal IV secolo, non tutto nel diffondersi delle reliquie, nella costruzione delle " Memoriae ", nel modo di celebrare gli anniversari è stato immune da falsificazioni e abusi che i vescovi rimproverano e correggono (Cf per le reliquie ed egualmente per la lotta alle agapi fraterne le opere di Sant'Agostino) il fervore di iniziative testimonia con certezza di un gran desiderio da parte dei cristiani di rendere culto ai martiri. Al tempo di Sant'Agostino accanto ai " Martyria " o " Memoryae " dei martiri locali dell'Africa cristiana si erigono dei " Martyria " per delle " reliquiae " provenienti da altre Chiese. Anche questi " martyria " divengono luoghi di venerazione riccamente adornati e grandemente frequentati. Ciò che si conosce per l'Africa dagli scritti di Agostino si è tuttavia verificato, anche se in forme diverse, per quasi tutte le Chiese dell'Italia, della Spagna, della Gallia.

Alla fine del IV secolo, il calendario romano era già abbastanza completo. Più tardi, le diverse Chiese locali porteranno a conoscenza l'una dell'altra i propri calendari, e ciò porterà ad un loro mutuo ampiamento. Poco dopo questi vari calendari furono riuniti per costituire i "martirologi", liste di nomi e brevi notizie di un certo numero di martiri, appartenenti a diverse Chiese locali, il cui anniversario cade nello stesso giorno.

Tra questi è di rilievo quello di San Girolamo, che è alla base di tutti quelli che lo hanno seguito e ampliato nell'ambito della Liturgia romana, e che sono stati usati nell'Ufficio divino, oltre che nella lettura privata.

Paragonando il Calendario Filocaliano, il Martirologio Geronimiano e i calendari della Chiesa di Roma del secolo XI si nota che il primo recensisce solo martiri di Roma e indica il luogo dove si celebrava l'anniversario, ciò che il più delle volte continua a fare anche il Geronimiano. La documentazione circa il culto dei martiri a Roma, come appare dai calendari romani e da antichi Capitulari, dall'alto medioevo fino al secolo XIII, continua a testimoniare che a Roma non si ammisero che feste autenticamente romane, e che normalmente ogni chiesa celebrava le feste dei suoi martiri. Con papa Adriano I si cominciò a tralasciare di indicare i luoghi, anche perché la maggior parte delle celebrazioni si facevano nella basilica Vaticana. Ma dall'Ordo Romanus di Benedetto Canonico del secolo XII siamo informati che il Papa frequentava ancora regolarmente le " stationes " nei relativi " martyria ", ed è per questo che il loro ricordo è pervenuto fino a noi.

Nel quarto e ancora quinto-sesto secolo nelle celebrazioni anniversarie sulla tomba dei martiri si diffondono e si organizzano delle " vigiliae " dette anche " pannuchis " in quanto dedicavano la notte alla preghiera, si diffonde e in certi casi autorizza (cf  Conc. Hippon. 393 , c.5;  Conc. Carth. 397 ,c.36 b) l'uso della lettura agiografica relativa al martire e al suo martirio. Da queste letture prenderà poi in seguito l'avvio una letteratura agiografica, quella delle " Passiones ", che avrebbe dovuto servire a sfondo di celebrazione liturgica, ma entrando nel campo dell'immaginario, del leggendario ne hanno talvolta deviato il senso rivolgendo l'attenzione verso il meraviglioso e l'incredibile contro la verità storica.

In queste celebrazioni, e fuori di esse, l'invocazione dei martiri si diffonde nelle Chiese. Sant'Ambrogio esorta i fedeli ad indirizzare le loro preghiere ai martiri, perché intercedano alfine di farci ottenere il perdono dei peccati. Sant'Agostino ci testimonia che se da una parte l'invocazione dei martiri era un fatto consolidato nelle comunità cristiane del IV secolo, l'espressione liturgica del loro culto, restava molto discreta.

Nella Liturgia romana il ricordo e la preghiera dei martiri entra presto a far parte della grande Preghiera Eucaristica, e il Canone Romano è testimone di questa tradizione. Il legame del sangue dei martiri con l'Eucaristia è testimoniato ancora dalla tradizione relativa all'altare nel quale fin dall'antichità devono trovarsi incluse reliquie di martiri che vengono portate solennemente in processione al momento della consacrazione-dedicazione di una nuova chiesa. Anche se questa usanza si è poi nascosta in forme quasi sclerotizzate attraverso l'uso degli altari portatili e delle pietre sacre da includere negli altari, estesa anche alle reliquie di altri santi, paragonati ai martiri perché tali in spirito, anche se era loro mancata, come viene detto di San Martino, l'occasione del martirio.

I primi testi eucologici usati nelle memorie dei martiri che ci sono pervenuti risalgono al Sacramentario veronese, che contiene i primi formulari di messa per la celebrazione del " dies natalis " di vari martiri. Nei primi Sacramentari ogni martire è festeggiato con un formulario proprio. Con i Sacramentari detti Gelasiani del secolo VIII si cominciano ad avere dei Comuni per i martiri, insieme ad altri Comuni per le altre categorie di santi. Questi comuni dei martiri si svilupparono ulteriormente fino alla fissazione che si riscontra nella riforma di san Pio V, e nella loro revisione posteriore.

 

Il culto dei martiri nella riforma dei libri liturgici della Liturgia romana

Quando venne presentato il nuovo Calendario Romano generale più di una voce si levò per dire che esso denotava un allontanamento dal culto dei santi e dei martiri solo per il fatto che era diminuito il loro numero e perché vari di essi erano stati lasciati alla possibile celebrazione nelle varie Chiese. Ma non si fece attenzione al fatto che, diminuendo il numero dei santi e dei martiri antichi, era stata aperta la porta alla celebrazione di martiri significativi dei vari continenti dove la Chiesa è stata presente dopo il periodo medievale e dopo la riforma tridentina.

Le celebrazioni dei martiri anche oggi continuano ad essere una corona di gemme accanto al Proprio del tempo, che tende a mostrare, per mezzo di «alcuni esempi ben scelti in mezzo all'immenso campo dell'agiografia, in qual modo la vita ed il mistero di Cristo possa essere rivissuto e realizzato dai credenti» (B. Ildefonso Schuster,  Liber Sacramentorum , VI, c. II). I martiri fanno infatti sempre riferimento al Cristo," Rex et caput martyrum " di cui imitano la passione, lottando, resi forti dall'Eucaristia, animati dallo Spirito Santo, per amore di Cristo e degli uomini, per testimoniare la fedeltà alla parola rivelata, per la verità e la giustizia, per la legge di Dio , e non potrebbero essere limitati ai soli antichi, o a quelli da tempo rinomati.

La Liturgia romana ha voluto aprirsi nella riforma liturgica ad altri martiri e ad altre forme di martirio, e il nuovo Calendario lo mostra con le figure dei Martiri Canadesi, dei Martiri del Vietnam, con San Massimiliano Kolbe unite a quelle dei tempi antichi. Un equilibrio è stato cercato perché ogni tempo della Chiesa, sposa di uno sposo crocifisso, è nel suo spirito sempre una Chiesa che tende a produrre martiri.

Nella attuale Liturgia delle Ore la riforma ha posto principi per una scelta delle letture agiografiche per i martiri che rappresenta la sintesi dei migliori elementi di una lunga tradizione su basi storicamente attendibili, in modo che il culto dei martiri sia liberato da quanto poteva avere assunto di leggendario, soprattutto al momento della diffusione di Passioni costruite con intenti di pietà e devozione, ma senza dati storicamente validi.

Così anche la eucologia per i martiri nel Messale e nella Liturgia delle Ore, armonicamente proveniente e connessa con quella della tradizione, testimonia dell'arricchimento della sensibilità teologica dell'attuale momento ecclesiale e della coscienza della necessità per la vita della Chiesa della memoria dei propri martiri.

Oltre ai testi propri di alcuni martiri già esistenti nella ricchezza eucologica contenuta negli antichi Sacramentari, il Comune dei martiri possiede ancora una grande varietà di testi: per un solo martire, per più martiri e, unico caso tra i Comuni dei santi, un Comune per più martiri nel tempo pasquale. Tutto ciò dimostra quanto ancora la Liturgia romana tiene al concetto e al culto dei martiri per i quali il Comune non vuole significare un livellamento, ma una necessità di tenere alto il loro concetto nel cuore della Chiesa tutta, delle singole Chiese e soprattutto di quanti sono chiamati dal Battesimo a divenire loro imitatori nella vita quotidiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EZIO AMIDENO

 

Aèzio di Amida

Enciclopedia Treccani

 

Scrittore greco di medicina della prima metà del sec. VI, nato ad Amida in Mesopotamia.

Autore di un trattato ("Della melancolia"), che è compreso tra le opere di Galeno,

e di una compilazione di carattere sincretistico, condotta sulle orme di Galeno e di Archigene, ("Sedici libri di medicina").

 

Armand Tchouhadjian

Saint Blaise Eveque de Sebaste - Armenie mineure ( L' Harmattan 2004)

( pag. 17 )

Aétius (o Ezio) di Amida (502-575), ora Diyarbakyr in Turchia.

Era un medico greco, cristiano, che esercitò a Costantinopoli come medico dell'imperatore Giustiniano I*.

Menziona l'invocazione a Biagio perché guarisca la gola: come Gesù risuscitò Lazzaro dal sepolcro e Giona dalla balena, così Biagio, martire e servo di Dio, comanda che l'osso salga o scenda.

Possiamo apprezzare l'interesse dell'opera sapendo che fu tradotta in arabo nel IX secolo.

 

 

Di Aezio Amideno, autore dei Libri medicinales, un " enciclopedia medica in 16 libri, possediamo pochissime informazioni biografiche: attivo all " inizio del VI secolo, dopo aver lasciato la natia Amida per studiare medicina presso la scuola d " Alessandria d " Egitto, esercitò la professione medica a Costantinopoli, dove sembra avesse il rango di comes.

 

CRONOLOGIA

L"attività del medico Aezio si colloca, cronologicamente, tra quella di Oribasio di Pergamo e quella di Alessandro di Tralle (VI secolo): il terminus post quem è dunque la metà del IV secolo considerato che Oribasio nacque nel 325 e che la sua opera è una delle principali fonti dei Libri medicinales.

 

PERIODO DI FORMAZIONE E VIAGGI

L"Amideno studiò medicina presso l"allora fiorente scuola di Alessandria d"Egitto,21 dove ebbe modo non solo di conoscere le opere di Ippocrate e Galeno, ma anche di acquisire una grande padronanza dell"arte medica nei suoi diversi campi, come dimostra la sua opera. Tracce di questo soggiorno ad Alessandria si trovano nei Libri medicinales, nei quali figurano diversi riferimenti sia alla città che, più in generale, all"Egitto. Ad esempio nel capitolo sulla preparazione dell"olio di nardo ciziceno22 e in quella dell"olio fragrante23 l"Amideno fa riferimento alla città di Alessandria come luogo nel quale vengono preparati; e poiché i due passi in questione non dipendono da nessuna fonte conosciuta, possiamo ipotizzare che, in questo caso, Aezio abbia inserito nella sua opera alcune ricette che circolavano probabilmente nella città egiziana.

La città di Alessandria è altresì menzionata nel nono libro, 30 nel capitolo sull"infiammazione dello stomaco a proposito di un preparato per coloro che sono affetti da coliche e dissenteria, e nel capitolo sugli empiastri del quindicesimo libro.

 

LA FEDE CRISTIANA

Da due passi dell"opera James dimostrava, non a torto, che Aezio fosse stato un seguace del Cristianesimo; questo non ci stupisce affatto, in quanto dopo il fallito tentativo dell"imperatore Giuliano di riportare in voga le divintà pagane il processo di cristianizzazione dell"Impero romano-bizantino è pressoché ultimato, come dimostra anche la chiusura della Scuola di Atene voluta dall"imperatore Giustiniano (529 d.C.).

 

LA MEDICINA NELL' IMPERO ROMANO

(enciclopedia Treccani )

Durante l'Impero, i centri più importanti della scienza medica furono, oltre Roma, le città dell'Asia Minore, e in particolare Pergamo, Smirne ed Efeso, che si aggiunsero, senza sostituirli, a luoghi già celebri, come l'isola di Coo e Alessandria. Le informazioni epigrafiche più numerose riguardano Efeso, dove il ritrovamento di numerose iscrizioni ha consentito di conoscere i nomi di molti medici, oltre a fornirci preziose notizie sulle competizioni ( agõnes ) che si svolgevano tra loro, gli onori e i privilegi con cui erano premiati e l'organizzazione di questa categoria professionale. Sono sopravvissute, però, soltanto le opere di due fra i medici efesini, Rufo e Sorano.

Rufo di Efeso operò durante il regno dell'imperatore Traiano (98-117), probabilmente senza allontanarsi quasi mai dalla sua città natale. Delle numerose opere che gli sono attribuite, quattro sono sopravvissute in greco:  De renum et vesicae morbis De corporis humani appellationibus Sulla satiriasi e la gonorrea  Le domande di un medico . Altri tre trattati sono noti invece attraverso le loro traduzioni medievali: una in latino ( Sulle malattie delle articolazioni ) e due in arabo,  De ictero  e i cosiddetti  Casi clinici  (sulla cui autenticità esistono tuttavia molti dubbi). Le citazioni di molte altre opere di Rufo contenute negli scritti di autori successivi ci permettono di conoscere meglio la gamma dei suoi interessi e il suo approccio a una grande varietà di questioni cliniche e scientifiche di interesse medico. Dalle opere di Rufo ancora esistenti emerge l'immagine di un autore estremamente colto, profondo conoscitore non soltanto delle teorie di gran parte degli scrittori di medicina che lo avevano preceduto, ma anche della poesia e della filosofia greche, da Omero, Sofocle e i presocratici, a Platone e Aristotele. La sua erudizione gli permette di mantenere una posizione indipendente, al di fuori delle varie ‘scuole' e della pedissequa adesione alle teorie di un qualsiasi precursore; al contrario, egli si serve spesso nei suoi scritti della prima persona singolare (‘asserisco', ‘credo', ‘conosco', ‘raccomando', ‘sconsiglio', ecc.) per sottolineare la propria autonomia e affermare la propria autorità.

 

L'educazione dei medici si svolgeva a volte all'interno di una famiglia o di un clan,

 

Come altri membri dell' élite  intellettuale greca, Erofilo fu ben presto attratto da un nuovo, scintillante centro della cultura greca, sorto sulla costa settentrionale dell'Africa: Alessandria, la città che, fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C., era divenuta rapidamente il centro più avanzato della ricerca scientifica medica, in parte proprio grazie a Erofilo e al suo uso rivoluzionario della dissezione sistematica dei cadaveri e, quasi certamente, della vivisezione sperimentale sistematica condotta sui condannati a morte, come nuovi strumenti di indagine scientifica.

 

Si conclude questo capitolo sul culto dei Santi e dei Martiri, segnalando, oltre ai lavori del già citato Peter Brown , il seguente lavoro di HIPPOLYTE DELEHAYE .