CAPITOLO QUINTO
È luna piena. Il pollaio è deserto e silenzioso. Un silenzio diverso, ora : tutti sono lì vicini, presenti ma nascosti e rintanati per la paura. Il povero Geppino continua a starnutire e a chiedersi infastidito la causa del suo malessere e il nome di quell'albero su cui è appollaiato.
Intanto Dante zampetta in lungo e in largo per tutta la recinzione fiutando ogni piccola traccia di pericolosi predatori. Ha ancora molto da imparare ed è consapevole della sua poca dimestichezza con faine, furetti e volpi.
È notte fonda. Solo il chiarore della luna offre le ombre delle gallinelle tutte strette l'una accanto all'altra, guardinghe e nascoste nel confortevole tepore delle casette di legno. Gli altri amici della notte si sono ritirati nei rispettivi fossi scavati per l'occasione; le tortorelle sono rintanate nei loro nidi e ogni tanto si sente il loro discreto e timido tubare; Aristotele il Gallo guerriero, è in perfetto equilibrio sul suo posatoio personale, a difesa del suo harem.
Dante continua il suo zampettìo perlustrativo; è preoccupato e immerso nei suoi pensieri e nella solitudine della notte di luna piena. Si muove in fretta, guarda e fiuta in ogni punto, è sempre in movimento, ora, come le strisce di stelle che lo accompagnano scintillando qua e là sul pollaio nero e lucido.
- Sarebbe straordinario camminare lassù - mormora a Omero - tra quei puntini luminosi erranti.
I due amici si ritrovano con i musi insù a fissare il firmamento. E' un momento magico. E Omero è lì con lui, come sempre, come suo migliore amico. Affronta con Dante ogni cosa, qualsiasi cosa, bella o brutta. Omero è di buon carattere e ha le parole contate solo per le situazioni necessarie. Li lega una innocente fiducia reciproca, una fiducia che vale più di quella tra gli umani e degli umani. La loro vita è lì e capiscono i segni nella luna, nelle stelle, nel sole, nel vento, nella poggia, più degli umani nella loro Terra.
Qualcosa di sacro e di inviolabile li lega per sempre.