IMMAGINE TRATTA DA GOOGLE MAPS
L'isola del Giglio, questo lembo di roccia che si alterna a una fitta vegetazione, sembra estranea alle vicende storiche che fin dall 'antichità l 'hanno coinvolta. Abitata sin dall 'età del ferro, per la sua posizione strategica è stata sempre considerata un avamposto marittimo cruciale da strateghi e condottieri. Adagiata nel Mar Tirreno a poche miglia marittime dal litorale toscano è stata base militare sin dai tempi degli etruschi e poi dei romani. Nelle epoche successive è stata governata prima dalle città medievali più egemoni, poi dalle famiglie potenti della Toscana. Sotto il dominio dei Medici di Firenze è stata ripopolata dopo che il pirata Khayr al-Din, detto il Barbarossa, nel 1544, l 'aveva saccheggiata e svuotata, deportando come schiavi circa 700 gigliesi.
Nel corso dei secoli il ritmo dell 'isola è sempre stato scandito da clamorosi naufragi di antica e di recente memoria. La stessa popolazione isolana, per lo più gente di mare, ha prestato per generazioni aiuto e riparo agli sventurati approdati, loro malgrado, su quel fazzoletto di terra. Gli stessi sentimenti, le stesse vicissitudini, la stessa storia è stata condivisa dalla popola- zione del vicino promontorio dell 'Argentario.
Delle tante storie di mare che si sono verificate nel canale marino delimitato dalle due coste, una ha un valore diverso e sottolinea il forte legame tra gli abitanti dei due luoghi e i Carabinieri lì stanziati. Tutti assieme uniti dall 'amore per la libertà, la democrazia e la giustizia. Tutto iniziò nell 'ottobre del 1943 ovvero poco più di un mese dopo la divulgazione dell 'Armistizio. Quel che avvenne nei giorni successivi all '8 settembre è storia nota. A sud l 'avanzata angloamericana liberò dalle divisioni tedesche il territorio nazionale mentre al centro e al nord automaticamente avvennero l 'occupazione tedesca e la nascita della Repubblica di Salò. I Carabinieri nei territori occupati rimasero al loro posto accanto alla popolazione oppressa dal giogo nazista. Scelta che si consumò tra episodi eroici, fughe rocambolesche e deportazioni di massa. L'area costituita dalla stessa isola, dal promontorio dell 'Argentario e dall 'avamposto di Orbetello, divenne una roccaforte aeronavale di primaria importanza per i tedeschi. In molti al comando germanico ritenevano che perdere quella piazzaforte avrebbe significato la rinuncia di gran parte dell 'Italia centrale. Pertanto, quel triangolo pullulava di divise, automezzi e navigli del "Terzo Reich" che si muovevano o navigavano freneticamente da un luogo all 'altro.
Sull 'isola la locale stazione carabinieri, presente dal 1861, dalla primavera del 1943 era comandata dal ma- resciallo maggiore Salvatore Luchini. All 'epoca del fatto che si narra, l 'organico del reparto era costituito da otto militari compreso il Comandante. La stazione aveva sede nella zona di Giglio Castello, un altopiano da cui si poteva osservare gran parte del territorio isolano. Fino a quell'ottobre del 1943, la vita di caserma scorreva serenamente. Nel reparto regnava una discreta tranquillità. Molto spiccato tra i componenti quel senso di solidarietà e di affetto che trasformava quella sede di servizio in un vero e proprio ambiente familiare. La voglia di aiutarsi a vicenda, la disponibilità dei militari verso i propri commilitoni e la cittadinanza locale era un dogma per ogni appartenente della stazione. Per questo i carabinieri erano amati e rispettati dalla popolazione locale e da quella del vicino promontorio dell 'Argentario. Il giorno precedente il maresciallo Luchini compilava il “brogliaccio ” nel quale annotava il servizio da far compiere ai militari dipendenti e le attività da svolgere. Di solito il Maresciallo si tratteneva in ufficio per l 'intera mattinata a sbrigare le incombenze. Pratiche per il comando di Compagnia di Orbetello, dal quale la stazione del Giglio dipendeva, si susseguivano quotidianamente.
Spesso i carabinieri erano alle prese con piccoli furti o intervenivano per riportare la calma alterata da futili conflitti vicinali. Non mancavano mai posti di controllo nell 'area portuale soprattutto per controllare nuovi arrivi o per carpire notizie e informazioni da chi andava o tornava dalla terraferma. Al termine dei servizi esterni tutti i militari rientravano in caserma. Poco dopo le 13.00, sotto l 'egida paterna del Comandante della stazione, tutti occupavano un posto a tavola per consumare il pranzo preparato, a loro spese, da uno a turno tra i sottoposti. Dopo il pasto, il maresciallo Luchini amava fare due passi. Era solito, infatti, prendere la strada irta che portava al Poggio della Pagana. Qui giunto, osservando un panorama mozzafiato, trascorreva quel poco di tempo libero leggendo qualche bel romanzo seduto su di un sasso situato all'ombra di un olivo secolare.
Cosi anche quel tiepido pomeriggio del 20 ottobre del 1943, il Maresciallo aveva raggiunto il Poggio per leggere le ultime pagine di quel capolavoro del romanticismo francese dal titolo “I Miserabili ”. Seduto sul solito masso sporgente, aveva ripreso a leggere il romanzo (la parte ove la sapiente penna di Victor Hugo descrive la crisi morale e professionale dell 'ispettore Javert, nel momento in cui quest'ultimo si rende finalmente conto che il povero perseguitato Jean Valjean, non è quel miserabile malfattore ma un uomo magnanimo al quale egli stesso deve la vita) che quelle poche ore erano volate via in un istante.
Cosi, rifocillato nel fisico e nel morale, riprese la strada che riportava in paese. Stranamente, più si avvicinava alla sede, più le parole di Javert gli tornavano in mente: “Come! Un onesto servitore della legge poteva essere esposto a trovarsi all'improvviso fra due delitti, quello di lasciar scappare un uomo e quello di arrestarlo ”. Forse un presagio! Probabilmente pura e semplice casualità! Una cosa è certa, per uno strano scherzo del destino, di lì a poco, il Luchini si troverà nella stessa condizione dell 'illustre personaggio letterario. Infatti, giunto in caserma, il suo sguardo si diresse fisso verso il bollettino del telegrafo posto sulla scrivania dal piantone. Si avvicinò al tavolo, prese il foglio e iniziò a leggere lentamente. Man mano che leggeva l'espressione del suo volto diventava sempre più severa.
Cosa era successo da catturare così a fondo la sua attenzione?
Il bollettino, inviato anche alla Segreteria Comunale, riassumeva quanto avvenuto quella mattina. "Alle 11,00 circa, due barche che navigavano tra il Giglio e l 'Argentario dalle prime luci dell'alba con a bordo cinque marinai locali (Andrea, Gino, Nicola, Libero e Celestino), avevano incrociato due canotti pneumatici occupati da una decina di persone moribonde. L'equipaggio di pescatori, senza indugio, aveva prestato soccorso ai naufraghi. Dalle prime parole farfugliate tra un inglese incomprensibile e qualche spicciolo d 'italiano mal pro- nunciato, i marinai locali avevano capito che i naufraghi erano aviatori americani. L 'aereo su cui viaggiavano quest 'ultimi per un 'avaria al motore era precipitato in mare a circa venti miglia dal luogo ove si trovavano in quel momento. Gli sventurati da oltre due giorni erano alla deriva ormai rassegnati a un destino tragico. Con una breve manovra e grazie a due grosse funi i pescatori avevano agganciato e trainato i due canotti sino a Giglio porto.
Giunti sulla terraferma avevano consegnato quelli che potenzialmente dovevano essere considerati dei prigionieri di guerra al Brigadiere della Regia Finanza. Quest'ultimo aveva avvisato, con il telegrafo, il Comando Stazione Carabinieri e la Casa Comunale dell'avvenuto sbarco".
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