_______ IL NAVICORDO

Lanzara Storia

 

LANZARA_ E _IL CULTO _DI _SAN BIAGIO

La Storia Tra Sacro e Profano

MARTIRI _E_ MARTIRIZZAZIONI

 

Prof.ssa Silvia Ronchey docente di Storia Bizantina Univ. Roma 3

 

Legislazione Romana

 

Parlare dei Martiri senza parlare della Legislazione Romana è come scrivere un " Romanzo Storico " frutto di sola fantasia, cioè privo dell' evento storico che lo caratterizza come tale.

Per " Diritto Romano " deve intendersi l' insieme delle norme giuridiche che regolavano la società romana antica, e consentivano l' amministrazione dei territori dell' Impero. Il Diritto Romano fu riordinato dall' imperatore Giustiniano nel Corpus iuris civilis .

E' stato già detto più volte in questo lavoro, ma qui lo ribadisco in una forma più incisiva :

" I Romani non erano degli Assassini "

Pur essendo un popolo di conquistatori, il loro obiettivo non era la " sottomissione incondizionata " dei popoli conquistati, ma lo sfruttamento delle risorse dei territori oggetto di conquista, lasciando il più possibile la gestione della quotidianità, intesa come vita sociale, religiosa e delle tradizioni, alle gerarchie di classe e religiose presenti nella struttura sociale preesistente alla conquista.

Ovviamente, la libertà del popolo conquistato, pur mantenendo usi e costumi propri, era subordinata al rispetto della " Legislazione Romana ", pertanto, tanto per capirci, sentenze di condanne a morte emesse dalla legislazione interna al popolo conquistato dovevano necessariamente passare per la supervisione del rappresentante dell' Imperatore sul territorio.

INTERVENTO_DIRETTO_SUI_ CULTI_ LOCALI

Il druidismo, in Britannia, è severamente perseguitato, perché questo culto faceva ricorso ai sacrifici umani, non certo perché religione diversa da quella di stato.

Le conflittualità civili interne, invece, potevano rimanere nell'ambito della legislazione propria del popolo conquistato, ovviamente nei limiti della dialettica se di tipo religioso, oppure potevano essere portate all' interno di Tribunali Romani, previo però il riconoscimento pubblico di quanto prescritto dal Diritto Romano, se di natura civile o penale.

Tutto ciò, inteso come tolleranza verso i popoli conquistati, rimaneva tale fino a quando nessuna azione veniva intrapresa verso lo Stato Romano.

L' Editto di Diocleziano del 303, proposto da Galerio allo stesso Diocleziano, nasce da contrasti con la politica locale dei Vescovi, da ribellioni interne all' esercito Romano da parte di soldati con fede cristiana, da conflitti religiosi interni, non più configurabili come contrasti ideologico-filosofici.

Infatti, il contenuto dell' Editto ( dettagliatamente discusso nel capitolo Martirio di San Biagio) fa comprendere come esso sia studiato, non per colpire il " Cristianesimo " quale religione, ma ridurre le ingerenze " politiche " dei Vescovi ed il loro potere.

E' chiaro che l' Editto in quanto tale avrebbe potuto decretare direttamente la morte dei Vescovi e l'abolizione del culto Cristiano, invece l' Editto nella sua formulazione persegue un obiettivo diverso dalla semplice condanna a morte dei Vescovi, li vuole invece " umiliati " e piegati alla volontà dell' Impero.

E' questo un chiaro segno che con l'Editto del 303, si vuole punire una nascente ribellione politica all' interno delle popolazioni conquistate, alle conflittualità religiose nelle popolazioni delle città, e infine, nell' ambiente militare Romano, che avrebbe potuto rendere fragile la gestione militare stessa e la credibilità della potenza di Roma.

Infatti, nell'inverno del 302, Galerio esortò Diocleziano a iniziare una persecuzione generale dei cristiani. Diocleziano era diffidente, e chiese all'oracolo di Apollo di indicargli la direzione da seguire. La risposta dell'oracolo fu interpretata come un'approvazione della posizione di Galerio, e una persecuzione generale fu proclamata il 24 febbraio del 303.

Mentre Galerio e Diocleziano attuarono " procedure di persecuzione " verso i Cristiani, Costanzo invece ne era poco entusiasta. Editti persecutori e loro clausole aggiuntive successive, tra cui le richieste di sacrificio universale, non furono applicati durante il suo regno.

Già a partire dal 306, si avranno orientamenti politici di tolleranza verso i Cristiani via via più " democratici ", questi orientamenti si concretizzeranno con l' Editto di Serdica, firmato dallo stesso Galerio, che restaurò la piena parità giuridica dei cristiani e restituendo loro le proprietà che in precedenza erano state confiscate durante le persecuzioni precedenti.

 

La trattazione che segue, è relativa alla problematica della costruzione del Martirologio Romano, sulla base della verifica di tutto quanto storicamente documentabile.

L' idea base è quella di partire proprio dalla legislazione Romana, e di prendere in considerazione i processi , tenuti in occasione delle condanne al Martirio, da parte dei Giudici Romani.

In questi processi, risultanti sia da atti ufficiali, sia da testimonianze coeve agli eventi descritti, si va alla ricerca della formula : " contenuto sincero " - " contenuto vero "

" contenuto sincero " = contenuto avente congruenza con i fatti accaduti, e filologicamente corretto.

" contenuto vero " = contenuto comprovato da fonti ben documentate e verificabili.

Verrà esposto in questo lavoro la metodologia posta in essere dal Cardinale Cesare Baronio di Sora (Frosinone) prima, e proseguita dai Bollandisti poi, per riscrivere in maniera più autentica il Martirologio Romano.

Verranno alla luce durante questo lavoro di ricerca e sistemazione storica, molti Martiri che risulteranno essere inseriti in antichi martirologi medievali, che non sono mai esistiti, oppure Martiri che sono stati martirizzati dai Romani, perché avevano commesso gravi reati in nome della fede, ( tipo omicidi, una sorta di invasati ).

Il lavoro viene riprodotto integralmente, anche se risulta essere molto tecnico ed elaborato, per motivi di spazio vengono qui omesse le fonti citate dall' autrice che, da sole occuperebbero decine pagine di trattazione.

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Prof.ssa Silvia Ronchey

Docente di Storia Bizantina

Università Roma 3

 

Baronio e gli antichi Atti dei Martiri

dottrina ufficiale e realtà storica, in L. Gulia (a cura di), Baronio e le sue fonti.

 

Atti del Convegno Internazionale di Studi

(Sora, 10-13 ottobre 2007), Sora, Centro di Studi Sorani «Vincenzo Patriarca», 2009, pp. 301-325

 

La storia della fortuna critica degli atti dei martiri si colloca ili un’età di frontiera - di cerniera o di frattura a seconda dei punti di vista - tra cristianesimo medievale e cristianesimo umanistico, ma soprattutto tra gli opposti schieramenti di studiosi cattolici e riformati.

L’autenticità degli Atti dei martiri; ecco un problema che appare determinante non solo in sé, come è ovvio, ma persino in vista di una preliminare definizione delle fonti oltre che naturalmente per il successivo svolgersi degli studi relativi .

Prima ancora, tuttavia, di ogni giudizio concernente l’autenticità o attendibilità storica dei testi cosi denominati, occorre segnalare l' esistenza di due problemi metodologicamente distinti, anche se correlati e strettamente intrecciati fra loro nella storia della storiografìa: quello del­ l’autenticità in senso proprio, ovvero della genuinità documentaria degli Atti, che implica una valutazione di tipo essenzialmente filologico; e quello della loro attendibilità, ossia della effettiva veridicità storica della testimonianza che essi forniscono su vicende e posizioni del cristianesimo primitivo.


Si tratta da un lato di appurare in che grado, e attraverso quali accorgimenti critici, nei resoconti relativi ai martiri possa leggersi il reale andamento delle udienze processuali e possa quindi supporsi per essi l’ascendenza se non lo status di verbali veri e propri - problema prevalentemente affrontato dalla critica agiografìca di ascendenza bollandista (Delehaye), nonché dagli studi di carattere storico-giuridico tendenti a utilizzare gli Atti dei martiri come fonti per la ricostruzione del processo romano di età imperiale (Lanata) - ed in che grado, invece, si debba postulare una manipolazione letteraria o addirittura una deliberata contraffazione degli eventi da parte degli estensori cristiani.


D’altro lato, il problema che si pone_ - e che ha in effetti monopolizzato, fin dalle sue origini nell’età controriformista, l’interesse della critica propriamente storica ecclesiastica sia cattolica sia protestante, seguitando anche in età recente ad essere centrale nella produzione storiografica di orientamento cattolico sulle origini del cristianesimo e sul rapporto fra questo e lo stato romano, come vedremo più avanti -_ è se le situazioni storiche, sociali e giuridiche che i resoconti in questione rispecchiano e la problematica ideologica, religiosa e politica che presentano vadano considerate davvero illustrative, se non addirittura rivelatrici, della reale natura del rapporto fra lo stato romano e il cristianesimo delle origini nella sua essenza globale di movimento; o se al contrario i casi politico ­ giudiziari testimoniati, più o meno fedelmente, dagli Atti dei martiri non vadano piuttosto considerati episodi marginali, riconducibili in taluni casi a deviazioni ideologiche da parte degli inquisiti, o, in altri, a vero e proprio equivoco o abuso giudiziario da parte degli inquisitori.


In quest’ultimo caso, si tratterebbe di episodi la cui natura contingente e accidentale non sarebbe dunque rappresentativa, né sul piano giuridico-istituzionale né su quello ideologico-culturale, della reciproca attitudine fra le parti.

Questo secondo atteggiamento si colloca all’interno di una valutazione storico-giuridica del fenomeno delle persecuzioni tendente a sminuire la loro portata e la loro specificità anticristiana, per sottolineare invece, in assenza di un reale conflitto politico, la sostanziale e unitaria “sovrastoricità” e “sovrapoliticità” dell’ideologia cristiana fin dai suoi primordi ",

I due problemi, per quanto certamente ben distinti, appaiono sconfinare l’uno nell’altro e addirittura sovrapporsi nel primo dibattito sulle origini cristiane.

Per la storiografìa umanistica di parte protestante più intransigentemente luterana, a partire cioè dai centuriatori di Magdeburgo e da quel Mattia Flacio Illirico, che per la sua rabies theologica fu destituito dalla cattedra universitaria di Jena, in senso assoluto i martiri sono “testimoni di verità” annoverati come tali oltre che nell’opera sistematica e programmaticamente onnicomprensiva Ecclesiastica historia - in risposta alla quale la cultura cattolica fu mobilitata e Cesare Baronio compilò i suoi Annali — già nel più circostanziato ancorché meno universalmente noto Catalogus Testium Veritatis che costituisce probabilmente il diretto bersaglio polemico delle annotazioni di Baronio al Martirologio Romano.


Ci sembra in effetti che a quest’opera il cardinale alluda quando parla di quel “catalogo di apostati e delinquenti turpissimi..., vero pseudo­martirologio, vera stalla d’Augia ” compilato dalla “estrema demenza degli eretici del nostro tempo ” ( Tractatio de Martyrologio Romano, cap. X).

Sull’effettivo influsso, per le specifiche posizioni polemiche assunte da Baronio contro i protestanti, della produzione di Flacio Illirico e dei ccnturiatori non vi è tuttavia accordo fra gli studiosi.

Alla radicata tradizione biografica secondo la quale lo stesso Filippo Neri avrebbe incaricato il giovane allievo di sostituire all’ Oratorio i suoi consueti sermoni di contenuto morale con una serie di conferenze sulla storia della chiesa dalle origini ai tempi moderni, allo scopo di confutare, fin dalla pubblicazione del primo volume (1559), le tesi delle Centurie, è stata infatti contrapposta da Pullapilly la testimonianza di una lettera di Baronio al Cardinal Sirleto nella quale, accingendosi «a rescrivere l’historia ecclesiastica et ponervi l’ultima mano», il nostro chiede «di farmi dar licentia di posser tenere et leggere le Centurie» con ben diciassette anni di ritardo rispetto all’apparire dell’opera ed assai dopo aver concepito il progetto e le linee portanti degli Annales.


Va però osservato che la stessa data (1577) ed il medesimo cardinale (Sirleto) sono legati proprio all’incarico relativo al Martirologio, la supervisione del quale viene ufficialmente affidata a Baronio immediatamente dopo la fallimentare conclusione dell’incarico a P. Galesini, nel 1578: negli stessi anni, dunque, nei quali Baronio leggeva gli scritti di Flacio.

Che questi fossero pertanto l’originario referente polemico dell'impostazione data dal cardinale filippino a quello che può considerarsi il primo documento ufficiale della Chiesa cattolica sui martiri è, a nostro avviso^ assai plausibile.


3. Come che sia, attraverso tali “testimoni di verità” e risalendo alle origini, l’intento dei protestanti era semplicemente quello di provare, con l’appellarsi all’autorità di quattrocentoquarantatre antiche testimonianze del cristianesimo “storico”, a partire dall’età apostolica, che il luteranesimo, lungi dall’essere un’innovazione, altro non era che la restaurazione del più puro cristianesimo, e che sotto la guida del papa nel corso dei secoli non si era fatto che allontanarsi dal cristianesimo primitivo.


La natura pionieristica ed originariamente antiquaria dell’operazione dei centuriatori è del resto documentata dalle pittoresche informazioni pervenuteci attraverso la pubblicistica protestante sulla fervida attività di ricerca svolta dai membri della commissione nominata da Flacio: i cinque gubernatores da lui stesso guidati (Flacio, Aleman, Copus, Wigand, Judex), con i due architetti e i sette altri studiosi che li coadiuvarono, riuscirono a penetrare, sotto false vesti, persino negli archivi e nelle biblioteche ecclesiastiche delle cattolicissime Austria e Scozia.

E al nome di Flacio Illirico è legato il cutter Flacianus, col quale l’équipe di Magdeburgo mutilò documenti e manoscritti.

L' equazione antichità-autorità delle fonti era del resto tipica di una cerca mentalità umanistica, ai primordi della critica storica e della moderna filologia .

Solo nei secoli successivi il dibattito sul documento, che oppose maurini e bollandisti e pose, con quelle della paleografìa e della diplomatica, le basi anche dell’agiografìa moderna, venne a intaccare sul piano metodico le certezze della storiografìa confessionale magdebur- gense.

Per la quale l’origine antica delle narrazioni martirologiche, a prescindere dalle vicende e dai modi della loro composizione, trasmissione e conservazione, rappresentava di per sé una indiscussa auctoritas .


In antitesi all’autorità dogmatica, carismatica e gerarchica della versione che dello sviluppo della cristianità aveva fornito la tradizione medievale cattolica, gli Atti dei martiri sono per l’umanesimo ecclesiastico la profonda, originaria “voce delle carte” che li raggiunge dopo secoli di silenzio, proveniente da lungi, da un cristianesimo pregerarchico, non ancora vincolato al carisma arbitrale dei papi o ad un’autorità di tipo secolare sulle anime, libero da ogni pregiudizio sull’interpretazione del ruolo storico della chiesa perche precedente, di fatto, la formazione della chiesa stessa e la medesima definizione di ortodossia.

Una voce che ha, dunque, gli accenti della verità eterna .


Nell’opera di riesumazione e restituzione messa in atto dall’umanesimo gnesioluterano, il recupero fìlologico-editoriale ed antiquario-documentario dei martirologi e quindi di tutta una tematica di conflitto fra potere politico costituito c cristianità primitiva si identifica a fortiori con il recupero di una latente ma assoluta verità storiografica sull’antica e più genuina connotazione di tale cristianità e dei suoi valori .

4. Se appaiono chiari modi e motivi dell’operazione di revival lanciata dai protestanti di Magdeburgo, nella reazione cattolica che al cadere del Cinquecento vide riunite sul problema martirologico tre delle migliori intelligenze gesuite - oltre a Cesare Baronio, Federigo Borromeo e Roberto Bellarmino — la questione riguardante l’autenticità dei resoconti sui processi contro i cristiani assume contorni più complessi.


Appare evidente, nell’impostazione del Martirologio Romano, una tendenza al vaglio critico e alla massima limitazione possibile del numero degli Atti considérati genuini e come tali approvati dalla chiesa cattolica.

Questa tendenza è testimoniata anzitutto dalle discussioni che circondarono l’operazione e opposero tra loro, in alcuni casi, gli stessi estensori e consultori (Baronio, Franchi, Ciacone, Goldwell e lo stesso Sirleto ), come si desume dalla corrispondenza conservata nei copialettere dell’Archivio Vaticano nonché dalle Note e dalla dissertazione introduttiva di Baronio stesso.
Più in generale, l’interesse della curia romana al ridimensionamento della letteratura martirologica (e latamente agiografìca), coerente con le istanze accentratrici e uniformatoci della chiesa post-tridentina, rispecchiava del resto l’aspirazione della controriforma a un nuovo controllo culturale delle proprie tradizioni.

La riaffermazione della mitologia agiografica, specificamente cattolica, in risposta all’attacco luterano contro il culto dei santi era correlata, nel disegno politico del papato, a un più stretto vaglio delle espressioni devozionali eterogenee, intrecciate spesso con tematiche politiche locali, e alla repressione quindi delle devianze “ereticali” - religiose e ideologiche - interne allo stesso cattolicesimo.
La revisione del Martirologio Romano esprimeva inoltre l’esigenza, più circostanziatamente politica, di una ri affermazione del potere arbitrale del papa, discriminante sia in materia di ortodossia sia quanto al dibattito storico-istituzionale sui fondamenti del rapporto fra chiesa e potestà terrene, e dunque sia in funzione antiprotestante sia - piu sottilmente ma non meno decisamente - antispagnola.
Senza entrare qui nel merito della polemica fra cattolici e protestanti sull’autorità papale, certo scottante negli anni della revisione del Martirologio («Ormai sono certo che il papa è veramente l' Anticristo, e ho maledetto ed esecrato di tutto cuore lui, i suoi errori ed i suoi abusi», dichiara Flacio Illirico ), né in quello delle vicende che avrebbero opposto, nell’età delle guerre di religione, la curia romana e personalmente Baronio stesso a Filippo II, fino alla messa al bando degli Annales da parte del tribunale dell’ Inquisizione, basterà sottolineare che nell’operazione di censimento storico e dogmatico della letteratura martirologica e agiografica condotto da Baronio è apertamente e continuamente ribadita l’esclusiva prerogativa romana a sancirne la bontà e legittimità.

Se l’autorità dei primi pontefici romani è invocata a garanzia e testimonianza dell’autenticità o non autenticità degli antichi Atti, il disegno stesso del Martirologio Romano è la puntuale espressione della tendenza che porterà la chiesa cattolica, con Urbano VIII, a sancire definitivamente (1634) l' esclusivo diritto Papale alla dichiarazione dei Santi e l' incontrastata facoltà decisionale di Roma nel processo di beatificazione.

5. Fin dalle prime righe della Tractatio de Martyrologio Romano, Baronio circoscrive in una cornice strettamente pontificale e gerarchico-ecclesiastica l' origine della letteratura sui Martiri, riconducendone stesura a sette notarii regionari.

(Può essere utile ricordare che Baronio stesso, pochi anni dopo la stesura della Tractatio, fu nominato al collegio protonotarile da papa Clemente VIII.

Quella di protonotario apostolico era una dignità che veniva fatta risalire alla primitiva funzione specifica della sede apostolica, era di grande prestigio nel XVI secolo e certo non giungeva al diligente prelato inaspettata ne indesiderata.

Non si può escludere quindi che nell’attenzione al ruolo dei notai regionari incaricati della conservazione, corretta valutazione e selezione degli atri, nonché nella solennità con la quale le righe iniziali della Tractatio insistono sul carattere gerarchico-curiale dell’operazione di censimento dei documenti martirologici voluta dai primi papi, debba leggersi un voluto parallelismo con il proprio ruolo di estensore del Martirologio e un intento celebrativo dell’operazione promossa dai papi cinquecenteschi.)

I sette notarli regionari, alle dipendenze di altrettanti diaconi e suddiaconi di diretta or­ dinazione papale, e per mandato del pontefice stesso, avrebbero raccolto negli archivi delle sette (o quattordici) circoscrizioni amministrative dell’urbe romana («Licet vero testimonio antiquorum Scriptorum, Taciti, Plinii, Sexti Rufì, Publii Victoris, et aliorum, exploratissimum sit Romanam urbem illis temporibus in regiones 14 fuisse divisami tamen olim a Roman is Pontifìcibus in 7 tantum regiones fuisse partitam, secundum numerum 7 Diaconorum, qui Regionarii dicebantur, docent voterà Romanae Ecclesiac monumenta.

Perseverasse diutius, ut in Romana Ecclesia nonnisi 7 Diaconi ordinarentur, auctor est Sozomcnus, Historia Ecclesiastica, lib. 7, c. 19. Hic ergo septem cuna divisae dicantur a Fabiano e Antero nel Liber Pontificalis :

Cui rei egregiam navatani operam prinium fuissc a S. Clemente Romano Pontefice» testatimi habetur in libro de Romanis Pontificibus qui a quibusdam recentioribus citari consucvit nomine Damasi, ubi haec in Clemente leguntur: Hic fecit septem regiones dividi Notariis fidelibus Ecclesiae, qui gesta Martyrum solicite et curiose, nnusquisque per regionem suam, perquirerent [...] Porro [...] in codem libro de Romanis Pontifìcibus haec leguntur in Fabiano: Hic regiones divisit Diaconibus, et fecit septem Subdiaconos, qui septem Notariis imniinerent, qui gesta Martyrum in integrimi colligerent [...] Ex his perpende, quam diligens studium oliai adhibitum fuerit, ut acta Ss. Martyrum pure ac sincere conscri- berentur, cum non modo Notarii in id opus gravitcr incumbcrcnt, sed et qui praeerant Notariis Subdiaconi, ac Diaconi, iidemque iure dicti oculi Episcopi, quorum esset munus, cuncta exactc pervestigare, ac Pontifìci nota facere, qui a Notariis scripta, qualia ea dcmuni essent, probaret, atque inter Ecclesiastica mo­ numenta reconderet. Id est enim quod de Aliterò Papa scriptum habes in lume modum: Hic gesta Martyrum diligente!' a Notariis exquisivic, et in Ecclesia re- condidit.

Lo stesso, secondo Baronio, sarebbe avvenuto, sempre per via stretta- mente gerarchica, nelle singole chiese provinciali, comprese dunque quelle d’Asia Minore, cui risalgono i primi martìri :

Atqui non solimi Romana Ecclesia in perquirendis atque scribendis Ss. Mar­ tyrum Actis scdulani curam impendit, sed et aliae nobile*» Ecclesiae in iisdem aut sego iter laborasse noscuntur. Extant de iis datissima antiquitatis monumenta, ut Smyrnensis Ecclesiae epistola de Martyribus illic passis sub Marco Aurelio et Lucio Vero Impcratoribus apud Eusebium, I Ustoria Ecclesiastica, lib. 4, c. 14, Viennensis et Lugdunensis Ecclesiarum litterae ab eoclem Eusebio ex parte re- citatae 1. 5, c. 2 et 3, Dionysii Alexandrinae Ecclesiae episcopi complures epi­ stole ad diversos conscriptae, apud eumdem Eusebium, lib. 6, c. 33 et 34, lib. 10. Scimus in Ecclesia Carthaginensi S. Cyprianum fuisse solitum, ut dies qui- bus Martyres essent martyrio coronati, exacte adnotarentur, prout constat ex epistola, quam dedit ad Presbyteros et Diaconos Ecclesiae Carthaginensis, num. 2, quae ponitur ordine 37 in editione Pamelii2’.

Per Baronio esistono allora atti “puri e sinceri”:


Erant illa Acta Martyrum pura atque sincera, quae cum de illis coram ludicibus quaestio haberetur, a Norariis publicis exceptoribus excepta, in Acta publica, quae Proconsularia saepe dieta invenimus, inferebantur, atque intcr alia publica monumenta asscrvabantur: liorum extant adhuc nonnulla [...] Citat aliquando eadem Pontius diaconus in Cypriano, dum aie: Et quid Sacerdos Dei, Proconsole interrogante, tesponderit, taceam: sunt Acta quae referant .
Ma come tali vanno considerati esclusivamente quelli che la chiesa, con la procedura così ricostruita, aveva inteso conservare.
Ora, anche se alcuni di loro si sono effettivamente conservati, Baronio sembra propendere per la sopravvivenza di ben pochi. Il brevissimo ambito delimitato dalla Trattario è sostanzialmente quello accettato dagli studiosi moderni — a eccezione, naturalmente, di quei testi che ancora non si conoscevano e che verranno poi portati alla luce grazie allo zelo antiquario degli studiosi maurini e protestanti dei due secoli successivi (sorretto, diversamente da quello dei centuriatori cinquecenteschi, da un nuovo rigore scientifico, ma non per questo privo di una motivante connotazione polemica), come la Passio Perpetuae et Felicitatis, la cui editio princeps, in seguito alla scoperta del codice di Montecassino da parte dell’Holstenio (ed. P. Poussin, Romae 1663), e in particolare dopo che H. de Valois vi appose la sua celebre prefazione (Parisiis 1664), darà l’avvio a tutta la discussione sul montanismo; o come i testi relativi a Giustino, he Prudent Maran, inaurino, allievo di Casaubon, volle editare poco prima essere perseguitato sotto l’accusa di giansenismo.

6. A giustificare la lunga assenza dalla tradizione e dal culto e dunque il naufragio della genuina letteratura martirologica Baronio dedica l’intero cap. IlI della Tractatio.

«Nani si integra remansissent, qua ratione (quod ait Gelasius) secundum consuetudinem in Romana Ecclesia non legebantur?».

Baronio ha addotto poco sopra l’affermazione di papa Gelasio sulla “singularis cautela” in virtù della quale le gesta dei martiri «in S. Romana Ecclesia non leguntur: quia eorum, qui conscripsere, nomina penitus ignorantur, et ab infìdelibus, aut idiotis superflua,et minus apra quani rei ordo fuerit, scripta esse putantur».
Esaminando la testimonianza di Arnobio, secondo cui auctoritas degli originali resoconti era stata corrotta da quelle «interpolazioni e aggiunte, cambiamenti e omissioni di parole, sillabe, lettere» con cui «la malevolenza dei demoni volle impacciare la fede dei credenti», Baronio
tende a escludere che in una città come Roma, «dove sempre vissero pontefici cartolici, né mai occupò il soglio vescovo di alcuna altra setta», l’inquinamento dei testi originali degli Acta, «tanta cura ac diligentia perquisita, per Notarios S.R. Ecclesiae conscripta, per Subdiaconos et Diaconos cognita, ac denium per ipsos Ronianos Pontificcs probata atque recondita», debba ascriversi all’influsso di dottrine ereticali.

Tutto ciò anche perché quelle eresie che, come l’ariana, “avevano avuto commercio con la Chiesa Romana” per aver avuto illustri adepti nel potere terreno, dall’imperato re bizantino Costanzo a Odoacre, Teodorico e gli altri re goti, «de Sanctis eorumque cultu aeque cura Catholicis sentiebant», erano state quanto mai rispettose, in generale, del culto cattolico e dei suoi oggetti, argomenta Baronio, come dimostrano le testimonianze di Orosio, Agostino e Procopio, che adduce. «Omnis ergo suspitio» conclude il cardinale «de Arianorum perfìdia tollitur, ut ab eis vis aliqua in aera Martyrum sit illata».
E invece al rogo delle scritture cristiane disposto, secondo la testimonianza di Eusebio (Hist. Eccl., 8, 2-3), nonché di Afnobio, Optato e Agostino, “dagli ingiustissimi e ferocissimi editti dell’imperatore Diocleziano, che Baronio attribuisce la perdita della maggior parte degli Atti
dei martiri genuini, ad eccezione di poche, sconnesse épaves.


Tabulas, inquam, qiioniam haud integra atque perfetta et omnibus numeris absoltita esse putamus, quae titillo Notariorum Romanae Ecclesiae Acta Mar- tyrum a quibusdam edita habentur cum si vel ad exactam censuram remiti ac temporum eas adducas, vix perpauca reperias, quae aliqua salterò ex parte non arguatur ecroris; ut perinde sit aliqua ex bis reperiri, quae emendatione non in- digeant, ut post vindemiam esse soler racemus unus vel alter, et sicut (quod est apud Isaiarn cap. 7) excussio oleae duartim vel trium olivarum in summitate rami, sive quatuor vel qtiinque in cacuminibus cius.


7. Il ridimensionamento del numero degli Atti autentici è del resto parallelo, all'interno della produzione del Baronio, ad un ridimensionamento storico-critico, nell'accezione che il termine di critica storica ha in questa fase della storiografìa moderna, del fenomeno e del significato delle persecuzioni, della loro entità, natura giuridica e specificità anticristiana. Basandosi da un lato sulla testimonianza del celebre passo tacitiano (Tac., Annal., XV 44) riguardante i presunti comportamenti criminali in base ai quali l’opinione pubblica di età neroniana tendeva a discriminare la minoranza cristiana (“quos per flagitias invisos [...] christianos”) e, d’altro lato, fondandosi sull’analisi della giurisprudenza traianea e della procedura testimoniata nella celebre epistola di Plinio a Traiano’4, nonché del rescritto di Adriano a Minucio Fundano, Baronio imposta e anticipa, di fatto, quelle che saranno le posizioni della successiva storiografìa cattolica.

Baronio ravvisa infatti la causa scatenante del dissidio delle comunità rimitive con lo Stato non già nella intrinseca connotazione etnico-politica-autonomistica e “nazionalistica” - del cristianesimo nel suo originario integralismo ideologico, ma nell’influsso di quelle particolari
correnti di pensiero che percorrevano il cristianesimo in età contemporanea a quella dei processi contro i martiri, che solo più tardi la chiesa avrebbe condannato come eresie e che come tali Baronio certo classifica.
Sia che tali deviazioni dalla norma ideale cristiana si traducessero in comportamenti sociali aberranti, con probabile allusione di Baronio ad alcune pratiche dello gnosticismo, ritenute offensive dal comune senso del pudore della società romana, e dunque la diretta causa dei procedimenti contro i cristiani fosse da ricercarsi in “delitti comuni” (si veda quanto il cardinale scrive dei tacitiani flagitia negli Annate?. «Hucusquc Tacitus; qui quidem, quod Christianos ob flagitia dicat fuisse invisos [...] quod nomine Christiano complures vagarentur hacrctici obscoenissima perpetrantes; sicque factum esse videtur, ut Christianum nomcn in- famaretur, quaecumque enim essent turpia haereticorum [....], ea omnia in Christianos [...] redundabant»)38, sia che l’eresia consistesse, come nel caso dei montanisti, in una ricerca esasperata, provocatoria e quasi suicida del martino quale garanzia in se stesso di salvezza eterna (si veda quanto il cardinale scrive nella Tractatio a proposito del montanismo di Tertulliano: «[...] quo maiorum Martyrum numerimi coagmentarent, quasi ex Paracleto iactabant, non esse fugiendum tempore ingruentis persecutionis, ut habes non tantum expressum, sed et defensum a lèr- tulliano, duna et ipse iisdem mali spiritus agitaretur furoribus, eo libro cui us est titulus De fuga in persecutione»), con ciò contraddicendo al­ l’insegnamento “politico” di 1 Cor. 1,13 («Si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, charitatem autem non habuero, nihil mihi prodest»), sono solo questi atteggiamenti devianti che stanno alla base del conflitto con l’autorità secondo l’opinione e interpretazione dei fatti di Baronio.
8. Va notato, anche se per inciso, come nell’ipoteca imposta da Baronio, negli Annali e nel Martirologio, sulla complessiva autenticità degli Atti dei martiri sopravviva, se non la diretta relazione instaurata dai primi editori protestanti, comunque una forma arbitraria di subordinazione dell' autenticità del documento-testimonio alla credibilità dell' oggetto testimoniato.

Lo sminuire l’organicità del conflitto tra individuo cristiano e società e tra movimento cristiano e stato è evidentemente in sintonia con problematiche contemporanee della chiesa controriformista; e di fatto Baronio parte, nel valutare i testi che debbono e quelli che non debbono essere inclusi nel Martirologio Romano, da un preconcetto: la tradizione martirologica non può essere, nella sua maggior parte, genuina perché non genuinamente cristiana è, nella maggior parte dei casi, l’attitudine al martirio.

Per tornare alla Traciatio^ quest’atteggiamento appare confermato dal fatto che, addentrandosi nell’esame storico, la distinzione fra “atti genuini’’ e “atti spuri” risente sempre più evidentemente di una sovrappo­ sizione fra categorie di riferimento scientifiche e categorie ideologiche: sono “spuri” sia gli Atti elaborati o rimaneggiati posteriormente al lavoro di vaglio e raccolta archivistica dei notarli regionari cristiani promosso dai primi papi, sia quelli prodotti in ambiente “eterodosso”, ovvero di matrice montanista, marcionita, martiriana, donatista, ariana, priscillanista.

Nella mentalità dell’inquisitore filippino, sodale di Bellarmino, confessore papale, revisore dell’indice, selezione critica e scelta dogmatica, censimento e censura si fanno, per così dire, tutt’uno.
Può essere istruttivo a questo proposito rilevare come, nella contemporanea e posteriore pubblicistica ecclesiastica, vuoi per pia ingenuità, vuoi con preciso intento utilitario e giustificatorio, vuoi per una sorta di collettivo e inconscio meccanismo apotropaico, alla figura di Baronio sia paradossalmente rimasta legata la fama liturgica di speciale protetto dei santi martiri, come rivela non solo la lettura di più di un moderno contributo di matrice cattolica a lui dedicato, ma anche quella degli epigrammi celebrativi composti quando il cardinale era ancora in vita o in occasione della sua morte.


9. Che la preoccupazione relativa alle eresie avesse un immediato aggancio all’attualità della lotta fra le chiese c del resto testimoniato esplicitamente dal capoverso finale del Tractatus, dove, dopo avere dissertato “dei falsi martiri degli eretici e dei loro pseudomartirologi” e dopo aver significativamente rievocato, a proposito di Tertulliano, l’associazione fra deviazione ereticale e imputazione per crimini comuni (“latrocinia et flagitia”), Baronio polemizza con «l’estrema demenza degli eretici del nostro tempo, che — ahinoi ! — mettendo insieme un elenco di apostati, sacrilegi, sicari, agitatori, uomini massimamente turpi e contaminati da ogni sordido vizio, hanno compilato essi stessi degli pseudomartirologi, vera stalla di Augia»: «Sed dissimulare non possumus nostri saeculi hae- reticorum extremam dementiam, qui (proh dolor !), apostatatimi, sacrilegorum, sicariorum, flagitiosorum, turpissimorum ac denique omnibus sordibus inquinatorum hominum catalogum texentes, et ipsi pseudo- martyrologia conscripsere, Augiae piane stabulum».


Riprendendo proprio Adversus Marcionem di Tertulliano la metafora, Baronio paragona gli sforzi del movimento protestante, antiunitario ed antigerarchico, alla “fatica inane” delle vespe, che, “non conoscendo unità” e mancando di convergere in un solo, grande alveare, per quanto si sforzino di imitare le api “nel riunire faticosamente cella a cella”, vedranno sempre secchi i loro favi:


Sed quid mirum? Habent vespae, sicut et apes (inquit Tertullianus, Adversus Marcionem, lib. 4, cap. 5) favos suos; quae etsi in cellularum constructione illas omnino imitati videntur; tamen non sicut illae in unam eamdemquc domum convcniunt: carent enim alveario, quia nesciunt unitatem; ncc insuper mcl, quod illue inferant, habent: ac licet favunt summo labore confecerint, celktlas cellulis intexendo, tamen inanis, aridus, melle vacuus semper esse conspicitur. Porro favus mellis in Ecclesiae alveario tantummodo reperitur, quem una rum parte piscis assi post resurrectionem Cbristi obtulerunt Apostoli, de quo et scrip­ tum est in Cant. canticorum, cap. 4, 1: Comedi favum cum melle meo; quem et a sanctis Martyribus in persecutorum rabie coagmentandum (quod habetJu- dicum liber, cap. 14, 8-9) favus ille mellis ex ore leonis a Samsone depromptus, cypice demonstravit. Sic etenim favus Ecclesiae est melle pienus, ut scateat; sic sacris charismatibus affluens, ac redttndans ut effluat.


Nella Trattatio e nelle Adnotationes sul Martirologio Romano, così come in generale negli Annali, il metodo baroniano rimane dunque, sostanzialmente, quello controvcrsistico di una storiografìa confessionale a tesi.

Non a caso il titolo originario di quest’ultima opera avrebbe dovuto essere, secondo il desiderio dei membri dell’Oratorio e come testimonia la lettera di Baronio al padre del 25 aprile 157948, quello di Disforia ecclesiastica controversa.

Fu cambiato in Annales Ecclesiastici dopo la pubblicazione (Ingolstadt 1586) del primo volume del De controversiis di Bellarmino. E del resto esplicitato da Baronio stesso già nella prefazione al primo volume dell’edizione vaticana del 1588 il proposito di subordinare l’intento storiografico a quello apologetico-polemico-ecclesiastico.


Le argomentazioni riguardanti l’autenticità dei documenti martirologici, così come quelle che riguardano in generale la validità della “testimonianza” dei martiri sulla natura ideologica del cristianesimo primitivo e sulle sue istituzioni, sono certo avvalorate dalla possibilità di attingere ai tesori archivistici e letterari della Santa Sede per un lavoro di documentazione e ricerca che gli valse la qualifica di padre della moderna storiografia ecclesiastica, nonché da una forma di razionalismo che cominciava a configurarsi come prettamente gesuitico e da una certa personale tendenza alla critica.


E rimasto celebre, a questo proposito, il giudizio di Ludovico Muratori su «l’immortale Baronio che va molte volte assai franco». E la vulgata storiografica si è diffusa sulla “probità scientifica” del cardinale, che «distrugge una quantità di leggende storiche, anche quelle che per lunga tradizione erano diventate care al popolo e ai meno colti ambienti ecclesiastici (Fedele) , sul “coraggio critico” manifestato più volte nella sua opera storica, sull' “onestà” delle sue riserve riguardo all’attendibilità degli antichi storici della chiesa, sul suo «sforzo di controllo delle testimonianze per accertarsi della veridicità delle fonti e avvicinarsi alla verità storica», sul valore delle sue intuizioni.


Ci sembra tuttavia ottimistica, alla luce di quanto vagliato finora, l’opinione di Walz, secondo cui «la ‘materia’ storica e spesso assai copiosa quando Baronio — dimenticando la polemica con i protestanti — soddisfa la ricerca di cose particolari come [...] le persecuzioni dei cristiani nei primi secoli o le eresie antiche, senza però raffrontarle con la dottrina del secolo XVII».

Esempi di segno opposto sono forniti dallo stesso Walz nelle pagine seguenti del suo importante saggio su Baronio.

E andrà confrontato, in proposito, almeno il giudizio di Casaubon.


È fuori di dubbio, per tornare al Martirologio, che nella scarsa indulgenza verso le credenze popolari della cultura cattolica che la sua opera di vaglio rivela e nella componente di sostanziale scetticismo agiografico cui la condotta scientifica di Baronio si ispira spesso in polemica, come abbiamo visto, con ì suoi stessi collaboratori sia da scorgersi, in qualche misura, la premessa, se non l’anticipazione, di un abito mentale culturalmente aristocratico che solo successivamente emergerà come tendenza nell’erudizione ecclesiastica e che contraddistinguerà la ricerca antiquaria degli ordini dotti, in particolare dei bollandisti, del Sei e Settecento.


Ciò non toglie — e non si coglierebbero l’eccezionale personalità, statura e funzione di Baronio nella storia dell’intellettualità ecclesiastica cattolica se se ne prescindesse — che il cardinale operasse aderendo a «un pensiero fondamentale dominante [...] che dà un’interiore unità a tutta la sua opera storica, [...] quello dell’impero spirituale della sede di San Pietro» (Fedele); e che la sua opera si subordinasse al pregiudiziale intento di «avanzare le istituzioni ecclesiastiche possibilmente al tempo più remoto, cioè primitivo, per dar più credito e più autenticità a quelle istituzioni» e dimostrare la storicità di una concordia fra chiesa e potere terreno connaturata al cristianesimo stesso fin dalle sue origini.


Anche secondo Jedin il Cardinal Baronio, seguendo in ciò la tendenza dei teologi controversisti cattolici della controriforma, si sforzava «di addurre la prova che la dottrina, la liturgia la pietà e le istituzioni della chiesa “antica” [i.e. la cattolica, in contrapposizione a quella protestante] risalivano all’antichità ecclesiastica, e che pertanto il principio [avanzato dai luterani e principalmente da Melantone] secondo il quale il prius era il verum parlava in favore della Chiesa Cattolica Romana».

E contro questa tendenza di fondo della storiografia di Baronio già si schierava esplicitamente la critica di Paolo Salpi, che la considerava un vero e pròprio errore .


In definitiva, dunque, la ricostruzione di Baronio si rifa pur sempre alla mentalità aprioristica, ligia ai concetti utilitari, propria di un’epoca in cui gli strumenti della crìtica storica, così come quelli della ricerca antiquaria e diplomatica, non erano stati ancora tecnicamente elaborati. Prima dell’attività maurina c di Mabillon, e alla vigilia della nascita del metodo pragmatico, siamo ancora lontani dalla visione generico-organica settecentesca che sarà alla base della scienza antichistica.

10. A chi volesse in futuro tentare l’impresa di tracciare la fortuna della letteratura antica sui martiri nella cultura storica e filologica della moderna Chiesa Europea attraverso le dispute e le lotte religiose tra la metà del secolo sedicesimo e la fine del diciottesimo, apparirà chiaro che l’opera di revisione del Martirologio Romano, pur dovendosene considerare il vero avvio, prescinde in primo luogo da quella di edizione, solo più tardi ideata e intrapresa dalla rinascente erudizione ecclesiastica: della critica bollandista e maurina, a partire dall’edizione del Martirologio curata da Rosweyde e dagli Acta Martyrum Genuina di Ruinart, oltreché di quella protestante.


Il censimento operato da Baronio all’interno della tradizione medievale invece, prescindendo dall’obbligo di un vaglio realmente circostanziato della loro forma e trasmissione a sostcgno dell’accertamento di autenticità, per il quale al cardinale mancavano del resto non solo gli strumenti metodologici ma anche le conoscenze linguistiche, è ancora pre-fìlologico, e la sua selezione non può non considerarsi approssimativa.


L’ambito di testi martirologici individuati come canonici dal Martirologio Romano verrà perciò nei secoli successivi ulteriormente precisato e discusso e anche ampliato grazie alle scoperte, codicologiche e più tardi papirologiche, di testi antichi sconosciuti alla tradizione esaminata da Baronio.

Eppure, se in concreto, e prescindendo dalle motivazioni contingenti alla scelta e allo sviluppo di tali e non altri studi da parte di Cesare Baronio, si confrontano le posizioni del Martirologio Romano con quelle della critica posteriore, si riscontrerà come proprio i giudizi del cardinale, nella valutazione generale degli Atti dei martiri e particolarmente nell’esame della loro autenticità, abbiano provveduto a scegliere e fissare alcuni punti fermi: gli stessi che da allora resistono nell’opinione comune, specialmente ma non soltanto di parte cattolica.
Uno di questi punti fermi è la valutazione degli antichi resoconti tramandati sotto la forma epistolare di relazioni encicliche da chiesa a chiesa, e in particolare la valutazione d i quello che è tutt’oggi considerato imo documento di carattere specificamente martirologico sulle premesse, lo svolgimento ed il tragico esito di una rilevante azione giudiziaria anticristiana intrapresa dall' Autorità amministrativa dell' Asia Minore : l’epistola degli Smirnioti riguardante l’arresto, il processo e la morte di Policarpo.

Ma quella della genesi filologica, ricezione ideologica e metamorfosi storiografica di un testo affascinante quanto problematicissimo come il Martyrium Polycarpi è un’altra complessa storia, che, proprio tenendo presenti gli spunti storico-storiografici sviluppati ora in questa breve ricognizione baroniana, ho tentato di dipanare in altra sede.

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