Cristiani Copti, Siri, Etiopi, Assiri, Armeni una comune fede cristologica con la Chiesa Cattolica, dopo le incomprensioni del Concilio di Calcedonia DEL _451
Un tempo le Chiese che si staccarono dalla piena comunione nel 451, dopo il Concilio di Calcedonia, venivano chiamate Chiese monofisite o non-calcedonesi. Le recenti dichiarazioni cristologiche firmate congiuntamente dai Papi Paolo VI e poi Giovanni Paolo II e dai Patriarchi di queste Chiese, hanno mostrato che il rifiuto di Calcedonia era dovuto ad una incomprensione teologica – probabilmente accentuata dalla decisione di mantenere una distanza dall'emergente patriarcato di Costantinopoli - e non ad una reale differenza di fede rispetto ai Padri che sottoscrissero allora il Concilio. Non una fede monofisita – che ritiene cioè che la natura divina del Cristo vada a menomare la sua natura umana – ma una piena e comune fede in Cristo, vero Dio e vero uomo, unisce i Cattolici ed i cristiani copti, siri, etiopi, assiri, armeni. Ripresentiamo on-line un breve articolo di sintesi che d.Andrea Lonardo scrisse nel 1997, subito dopo la firma delle Dichiarazioni congiunte fra il Papa Giovanni Paolo II ed i Presuli delle Chiese Armene ed, in successione, i testi integrali delle Dichiarazioni congiunte in materia cristologica. Per una presentazione più completa delle questioni relative al Concilio di Calcedonia, vedi il testo relativo, dal titolo: Turchia e Patmos: itinerario paolino, giovanneo, patristico e bizantino , presente su questo stesso sito, www.gliscritti.it, nella sezione I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa. ACCEDI _AGLI _ACCORDI_ SOTTOSCRITTI
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CATTOLICI_ E _ARMENI COMUNE PROFESSIONE DI FEDE IN GESU' Il contenzioso cristologico risaliva al Concilio di Calcedonia di Andrea Lonardo (tratto da Roma-sette, Supplemento di Avvenire del 9 febbraio 1997)
“Con l'antica Chiesa di Armenia esisteva un contenzioso cristologico risalente al Concilio di Calcedonia (451), cioè ad oltre 1500 anni fa. Incomprensioni teologiche, difficoltà linguistiche, diversità culturali avevano per tutti questi secoli impedito un vero dialogo. Il Signore ci ha concesso, con nostra profonda gioia, di confessare finalmente insieme la stessa fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Di Lui, nella Dichiarazione comune, abbiamo riconosciuto che è “Dio perfetto nella sua divinità, uomo perfetto nella sua umanità; la Sua divinità è unita alla Sua umanità nella Persona dell'Unigenito Figlio di Dio, in una unione che è reale, perfetta, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza forma di separazione alcuna”. Ora, per la prima volta dopo quell'evento, nell'anno di preparazione al Giubileo dedicato all'approfondimento della persona e dell'opera di Gesù Cristo, una comune professione di fede cristologica viene espressa dalle due Chiese, che pure restano in una comunione non ancora totale. Questo accordo va ad aggiungersi agli altri con le cosiddette “antiche Chiese d'Oriente” che il Papa Giovanni Paolo II ha sintetizzato nel numero 62 della sua enciclica “Ut Unum sint”: “Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne relazione anche con quelle antiche Chiese dell'Oriente che hanno contestato le formule dogmatiche dei concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovavano nella gioia. “La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca nonostante le barriere storiche, politiche, sociale e culturali. E proprio per quanto riguarda il tema cristologico abbiamo potuto dichiarare insieme ai Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca copto ortodosso; e con il Patriarca siro-ortodosso d'Antiochia, Sua Santità Jacoub III. Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda, e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio Zakka I Iwas.
Oggi infatti possiamo affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è stata causa di divisione tra di noi”. Tenendo conto delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto professare insieme la vera fede in Cristo”. Noi ci uniamo alla lode che è stata espressa al termine della firma della dichiarazione, sottoscritta il 25 gennaio 1997:
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CHIESA COPTA ORTODOSSA E CHIESA CATTOLICA ROMANA Dichiarazione concordata sulla Cristologia Nell'amore di Dio Padre, per la grazia dell'Unigenito Figlio e per il dono dello Spirito Santo.
Prima di tale data, l'associazione Pro Oriente aveva organizzato un incontro a Vienna nel settembre 1971 tra teologi della Chiesa cattolica e delle Chiese Ortodosse Orientali: Copta, Sira, Armena, Etiopica e Indiana, da cui era scaturito un accordo sulla Cristologia.
Formula breve Monastero di San Bishoi, 12 febbraio 1988
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Giovanni Paolo Il e Mar Ignatius Zakka I Iwas Dichiarazione comune delle Loro SS.
1. Sua Santità Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, Papa della Chiesa Cattolica e Sua Santità Moran Mar lgnatis Zakka I Iwas, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente, Capo supremo della Chiesa siro-ortodossa universale, si inginocchiano in tutta umiltà di fronte al Trono esaltato e magnificato di nostro Signore Gesù Cristo, rendendo grazie per questa mirabile opportunità che è stata loro concessa di incontrarsi insieme nel Suo amore per rafforzare ancora di più le relazioni tra le loro due Chiese sorelle, la Chiesa di Roma e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia - relazioni già eccellenti, grazie all'iniziativa intrapresa in comune dalle Loro Santità di felice memoria, Papa Paolo VI e Patriarca Moran Mar lgnatius Jacoub III. 2. È solenne desiderio delle Loro Santità Papa Giovanni Paolo Il e Patriarca Zakka I di dilatare l'orizzonte della loro fraternità e di affermare in tal modo le modalità della profonda comunione spirituale che già li unisce insieme ai prelati, al clero e ai fedeli di entrambe le loro Chiese, di consolidare questi legami di Fede, Speranza e Carità e di progredire nella ricerca di una vita ecclesiale pienamente comune. 3. Innanzi tutto le Loro Santità confessano la fede delle loro due Chiese, nella formulazione del Concilio di Nicea del 325, comunemente nota come “Credo di Nicea”. Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi sorsero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento.
4. Pertanto desideriamo riaffermare solennemente la nostra professione di fede comune nell'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo, come hanno affermato nel 1971 il Papa Paolo VI e il Patriarca Moran Mar Ignatius Jacoub III.
Noi confessiamo che il nostro Signore e nostro Dio, nostro Salvatore e Re di ogni cosa, Gesù Cristo, è perfetto Dio quanto alla sua divinità e perfetto uomo quanto alla sua umanità. In Lui la sua divinità è unita alla sua umanità. Quest'Unione è reale, perfetta, senza mescolanza o commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la minima separazione. Egli, che è Dio eterno e indivisibile, è diventato visibile nella carne, prendendo la forma di servo. In Lui divinità e umanità sono unite in modo reale, perfetto, indivisibile e inseparabile, e in Lui tutte le loro proprietà sono presenti e attive. 5. Poiché abbiamo la stessa concezione di Cristo, confessiamo anche la stessa concezione del suo mistero. Incarnato, morto e risorto, il nostro Signore, Dio e Salvatore, ha trionfato sul peccato e sulla morte. Per mezzo di Lui, nel tempo che va dalla Pentecoste alla sua seconda venuta, periodo che è anche la fase ultima del tempo, è dato all'uomo di fare l'esperienza della nuova creazione, il Regno di Dio, il lievito trasformatore (cfr. Mt 13,33) già presente in mezzo a noi. Per questo, Dio ha scelto un nuovo popolo, la sua Chiesa santa che è il Corpo di Cristo. Mediante la Parola e i Sacramenti, lo Spirito Santo agisce nella Chiesa per chiamare ogni uomo e renderlo membro del Corpo di Cristo. Chi crede viene battezzato nello Spirito Santo, nel nome della Santissima Trinità, per formare un solo corpo e mediante il Sacramento dell'unzione crismale (Confermazione) la sua fede è resa perfetta e rafforzata dallo stesso Spirito. 6. La vita sacramentale trova nella santa eucaristia il suo compimento e il suo culmine, in modo tale che attraverso l'eucaristia la Chiesa realizza e rivela più profondamente la sua natura. Attraverso la santa eucaristia, l'evento della Pasqua di Cristo si dilata nella Chiesa. Attraverso il santo Battesimo e la Confermazione infatti, i membri di Cristo sono unti dallo Spirito Santo e innestati in Cristo; attraverso la santa eucaristia la Chiesa diventa ciò che essa è destinata ad essere mediante il Battesimo e la Confermazione. Per mezzo della comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo i fedeli crescono in quella misteriosa divinizzazione che, mediante lo Spirito, li fa abitare nel Figlio come figli del Padre. 7. Gli altri sacramenti, che la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia hanno in comune in una unica e medesima successione del ministero apostolico, ossia gli ordini sacri, il matrimonio, la riconciliazione dei penitenti e l'unzione degli infermi, sono ordinati a quella celebrazione della santa eucaristia che è il centro della vita sacramentale e la massima espressione visibile della comunione ecclesiale.
8. Dal momento che la santa eucaristia è la massima espressione dell'unità cristiana tra i fedeli e tra i vescovi e i sacerdoti, essa non può ancora essere concelebrata tra noi. Una tale celebrazione presuppone una completa identità di fede, quale ancora non esiste fra di noi. In effetti, devono ancora essere risolte alcune questioni riguardanti la volontà del Signore per la sua Chiesa, come pure le implicazioni dottrinali e i particolari canonici delle tradizioni proprie alle nostre comunità, che sono rimaste troppo a lungo separate. 9. La nostra identità di fede, per quanto non ancora completa, ci permette tuttavia di contemplare una collaborazione tra le nostre Chiese nel campo della pastorale, in quelle situazioni che al giorno d'oggi ricorrono con frequenza a motivo della dispersione dei nostri fedeli nel mondo intero nonché delle precarie condizioni di questa difficile epoca. Non è raro infatti il caso che i nostri fedeli si trovino nell'impossibilità morale e materiale di accedere a un sacerdote della propria Chiesa. Nel desiderio di venire incontro alle loro necessità e per il loro spirituale vantaggio, li autorizziamo in tali casi e quando ne hanno bisogno a chiedere i sacramenti della riconciliazione, dell'eucaristia e dell'unzione degli infermi a sacerdoti legittimi dell'una o l'altra delle nostre due Chiese sorelle. Dalla collaborazione in campo pastorale dovrebbe necessariamente scaturire la collaborazione nella formazione dei sacerdoti e nell'insegnamento teologico. I vescovi sono pertanto incoraggiati a promuovere una compartecipazione nelle strutture di insegnamento teologico, ogni qual volta lo ritengano auspicabile.
10. Ringraziando il Signore che ci ha permesso di incontrarci e di godere della consolazione della fede che abbiamo in comune (cfr. Rm 1,12), nonché di proclamare davanti al mondo il mistero della Persona del Verbo incarnato e della sua opera di salvezza, fondamento incrollabile di questa fede comune, ci impegniamo solennemente a fare tutto il nostro possibile per rimuovere gli ultimi ostacoli che ancora si frappongono alla piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro-ortodossa di Antiochia, cosicché, con un cuore solo e una sola voce, possiamo predicare la Parola: “la luce vera che illumina ogni uomo” e “dà il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome” (cfr. Gv 1,9-19). Dal Vaticano, 23 giugno 1984
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Dichiarazione della Commissione mista tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Siramalankarese
La Commissione internazionale mista per il dialogo tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Sira-malankarese dell'India ha tenuto il suo primo incontro a Kottayam (Kerala, India) dal 22 al 25 ottobre 1989.
1. Durante il nostro primo incontro, caratterizzato da uno spirito di concordia, fiducia reciproca, amore fraterno e desiderio di superare le divisioni e i malintesi ereditati dal passato, abbiamo trovato una base comune nella fede, una, santa, cattolica e apostolica professata dalla Chiesa una e indivisa dei primi secoli, la fede in Cristo sempre sostenuta da entrambe le parti. 2. Rendiamo anzitutto grazie a Dio nostro Signore per averci riunito in un dialogo cordiale e sincero intorno ad alcuni problemi di natura dottrinale e pastorale che possono ostacolare il cammino delle nostre reciproche relazioni ecclesiali e della nostra comunione. 3. In questo clima abbiamo elaborato la presente breve dichiarazione da sottoporre all'approvazione delle rispettive autorità ecclesiali. In essa vogliamo esprimere la nostra comune comprensione del mistero grande e salvifico del nostro Signore Gesù Cristo, nonché la nostra comune testimonianza ad esso. E nostra speranza che questa dichiarazione possa portarci a ripristinare la piena comunione tra le nostre chiese. Il nostro lavoro è stato agevolato dalla documentazione accurata e dalla discussione puntuale condotta a livello non ufficiale dai nostri teologi durante gli ultimi 25 anni. 4. Affermiamo la comune fede in Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, Verbo eterno di Dio, seconda persona della santissima Trinità, che per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nella beata vergine Maria, Madre di Dio. Crediamo che nostro Signore Gesù Cristo, il Verbo incarnato, è vero Dio e vero uomo. Il Verbo incarnato ha preso un corpo umano dotato di anima razionale, congiungendo l'umanità con la divinità. 5. Nostro Signore Gesù Cristo è uno, perfetto nella sua umanità e perfetto nella sua divinità — allo stesso tempo consustanziale al Padre per la sua divinità e consustanziale a noi per la sua umanità. La sua umanità è una cosa sola con la sua divinità — senza mutamento, senza confusione, senza divisione e senza separazione. Nella Persona del Verbo Eterno Incarnato sono unite e attive, in maniera reale e perfetta, la natura umana e la natura divina, con tutte le loro proprietà, facoltà e operazioni. 6. La divinità è stata rivelata nell'umanità. La Gloria del Padre si è manifestata nella carne del Figlio. Abbiamo visto l'amore del Padre nella vita del Servo sofferente. Il Signore Incarnato è morto sulla croce affinché noi potessimo vivere. È risorto il terzo giorno, aprendoci la via al Padre e alla vita eterna. 7. A quanti credono nel Figlio di Dio e Io accolgono nella fede e nel battesimo è dato il potere di diventare figli di Dio. Mediante il Figlio Incarnato, nel cui corpo vengono inseriti dallo Spirito Santo, sono in comunione con il Padre e tra di loro. Questo è il cuore del mistero della Chiesa, nella quale e attraverso la quale il Padre, per mezzo dello Spirito Santo, rinnova e ricapitola in Cristo l'intera creazione. Nella Chiesa, Cristo, Verbo di Dio, viene conosciuto, vissuto, proclamato e celebrato. 8. Questa è la fede che entrambi confessiamo, Il suo contenuto è il medesimo in entrambe le comunioni, anche se la sua formulazione ha conosciuto nel corso della storia, differenze di termini e di accentuazioni. Siamo convinti che queste differenze sono tali da poter coesistere nella stessa comunione e quindi non devono né dovrebbero dividerci, soprattutto quando annunciamo Cristo ai nostri fratelli e sorelle sparsi nel mondo in termini ad essi più facilmente accessibili. 9. È la coscienza della nostra comune fede che ci spinge a pregare affinché lo Spirito Santo di Dio rimuova tutti gli ostacoli che ancora permangono e ci guidi alla meta comune: il ristabilimento della piena comunione tra le nostre chiese. Festa di Pentecoste, 3 giugno 1990
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Dichiarazione Cristologica comune tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell'Oriente
Sua Santità Papa Giovanni Paolo Il, Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica e Sua Santità Mar Dinkha IV, Catholicos-Patriarca della Chiesa assira dell'Oriente, rendono grazia a Dio che ha ispirato loro questo nuovo incontro fraterno.
Quali eredi e custodi della fede ricevuta dagli Apostoli, così come essa è stata formulata dai nostri Padri comuni nel Simbolo di Nicea, noi confessiamo un solo Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, il quale, giunta la pienezza dei tempi, è disceso dal cielo e si è fatto uomo per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio, la seconda Persona della Santa Trinità, per la potenza dello Spirito Santo si è incarnato assumendo dalla Santa Vergine Maria un corpo animato da un'anima razionale, con la quale egli fu indissolubilmente unito sin dal momento del suo concepimento.
L'umanità alla quale la Beata Vergine Maria ha dato la nascita è stata sempre quella dello stesso Figlio di Dio. Per questa ragione la Chiesa assira dell'Oriente eleva le sue preghiere alla Vergine Maria quale “Madre di Cristo nostro Dio e Salvatore”. Alla luce di questa stessa fede, la tradizione cattolica si rivolge alla Vergine Maria quale “Madre di Dio” e anche quale “Madre di Cristo”. Noi riconosciamo la legittimità e l'esattezza di queste espressioni della stessa fede e rispettiamo la preferenza che ciascuna Chiesa dà ad esse nella sua vita liturgica e nella sua pietà.
Il mistero dell'Incarnazione che noi professiamo insieme non è una verità astratta ed isolata. Esso riguarda il Figlio di Dio inviato per salvarci. L'economia della salvezza, che ha la sua origine nel mistero della comunione della Santa Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - è portata a compimento attraverso la partecipazione a questa comunione, secondo la grazia, nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito.
Il sacramento dell'ordinazione al ministero sacerdotale nella successione apostolica è garante, in ogni Chiesa locale, dell'autenticità della fede, dei sacramenti e della comunione.
Firmato: Mar Dinkha IV e Giovanni Paolo Il Sua Santità Papa Giovanni Paolo Il, Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica e Sua Santità Mar Dinkha IV, Catholicos-Patriarca della Chiesa assira dell'Oriente, rendono grazia a Dio che ha ispirato loro questo nuovo incontro fraterno.
Quali eredi e custodi della fede ricevuta dagli Apostoli, così come essa è stata formulata dai nostri Padri comuni nel Simbolo di Nicea, noi confessiamo un solo Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, il quale, giunta la pienezza dei tempi, è disceso dal cielo e si è fatto uomo per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio, la seconda Persona della Santa Trinità, per la potenza dello Spirito Santo si è incarnato assumendo dalla Santa Vergine Maria un corpo animato da un'anima razionale, con la quale egli fu indissolubilmente unito sin dal momento del suo concepimento.
L'umanità alla quale la Beata Vergine Maria ha dato la nascita è stata sempre quella dello stesso Figlio di Dio. Per questa ragione la Chiesa assira dell'Oriente eleva le sue preghiere alla Vergine Maria quale “Madre di Cristo nostro Dio e Salvatore”. Alla luce di questa stessa fede, la tradizione cattolica si rivolge alla Vergine Maria quale “Madre di Dio” e anche quale “Madre di Cristo”. Noi riconosciamo la legittimità e l'esattezza di queste espressioni della stessa fede e rispettiamo la preferenza che ciascuna Chiesa dà ad esse nella sua vita liturgica e nella sua pietà.
Il mistero dell'Incarnazione che noi professiamo insieme non è una verità astratta ed isolata. Esso riguarda il Figlio di Dio inviato per salvarci. L'economia della salvezza, che ha la sua origine nel mistero della comunione della Santa Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - è portata a compimento attraverso la partecipazione a questa comunione, secondo la grazia, nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito.
Il sacramento dell'ordinazione al ministero sacerdotale nella successione apostolica è garante, in ogni Chiesa locale, dell'autenticità della fede, dei sacramenti e della comunione.
Firmato: Mar Dinkha IV e Giovanni Paolo Il
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Dichiarazione comune di Giovanni Paolo Il e del catholicos degli Armeni Karekin I
Mentre si accingono a concludere il loro solenne incontro, nella profonda convinzione del suo significato particolare per la continuità delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena, sua santità papa Giovanni Paolo II, vescovo di Roma, e sua santità Karekin I, patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, rendono umilmente grazie al Signore e Salvatore Gesù Cristo che ha permesso loro d'incontrarsi nel suo amore, per pregare insieme, per un fecondo dibattito sul loro comune desiderio di ricercare una più perfetta unità nello Spirito Santo, e per uno scambio di vedute sul modo secondo il quale le loro chiese possono dare una più efficace testimonianza al Vangelo in un mondo che va verso un nuovo millennio nella storia della salvezza. Tali dialoghi e incontri hanno preparato una salubre situazione di comprensione reciproca e il ristabilimento di una più profonda comunione spirituale basata sulla fede comune nella santa Trinità, che le due chiese hanno condiviso e condividono per mezzo del vangelo di Cristo e nella santa tradizione della chiesa.
La comunione che già esiste tra le due chiese, la speranza di pervenire alla loro piena comunione, e l'impegno assunto per raggiungere tale scopo, dovrebbero diventare motivo per maggiori contatti, per un dialogo più regolare e più profondo, in modo da giungere a un maggiore grado di reciproca comprensione, e al ristabilimento di una condivisione nella loro fede e nel loro servizio.
Ciò richiede una più stretta collaborazione, reciproca fiducia e un'attenzione più grande per l'azione comune. Parimenti ciò presuppone e richiede un atteggiamento di servizio che non sia egoista, e che sia caratterizzato da un mutuo rispetto per la fedeltà dei fedeli alle loro proprie chiese e tradizioni cristiane.
Negli sconvolgimenti e nelle tragedie, specie nel nostro secolo, questo popolo si è mantenuto fedele alla fede apostolica, la fede dei martiri e dei confessori, la fede di milioni di credenti sconosciuti, per i quali Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato e salvatore del mondo, è stato il fondamento della loro speranza, e che sono stati guidati attraverso i secoli dal suo Spirito. Nell'imminenza del diciassettesimo centenario della costituzione ufficiale della chiesa in Armenia, possa questo popolo ricevere dal Dio trino particolari benedizioni per l'avvento della pace nella giustizia, e affinché possa con rinnovato impegno essere testimone fedele del Signore Gesù Cristo. Roma, 13 dicembre 1996
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