il processo inizia il 1° dicembre ma il dibattimento si terrà il giorno 4 dicembre
4 DICEMBRE INIZIA IL DIBATTIMENTO
IL PICCOLO 4 DICEMBRE 1897
Come si poteva già immaginare dalle cronache precedenti, il processo con il relativo dibattimento prenderà un' intera colonna in prima pagina, più altre tre colonne in seconda pagina.
Il dibattimento, da cui poi sarà emessa la sentenza, sarà dettagliato in tutti i particolari e viene qui riproposto con una trascrizione integrale dal giornale sopra riportato.
TRASCRIZIONE INTEGRALE DEL DIBATTIMENTO
IL PICCOLO 4 DICEMBRE 1897
CORTE D' ASSISE
TRAGEDIA D' AMORE
CRIMINE DI TENTATO OMICIDIO
Stamane è iniziato il dibattimento contro Giulio Alfano l'eroe della tragedia avvenuta nella birreria alla Stazione. Presiede il consigliere aulico Urbanchich ; fungono da giudici i signori Bognolo e Crammer ; P. M. il sostituto procuratore di Stato Pangrazi ; la difesa è affidata all' avv. Reiser.
Compongono la giuria i signori : Antonio Passutti, Giacomo Clemente, Alfonso Danese, Pietro Pazza, Pietro Viezzoli, Paolo Kecgy, Silvestro Pepeu, Guido Padovan, Stefano barone Ralli, Carlo Mighetti, Giulio Brettauer, Luciano Malabutich, Giuseppe Tuzzi.
La galleria, appena dichiarato aperto il dibattimento, si empie di gente.
Interrogato sulle sue generali risponde con chiarezza, Il Presidente passa tosto alla lettura del seguente :
ATTO DI ACCUSA
Giulio Alfano, cittadino italiano, venne per la prima volta a Trieste il giorno 26 Gennaio 1897 dopo che aveva disertato dal corpo delle regie guardie di finanza.
Qui con denari datigli dai suoi genitori aperse un negozio di commestibili al Ponterosso, e già nel successivo marzo, e ai primi di aprile susseguente, fece la conoscenza di certa Maria Kahr, in allora servente la quale andava spesse volte nel suo negozio a fare degli acquisti.
Tale conoscenza assunse ben presto il carattere d' un' intima relazione amorosa, e la Kahr abbandonato il servizio, si portò a convivere con l' Alfano.
L'amore ed il buon accordo dovevano però durare poco tra i due, perché non erano fatti per intendersi.
Lui volgare e violento, in modo che non rifuggiva di minacciare continuamente la Kahr e farle, senza motivo, delle disgustose scenate di gelosia, in guisa che la Kahr si vede indotta a denunciarlo alla Polizia per pericolose minacce.
Ella, pentita d'avergli sacrificato tutta la sua esistenza, cominciava già a sentirsi stanca delle prepotenze che doveva soffrire, ed agognava ardentemente di ritornare libera affine di potersi guadagnare, col lavoro delle proprie mani, onoratamente il proprio sostentamento.
D'altra parte l' Alfano, abituato a quella relazione, non voleva lasciarla e cercava di legar ancor di più a sé l' amante vendendo il negozio ed allontanandosi da questi paesi insieme a lei in cerca di lavoro.
Ai primi di settembre p. p. i due fecero ritorno a Trieste privi affatto di ogni mezzo di sussistenza, in guisa che la prima notte furono costretti a passarla all' aperto.
Condotti la mattina ambidue in Polizia, la Kahr accusò l' Alfano di averla gravemente minacciata.
Egli fu tenuto per circa 20 giorni in arresto, dopo di che fu condotto al confine.
L' Alfano, abituato a vedere la Kahr seguire ogni suo volere, si accese d' ira contro di lei quando dovette persuadersi che ella cercava ogni mezzo per sottrarsi alle sue minacce.
In Italia l' Alfano era stato condannato, in via disciplinare, dall'autorità di finanza a sei mesi d' arresto.
Riuscì ad evadere dal carcere e fece ritorno a Trieste addì 8 ottobre p. p . manifestamente nell' intento di prendere vendetta dalla Kahr nel caso ella non avesse voluto tornare a convivere con lui.
Nel frattempo la Kahr, subito dopo l' arresto dell' Alfano, aveva potuto trovare un collocamento quale sottocuoca nel “ Restaurant alla Stazione “.
Appena arrivato l' Alfano in questa città si mise alla ricerca della Kahr e rilevato l' indirizzo, si reca da lei facendola chiamar in istrada fuori dal locale sotto un pretesto, sapendo bene che altrimenti non sarebbe venuta e lì cercò di prenderla a riattaccare seco lui la relazione interrotta.
La Kahr rimase ferma nel suo proposito di non volerne più sapere.
Solamente il giorno dopo, cedendo alle di lui sempre più forti e reiterate insistenti preghiere si reca in sua compagnia a passeggio.
Domenica non si videro.
Lunedì, 11 ottobre, il giorno del fatto saranno state circa le ore 7,12 di mattina, allorché l' Alfano comparì di nuovo davanti al Restaurant “ Alla Stazione “ e fece chiamare la Kahr fuori dal locale a mezzo della serva.
Egli voleva che sotto il pretesto che ella andasse alla Stazione ferroviaria a vedere sua madre che partiva, allontanarla del Restaurant, ma la Kahr vi si rifiutò recisamente e, ad onta che l' Alfano la tenesse per un braccio le riuscì finalmente di svincolarsi e fuggire in cucina.
L' imputato allora s' allontano bensì ma soltanto per spedirle di li a poco due ambasciate mediante due differenti servizi di piazza per indurla a un nuovo colloquio.
La Kahr che voleva troncare la relazione ad ogni costo si rifiutò sempre, facendogli pervenire mediante il secondo servizio di piazza il suo diniego anche in iscritto con un biglietto sul quale era detto che se ne andasse e la lasciasse in pace.
Si fu allora, che nell' animo dell' Alfano si maturò il proposito di vendetta e spinto da tale sentimento penetrò nella cucina dove si trovava in quel momento la Kahr assieme alla serva ed alla cuoca, chiedendo a quest' ultima il permesso di poter parlare colla prima.
Essendosi però la Kahr nuovamente rifiutata di seguirlo, in allora l' Alfano la minacciò “ che se non veniva, avrebbe sparato “.
In ciò dire ed aggiungendo le parole di scherno_ << Ah non vuoi ? >> _estrasse dalla giubba una rivoltella a sei cariche e la puntò contro la stessa. La Kahr, tutta impaurita si diede a fuggire entrando nella cantina attigua, dove presso la porta che conduce al cesso, avvenne fra quei due una breve colluttazione.
La Kahr era già riuscita ad oltrepassare la porta e la teneva chiusa per uno dei ferri posti a difesa delle lastre, quale riparo tra essa e l' Alfano ma questi, più forte, dando uno strappo alla porta, ruppe il ferro e la aperse.
Fece allora fuoco a bruciapelo per ben due volte contro il capo della vittima che inerme gli si presentava dinanzi ed indi diresse l' arma contro se stesso facendo partire uno o due colpi.
Al rumore dei tiri accorse il cameriere Tommaso Lucas, mentre alla Kahr riusciva di fuggire e di raggiungere, oltrepassando la cantina, la cucina, dove cadde su d' una sedia intontita dallo spavento e stremita di forze.
Ma l' Alfano che non aveva calmata la sete di vendetta, di cui era animato, la inseguì e raggiuntala esplodeva nuovamente contro di lei un altro colpo che venne però in tempo sviato dall' accorso cameriere Lucas, cui finalmente riuscì di disarmare il forsennato.
La Kahr per mera combinazione riportò oltre ad un' escoriazione alla cute della nuca prodottale da una palla che venne trovata fra i di lei capelli, la perforazione del padiglione, dell' orecchio sinistro prodottale da un' altra palla rinvenutala pure sulla ferita.
I periti medici dichiararono la prima lesione di natura leggera, la seconda grave per sé, ed ambedue inferte con arma e in modo tale cui va ordinariamente congiunto pericolo di vita.
( CRONACA DALLA SECONDA PAGINA )
Tutte le su esposte circostanze appariscono stabilite dalle deposizioni dei testimoni citati al dibattimento, pel le parziali ammissioni dell' imputato e dalla perizia medica.
Visto ora le dichiarazioni fatte dallo stesso imputato nel suo costituito che egli aveva divisato di vendicarsi della Kahr per seguito abbandono da parte sua, vista l' ammissione d' esso imputato che egli, avuto certezza che la Kahr non voleva più sapere di lui, deliberatamente andò a munirsi d' un arma atta a produrre la morte, e che con tutta lucidità di mente e freddezza caricò per adoperarla contro la vittima.
Vista l' intimazione fatta precedere all' esplosione, che cioè egli sparerebbe qualora la Kahr non lo volesse seguire ; viste le qualità dell' arma adoperata la ripetizione dei colpi esplosi, l' immediata vicinanza da cui partirono, nonché l' accanimento dell' imputato nel perseguitare la Kahr dopo che l' aveva già ferita.
Vista infine la esplicita sua dichiarazione di aver voluto uccidere la Kahr, non v' ha dubbio che l' intenzione dell' Alfano era effettivamente quella di togliere la vita a quest' ultima e che se il suo decisamento non ebbe il compimento voluto, lo sideve ascrivere soltanto ad un mero caso ed all' intervento provvidenziale del cameriere Lucas.
Il presente poi è confesso di essere stato sfrattato da tutti i domìni dell' Impero Austriaco, di avervi fatto ritorno e di non avere la licenza di porto d' armi.
Egli è perciò l' i. r. Procura di Stato, ritenuta fondata la competenza di codesto Inclito i. r. Tribunale provinciale quale Corte d' Assise,
A C C U S A
Giulio Alfano di Paolo e Rosaria nato a Castel S. Giorgio (Salerno) il 19 maggio 1877, pertinente a quel comune, cittadino italiano, celibe, scalpellino, alfabeta, già punito.
1) D' aver addì 11 ottobre 1897, qui con l' intenzione di togliere la vita a Maria Kahr esploso contro la stessa tre colpi di rivoltella in seguito a che la stessa detta Kahr ebbe a riportare al capo due lesioni di cui una al padiglione dell' orecchio sinistro grave per se e tutte e due inferte con arma e metodo tale cui ordinariamente va congiunto pericolo di vita, e di avere con ciò intrapreso un' azione conducente all' effettiva esecuzione del suo reo disegno.
A lettura finita comincia il
COSTITUITO DELL' ACCUSATO
Giulio Alfano è una simpatica figura.
Di media statura, ben proporzionato, affatto imberbe, ha lo sguardo energico, il naso leggermente aquilino ; in complesso se ne ritrae un' impressione buonissima.
NELLA FOTO E' RITRATTO IL FRATELLO DI GIULIO CHE GLI E' MOLTO SOMIGLIANTE
GERARDO ALFANO FRATELLO DI GIULIO
( foto gentilmente concessa dal nipote Gerardo Alfano )
Veste decentemente e parla con correttezza, e speditamente.
Pres. Ella ha inteso dall' atto di accusa di che cosa è imputato. Si riconosce colpevole ?
Acc. Sissignore, io sono colpevole, ma non di tutto ciò che si pretende.
Pres. Quando è venuto a Trieste per la prima volta ?
Acc. Fu il 26 Gennaio, quando disertai. Abbandonato il reggimento venni a Trieste, e mi recai tosto alla polizia, ove presentandomi quale disertore, chiesi un passaporto per poter girare in Austria. Mi risposero che dovevo attendere sino a che avessero assunto informazioni sul conto mio in Italia. Le informazioni vennero e, siccome io non avevo commesso nessun reato comune, mi fu accordato il desiderato passaporto. Nel frattempo avevo scritto a mia madre, la quale mi mandò tosto del denaro. Combinato l' affare nel negozio di pasta, in via Piazza del Ponterosso, con un amico mio, m' ingegnava a vivere. Quella donna veniva a fare la spesa ogni mattina nella mia bottega. Mi sono innamorato di lei, innamorato alla follia.
Pres. Un momento, quando conobbe la Kahr ?
Acc. Dopo essere stato condannato !
Pres. Perché è stato condannato ?
Acc. Per ragioni politiche ! La Kahr veniva con me ogni domenica. La sua padrona s' accorse della relazione e la licenziò. Io l' amava quella donna, l' amava con tutta la forza dell' animo mio.
Ma l' amore fa perdere la testa per il lavoro. Vedendo che gli affari andavano male, prima di rimanere affatto al verde, cedetti tutto all' amico mio e con il denaro della vendita, andai ad abitare con la donna che amava e che fu la mia rovina.
Andammo poi in Italia ove passammo alcuni giorni. Eravamo ormai privi di denaro ed ambidue senza lavoro. Ritornati a Trieste io dissi : Bisogna mettersi al lavoro !
Ella si mise il giorno stesso a cercare un servizio ed anzi dalla nuova padrona, ricevette un fiorino di caparra che volle dare a me.
Io possedevo ancora cinque fiorini e, siccome lei doveva andare al servizio soltanto il giorno dopo ed io pure avevo la speranza di trovare lavoro, facemmo un po' di festa. Alle 8 e mezzo di sera quando non tenevo più un soldo, la Kahr disse che non sapeva dove passare la notte.
La consigliai di andare da una sorella, mentre io avrei dormito a casa di un amico. Lei non accettò e mi propose invece di andare a passeggiare fino al Punto franco. Abbiamo passato la notte colà, e alle quattro del mattino, quando stavamo per uscire, una guardia di p. s. ci fermò. Ebbe dei sospetti, ci tradusse dall' ispettore e a questi io diedi ampia spiegazione del vero stato delle cose.
L' ispettore parlò con la donna in tedesco e rimasi di stucco quando mi vidi scortare agli arresti. Per via dissi a lei : Che cosa hai detto all' ispettore che mi fa tradurre in arresto ?
– Niente mi rispose.
Ero da tre giorni in prigione senza sapere il perché, feci reclamo al capocustode. Volli avere un giudice e quando la mia domanda venne esaudita, da lui seppi ch' ero stato incolpato di aver minacciato di morte la donna. Fortunatamente sono riuscito a convincerlo del contrario, mi aspettavo di essere rilasciato, ma così non fu. Mi disse il giudice che la polizia mi reclamava. Passarono due giorni e quindi mi capitò un impiegato di polizia che mi disse : La polizia la bandisce. Lei verrà accompagnato al confine.
Ma io sono un disertore ! dissi
Lei verrà rilasciato al confine e potrà andare dove vuole ! mi fu risposto.
Invece venni accompagnato al confine e là consegnato ai gendarmi. Fui catturato e si voleva mandarmi nella terza compagnia di disciplina, ma il medico militare visitandomi mi dichiarò anèmico e venni accolto all' ospedale di guarnigione.
Amavo quella donna, non ostante ch' ella fosse stata così odiosamente vile con me, ed evasi. Evasi e venni a Trieste, dove mi ricoverai presso un mio amico, amico che seppe dirmi essere la Maria in servizio nella trattoria << Alla Stazione >>. Mi recai da lei, la feci venire al passeggio con me dalle 4 del pomeriggio sino alle 10 di sera, e con tutto l' ardore del mio potente affetto le feci rilevare la gravità dell' azione da lei commessa, giacché appunto ella mi aveva fatto tradurre in Italia, e tanto dissi ch' ella si mostrò pentita e accettò la mia proposta di fuggire meco dalla città.
Anzi mi dichiarò che la sera stessa si sarebbe licenziata.
Il giorno seguente ritrattò i suoi detti. Per tre giorni feci tutto il possibile per convincerla. Ella finì col mandarmi un viglietto scritto in una lingua impossibile, credo sia stato sloveno, e io, non comprendendo imbattutomi con un portalettere, lo pregai di tradurmelo.
Quell' uomo mi disse che la Maria diceva che se non l' avessi lasciata in pace, avrebbe chiamato le guardie.
Desolato, volevo ammazzarmi.
Acquistai una rivoltella e scrissi alcune lettere ai miei cari, ma all' ultimo momento pensai di ritentare la prova. Mi recai dalla Maria, fui ricevuto male, la pregai ancora e molto. Accecato dal dolore, estrassi l' arma e prima di ammazzarmi la rivolsi contro di lei. Esplosi tre colpi, uno dei quali contro di me. Questo è il vero fatto.
Pres. Ma lei ha esploso cinque colpi ?
Acc. No, soltanto tre ! Gli altri furono esplosi da un cameriere. Quando io caddi a terra ferito, il cameriere che mi aveva disarmato, parlando con un altro addetto del locale, disse in cattiva lingua : Già questo muore, esplodi contro di lui ! Io sentii anche i colpi, ma non sul mio corpo ; sul mio capo invece sentii dieci o dodici colpi, ma dati col calcio dell' arma ; appena quando alle mie grida comparvero le guardie, il cameriere lasciò cadere a terra la rivoltella !
Pres. Le lesioni da lei riportate nelle asserite circostanze furono leggere e causate probabilmente dalla caduta, in ogni modo ciò non riguarda l' accusa.
Acc. Come no ? Dovetti stare venti giorni a letto per le ferite al capo !
Pres. Le contesto il suo deposto per molte circostanze asserite contrariamente durante il processo istruttorio, prima delle quali la dichiarazione da lei fatta di aver tentato di uccidere la Kahr per sete di vendetta !
Acc. Non è vero, la causa principale fu l' amore ; naturalmente le altre circostanze mi avevano anche irritato.
Ad altre contestazioni l' accusato risponde con molta cura e chiarezza.
Si fa quindi introdurre :
Maria Kahr
Maria Kahr, quantunque bellina ed apparentemente di carattere ingenuo, sentimentale, appena parla incute altrettanta antipatia, quanta simpatia desta invece l ‘ Alfano.
Bionda, di carnagione delicata, tiene costantemente gli occhi abbassati. Veste con pretesa eleganza, indossando una mantiglia col collare alla Borgia, sopra un abito di frustagno a grandi quadriglie caffè su fondo giallo.
Porta guanti di filo di Scozia e tiene le mani in un manicotto di pelo nero. Incomincia a parlare a voce così bassa, che non la si sente. Dice però che parla poco l' italiano e vuole parlare in tedesco.
Si dimostra cattiva, senza cuore per l' uomo a cui lei si era data, aggravandolo su ogni punto, dichiarando egli è un violento e pessimo soggetto.
Ammette di aver vissuto con lui. Dice che la fece cedere la violenza, che egli la obbligò a lasciare tutti i posti che occupava.
Ammette di essere stata in Italia con l' Alfano, ma di essere ritornata da sola, e che poi giunse qui egli pure. Dice che, allorché dormì al Punto franco, egli la minacciò con le parole : Se no te copo !
I signori giurati pretendono schiarimenti su la parola : copo, sembrando ad essi impossibile che l' Alfano abbia potuto dirla, non conoscendo il dialetto nostro ed ella ripete l' affermazione.
Ammette di aver chiesto alla polizia lo sfratto dell' amante. Dichiara di non averlo mai amato. Dice che l' Alfano l' esplose parecchi colpi quasi a bruciapelo, e che poco prima egli le avrebbe detto : Se vieni t' ammazzo !
Pres. Che dice lei, Alfano ?
Acc. Non è vero nulla, costei mente. Basti dire che, che qui non vuole parlare in italiano e ciò per non farsi intendere da me. Ella parla meglio di me l' italiano, altrimenti io non avrei potuto amarla, se non m' avesse compreso.
Il dibattimento continua destando il massimo interesse nell' uditorio.
Ai signori giurati venne proposto il quesito di tentato omicidio, essendo state respinte le domande di altri quesiti avanzati dalla difesa.
Nel Piccolo di domani riferiremo le ulteriori risultanze del processo, dalle testimonianze in poi, non permettendoci la tarda ora di farlo.
LA SENTENZA DELLA CORTE
In seguito al verdetto dei giurati, i quali con 12 Sì ammisero la completa colpevolezza dell' accusato, per il crimine di tentato omicidio e per le contravvenzioni d' illecito porto d' armi e di revertenza allo sfratto da Trieste, la Corte verso le 4 del pomeriggio, pronunciò la sentenza, con la quale condannò Giulio Alfano al duro carcere per la durata di quattro anni e al bando dall' Impero dopo espiata la pena.