_______ IL NAVICORDO

Vita dei nostri Nonni

IL caro Nonno Aniello e la vita Contadina

  

 

La Famiglia Cibelli e le Famiglie Contadine nell 'Agro di Castel San Giorgio nel XX secolo.

Mi piace questa idea delle storie di famiglia e perciò provo a dare qualche cenno della famiglia Cibelli, di antica progenie sangiorgese, cercando poi di inserirlo in un contesto più ampio, condiviso e familiare, qui a Castel san Giorgio sicuramente, ma forse anche in altre parti delll'Italia.

I miei ricordi cominciano dal nonno Aniello, figlio di Gennaro.

Con lui convivevano due sorelle nubili, Antonietta e Grazia.

Il fratello Gennaro emigrò in Venezuela nel secondo dopoguerra.

Come figli ebbero: Gennaro, Vincenzo, Maria, Sabato, Antonietta, Vittorio, Concetta (deceduta prematuramente), Giovanni, Carmela e Michele.

Gennaro e Sabato emigrarono anche essi in Venezuela, chiamati dallo zio Gennaro come maestranze specializzate in agricoltura per collaborazione nella fattoria,che lo zio conduceva in terra Venezuelana.

Fecero, poi, rientro in patria.

Gli altri figli maschi trovarono occupazione nell 'edilizia e tutti esperti muratori e non trascurarono la coltivazione dell'orto e dell 'allevamento avicolo.

Il nonno Aniello era responsabile delle operazioni d'irrigazione dei campi, gestita dal Consorzio dell 'Agro e aggregò in tale attività il figlio Gennaro, al suo rientro dal Venezuela.

Il figlio Sabato, invece, al rientro dal Venezuela inizio un 'attività edile- pavimentista. Le figlie ad eccezione di Antonietta (esperta ”Maestra Terriera ”), andarono tutte spose a bravi muratori locali.

L 'edilizia di quei tempi era fiorente.

Di mio padre Vittorio, abile e instancabile maestro muratore, annoto che non ha mai voluto emigrare (anche se sollecitato da allettanti proposte di lavoro) per attaccamento alla terra natia e alla famiglia.

Sebbene in pensione non manca di eseguire qualche lavoretto facendo tutto da solo. Unitamente alla mamma, Elena Lombardi, hanno tirato su noi figlioli (due maschi, più due femmine) nei valori morali della tradizione familiare.

Ho tralignato dall 'attività paterna e svolgo attività di parrucchiere, però dal 2004 ricalco le orme del nonno Aniello come Priore dell 'Arciconfraternita di Maria SS.ma Immacolata Concezione: lo fece lui per più di quaranta anni, anche nel periodo della seconda Guerra Mondiale.

Come accennavo all'inizio, le famiglie contadine, nei primi anni del XX secolo, avevano la peculiare connotazione di essere ”unità allargata ”, nel senso che comprendevano i consanguinei di un medesimo stipite non solo, ma anche nuclei o componenti di famiglie diverse.

Erano decisamente numerose e non a caso le statistiche non registravano la denatalità di oggi, con incremento demografico vicino allo zero, che preoccupa l'avvenire del Paese. Era del tutto normale, insomma, che i suoi componenti fossero numerosi: i poderi da mettere a cultura richiedevano molte braccia.

La figliolanza costituiva una vera e propria ricchezza e poiché spesso non era sufficiente alle necessità della terra, data l 'urgenza agraria, fonte di sussistenza di tutti e della zootecnia, si faceva ricorso all 'aggregazione di altra o altre famiglie.

La famiglia rurale, inserita in un sistema economico di tipo artigianale- contadino, spiccava di un 'autorità patriarcale o matriarcale.

Il governo degli affari familiari era affidato ai più anziani, ritenuti da sempre persone di oculata saggezza, comprovata esperienza e per questo degne di grande rispetto.

Nella famiglia regnava l 'armonia e la collaborazione sotto l'occhio vigile e attento del “capo” e della “massaia ”.

Il “capo ” programmava e dirigeva i lavori, curava, se del caso, i contatti con il fattore del proprietario terriero, maneggiava il contante in entrata e in uscita. L 'ubbidienza era il fondamento di tutto, anche perché il da farsi era il risultato di un comune accordo.

Il momento del pasto, lo stare insieme intorno allo stesso tavolo era il momento più significativo di affetto, di discussione, di decisioni ed esaltava i valori più significativi della famiglia.

L '”allevatore”, poi, era preposto a compiti ben definiti, come pure gli altri componenti della famiglia erano addetti a lavori e compiti specifici in relazione alle loro capacità e alle loro inclinazioni personali.

L '”allevatore” era - diciamo oggi - l 'esperto di zootecnia, per cui aveva in cura il bestiame, fonte di ricchezza, e anche il loro “veterinario ” nei casi necessari.

Dava loro erba o fieno a seconda delle stagioni.

Era anche stalliere: sostituiva la paglia sporca e bagnata con altra asciutta; con una “carretta”trasportava il letame in una fossa del campo all 'uopo predisposta, onde, assieme ad altri rifiuti organici, diventasse un ottimo concime naturale per i campi.

Questo tipo di famiglia patriarcale era del tutto autosufficiente o quasi, per quanto concerne il vettovagliamento: forno in casa, allevamento di animali da cortile, di suini, ecc.

Anche oggi nei supermercati è venduto il cosiddetto “pane cafone” con tanto di etichetta sulle pezzature di cellofan.

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