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San Giorgio Storia

 

Castel San Giorgio

Peregrinazione delle Sacre Spoglie di Sant' Alfonso Maria De Liguori

San Giorgio - Lanzara - Fimiani

di Rocco Amendola

 

GLI _SCRITTI__ALFONSIANI

Prof. Luigi Torraca

Prof. Ordinario - Cattedra di Greco Antico - Università di Salerno

 

 

Discorso pronunciato la sera del 7 Luglio 1971 nella Basilica Pontificia di Pagani

Omissis

( si omette la parte iniziale in cui il Prof. Torraca ripercorre la vita di S. Alfonso )

Il fulgore delle virtù cristiane di Alfonso illuminò presto e interamente la Chiesa di Dio.

Già il 4 maggio 1796 Pio VI firmò il decreto con cui si introduceva la causa del servo di Dio e gli si conferiva il titolo di venerabile.

Il 7 maggio 1807 Pio VII proclamò l'eroicità delle sue virtù.

Il 15 settembre 1816 Pio VII celebrò solennemente nella basilica di S. Pietro la cerimonia della beatificazione.

Il 26 maggio 1839 Gregorio XVI iscriveva il beato Alfonso Maria de' Liguori nel numero dei Santi confessori e pontefici.

Finalmente Pio IX con un suo Breve del 7 luglio 1871 annunziò alla cristianità l'onore eccezionale che il santo aveva meritato con la sua dottrina.

Dopo avere ricordato la scienza e la pietà di S. Alfonso, le innumerevoli istanze di tutto il mondo cattolico, le deliberazioni dei cardinali, il decreto sottoposto alla sua approvazione, Pio IX pronunziò questa solenne dichiarazione: « In virtù della nostra apostolica autorità, accordiamo e confermiamo il titolo di Dottore aggiudicato a S. Alfonso Maria de' Liguori, e vogliamo che tutta la Chiesa lo riconosca per sempre come uno de' suoi Dottori, e che le sue opere, i suoi libri, commentari, opuscoli, sieno citati e adottati come quelli degli altri Dottori della Chiesa, non solo in particolare, ma pubblicamente nelle scuole, nei collegi, nelle accademie, nelle tesi, nei discorsi, nelle prediche, e in qualsiasi esercizio relativo all'insegnamento cattolico. Tale è la nostra decisione, tale è la nostra volontà »

Le opere di S. Alfonso possono raccogliersi in tre gruppi:

a) opere di teologia morale;

b) opere di teologia dommatica;

c) opere di ascetica.

La più importante opera di teologia morale è indubbiamente la Theologia moralis, pubblicata per la prima volta a Napoli nel 1748 con il titolo: Medulla theologiae moralis R. P. Hermanni Busenbaum S. J. cum adnotationibus per R. P. D. Alphonsum de Ligorio adiunctis.

Il Busenbaum tra il 1645 ed il 1650 aveva pubblicato la sua Medusa theologiae moralis, opera in cui aveva applicato alla pratica la dottrina dei teologi classici attenendosi ai canoni del probabilismo.

La Medulla ebbe più di 200 edizioni fino al 1776; si spiega quindi come S. Alfonso scegliesse proprio quest'opera per il suo primo disegno di teologia morale.

L'edizione del 1748 è un timido tentativo con il quale S. Alfonso illustra e completa le concise formule del Busenbaum; ma quelle brevi note già tradiscono la mano del maestro.

Nella seconda edizione, pubblicata a Napoli negli anni 1753-1755, S. Alfonso aggiunse in appendice una dissertazione intitolata De usa moderato opinionis probabilis. Nelle successive edizioni il santo dottore inserì sempre nuove dissertazioni, che per la maggior parte divennero semplici capitoli dell'opera.

Tra queste dissertazioni spiccano per acutezza e profondità di pensiero le seguenti: Dissertatio super abusu maledicendi mortuis, già pubblicata separatamente nel 1746; Dissertatio super censuris circa Immaculatam B. M. Virginis conceptionem, scritta nel 1748; Dissertatio de Romani Pontificis auctoritate et infallibilitate, scritta pure nel 1748; Dissertatio de iusta prohibitione et abolitione librorum nocuae lectionis, pubblicata separatamente nel 1754 e inserita nella seconda edizione della Theologia.

Un discorso a parte merita la Dissertatio de usu moderato opinionis probabilis, perché sulla vexata quaestio del probabilismo S. Alfonso scrisse vari opuscoli, proteso com'era verso la ricerca di una soddisfacente soluzione di questo grave problema.

Già nel 1749 S. Alfonso aveva scritto una Dissertatio scholastico - moralis prò usu moderato opinionis probabilis in consursu probabilioris.

Nel 1755, sotto lo stesso titolo, pubblica una seconda dissertazione, in cui riprende gli stessi argomenti, ma con maggiore ampiezza di discussione e con un più preciso ordine di svolgimento.

Queste due dissertazioni, pubblicate sotto il velo dell'anonimato, non ebbero alcuna diffusione né mai trovarono posto nelle varie edizioni della Theologia moralis.

Pertanto la Dissertatio inserita nella seconda edizione della Theologia moralis è uno scritto diverso dalle due dissertazioni scolastico - morali.

Nel 1757, per la terza edizione della Theologia, S. Alfonso scrisse una nuova dissertazione dal titolo: Dissertatio de usu moderato opinionis probabilis.

Tale dissertazione ricompare nella quarta edizione della Theologia del 1760 e nella quinta edizione del 1763.

Mettendo a confronto queste varie dissertazioni, lo studioso può delineare con chiarezza l'evoluzione del pensiero di S. Alfonso, che impiega tutte le sue energie speculative nella ricerca della formula definitiva.

Tale sistemazione definitiva il pensiero alfonsiano trovò in una breve dissertazione italiana scritta nel 1762 con il titolo: Dell'uso moderato dell'opinione probabile. L'anno successivo S. Alfonso tradusse in latino questa dissertazione, modificandola in qualche parte, con l'intenzione di inserirla nella quinta edizione della Theologia in luogo della dissertazione del 1757.

Per una grave disattenzione dell'editore tale sostituzione non fu fatta. S. Alfonso rimaneggiò ancora la dissertazione trascurata dall'editore e l'inserì nella sesta edizione del 1767. Nella settima edizione del 1773, alla fine del trattato sulla coscienza troviamo un Monitum, in cui l'autore precisa ancora il suo pensiero sul probabilismo.

Nell'ottava edizione del 1779 tale Monitum è fuso col trattato De systemate morali.

La nona edizione del 1785 è una semplice ristampa dell'ottava edizione.

Prima di passare ad esporre il pensiero di S. Alfonso sulla questione delle leggi dubbie, probabili, più probabili, meno probabili, egualmente probabili, sarà opportuno delineare rapidamente la tematica di questa grossa questione, che agitò il pensiero dei moralisti nel XVII e nel XVIII secolo.

Molte leggi morali, rapportate alle singole e irrepetibili situazioni individuali ed esistenziali, perdono alla luce della coscienza il rigore dell'imperativo etico e sembrano, per così dire, relativizzarsi non certo nel loro intrinseco valore morale, ma almeno nella loro pratica applicazione.

Ad esempio, il quinto comandamento proibisce l'omicidio; ma non vi sono circostanze in cui la società o lo stesso individuo possono uccidere senza trasgredire la legge divina ?

Quale criterio guiderà l'individuo, fedele o confessore, nel determinare fin dove, nei singoli casi, la legge è obbligante?

Quando la legge morale da una parte e la libertà della coscienza individuale dall'altra sono sostenute entrambe da ragioni abbastanza valide, si deve seguire la legge o agire secondo libertà?

I teologi della prima metà del XVII secolo stabilirono che è permesso seguire un'opinione meno probabile in favore della libertà e quindi non essere vincolati da una legge che obblighi sulla base di più probabili ragioni.

Contro il lassismo di questi casisti rivolse nel 1656 la quinta lettera Provinciale B. Pascal; circa venti anni dopo, il 2 marzo 1679, Innocenzo XI condannò come perniciose e scandalose ben 65 proposizioni dell'indirizzo lassista.

Reagendo alle esagerazioni del probabilismo alcuni moralisti sostennero che l'opinione favorevole alla libertà può essere seguita solo quando sia più probabile dell'opposta opinione, favorevole alla legge.

Di qui il nome di probabiliorismo dato a questa scuola.

S. Alfonso nella dissertazione scolastico - morale del 1749 segue l'indirizzo probabilistico, ma si ferma innanzi alle esasperazioni del sistema.

La formula che segna il limite del probabilismo alfonsiano in questa dissertazione è : « Licitum est sequi opinionem probabilem in concursu probabilioris ,modo illa gravi motivo nitatur, sive intrinseco, scilicet ex ratione, sive extrinseco ex auctoritate doctorum ».

Questa formula, però, non appaga del tutto l'ansia di certezza di S. Alfonso, il quale teme che, una volta ammessa la liceità di seguire l'opinione favorevole alla libertà, anche quando questa sia meno probabile dell'opinione favorevole alla legge, si possa poi, con eccessiva leggerezza, prescindere dalla legge.

La sua costante preoccupazione è di trovare una soluzione tale del problema, che salvaguardi del pari e i diritti della libertà e l'imperatività della legge.

Questa profonda esigenza si rivela manifestamente già nella prefazione premessa alla seconda edizione della Theologia moralis del 1753-1755.

Scrive S. Alfonso: « Leggendo gli autori, ne ho trovati dei troppo indulgenti che, senza preoccuparsi del vero, scrivono per piacere al mondo, come si esprime Isaia: Die nobis placentia. Sempre pronti a mettere guanciali sotto il capo dei peccatori, li addormenta nel vizio.

Non è a mettere in dubbio che questi teologi cagionano immenso danno alla Chiesa, poiché coloro che amano la via facile, si affrettano a seguir le loro massime.

Ne ho trovati altri che, nella loro eccessiva rigidità, confondono i consigli con i precetti, e caricano le coscienze di precetti nuovi non tenendo conto dell'umana fragilità.

Gli uni menano alla perdizione le anime con la rilassatezza, gli altri con lo scoraggiamento. Componendo questa nuova opera mi sono proposto di tenermi nel giusto mezzo, tra il lassismo e il rigore .

Per trovare il giusto mezzo tra l'eccessivo rigorismo giansenistico e il riprovevole lassismo di certuni casisti, S. Alfonso prende in esame, con sottile acribia e instancabile accuratezza, le opinioni degli autori degli ultimi due secoli, pronunciando sempre il suo ponderato giudizio.

Scrive ancora nella prefazione della seconda edizione della T Reologia -. « Per illuminarmi nelle questioni dubbie non ho indietreggiato dinanzi a nessuna fatica.

Ho consultato gli autori classici così antichi come moderni, quelli dell'opinione mite e quelli dell'opinione rigida.

Mi sono specialmente dato cura di esaminare nelle loro fonti tutti i testi di diritto canonico, relativi alle materie trattate; ho notato accuratamente i passi dei padri corredandoli di riflessioni; ho trascritto e riportato le dottrine di S. Tommaso attinte alle lor fonti: nelle controversie intricate, quando mi era impossibile risolvere i miei dubbi con la lettura degli autori, ho consultato delle dotte persone i cui lumi potevano essermi utili.

Nel valutare le opinioni, ho sempre tenuto conto più della ragione che dell'autorità: prima di pronunziare il mio giudizio, ho procurato di conservare la più completa indifferenza per non la­ sciarmi commuovere né dal pregiudizio, né dalla passione.

Avendo così determinato, per quanto mi è stato consentito di fare, il preciso valore rispettivo delle opinioni, ho dato loro la nota caratteristica di: meno probabile, egual­ mente probabile, più probabile, e per non lasciare perplessi i lettori, mi sono studiato d'indicare nei più dei casi l'opinione da me adottata, contrariamente a tanti autori che si contentano di riportare le opinioni altrui, senza far conoscere la propria, con gran delusione di coloro che leggono le loro opere » .

Queste opinioni, che l'autore divide in tre classi, meno probabili, egualmente probabili, più probabili, possono essere indiscriminatamente tutte adottate ?

Circa l'opinione meno probabile S. Alfonso in quest'opera si trincera dietro un prudente agnosticismo: « Non mi propongo — egli scrive — di studiare in questa opera, se si possa o no seguire l'opinione meno probabile di fronte ad una più probabile.

Questa controversia, che si agita da due secoli e particolarmente nel nostro tempo, ha affaticato molto la penna dei dotti, i quali, a mio avviso, sono riusciti a illuminar noi tanto meno, quanto più sono andati essi scaldandosi; con un po' più di moderazione, sarebbero riusciti meglio a mettere in luce la verità.

Non tratto dunque siffatta questione, quantunque io dichiari d'ignorare il perché si rigetterebbero come improbabili delle opinioni appoggiate su di uno stabile fondamento di verosimiglianza o d'autorità, quando l'opinione opposta non ha affatto dalla parte sua un'autorità infallibile o una evidente ragione che ci convinca della sua verità »

Nella seconda dissertazione scolastico - morale del 1755, S. Alfonso riprende la formula del 1749, ma la restringe con la clausola: « nisi probabilitatis excessus sit notabilis ».

Che è poi la teorizzazione dell'opinione timidamente espressa nella prefazione del 1753.

Tuttavia anche questa formula, che pur limita con prudenti e fondate riserve il probabilismo, appare insoddisfacente a S. Alfonso, sempre sollecito di evitare gli opposti scogli del lassismo e del rigorismo, che, quasi Scilla e Cariddi, minacciano l'intuizione e l'applicazione della giusta norma.

Nella versione latina della dissertazione Dell'uso moderato dell'opinione probabile, del 1762, S. Alfonso delinea per la prima volta un nuovo sistema morale, requiprobabilismo, in cui si conciliano e armonizzano le antitetiche e autentiche esigenze morali, latenti, pur tra vari errori, sia nel rigorismo che nel lassismo.

Libertà e legge, precetto e consiglio, norma e coscienza trovano il loro punto giusto di equilibrio. « Cum opinio minus tuta — scrive S. Alfonso — est aeque probabilis, potest quis eam licite sequi... non licet sequi opinionem minus probabilem quando opinio quae stat prò lege est notabiliter et certo probabilior ».

La teoria è ripresa e riconfermata con maggiore vigore e chiarezza nella sesta edizione della Theologia del 1767: « Dico igitur non licere sequi opinionem minus probabilem, cum opinio quae stat prò lege est notabiliter aut certo probabilior; dico aut certo, quia cum opinio prò lege est certo et sine ulla haesitatione probabilior, tum opinio illa non potest esse nisi notabiliter probabilior. Cum opinio minus tuta est aeque vel fere aeque probabilis, potest quis eam licite sequi ».

Nella Dichiarazione del Sistema, del 1774, S. Alfonso spiega chiaramente le motivazione e le finalità del suo equiprobabilismo: « Non ho scritto per farmi una reputazione di uomo sapiente, ma per la gloria di Dio e per la salute delle anime. Ho scritto contro gli autori troppo indulgenti, i quali non mi hanno risparmiato né querimonie né dispregi.

L'ho fatto per non veder la morale cristiana allargata da questa libertà senza freno delle opinioni, che Alessandro VII disapprovava chiamandole un modo di opinare affatto contrario alla semplicità del Vangelo. Ho scritto egualmente contro gli autori troppo rigidi, per non veder le coscienze incatenate e le anime in procinto di perdersi per le esigenze di un ingiusto rigorismo ».

Le tesi e le formulazioni dell' equiprobabilismo alfonsiano hanno la loro fonte nell'opera di uno dei più grandi teologi del Settecento tedesco, Eusebio Amort, che a sua volta si rifaceva al grande moralista Cristoforo Rassler di Dilligen. Come scrive acutamente il Hàring , la premessa fondamentale dell' equiprobabilismo è la tesi espressamente sostenuta da S. Paolo, S. Agostino, S. Tommaso, secondo cui l'elemento fondamentale della Legge Nuova è la grazia dello Spirito Santo, mentre la Legge scritta retrocede al secondo posto e conserva validità solo in quanto indica il retto uso di questa grazia. Ciò che prescrive la legge non è la pienezza del bene.

L'equiprobabilismo, a differenza del probabilismo, ricerca e osserva la volontà di Dio sia nella legge scritta sia nelle situazioni esistenziali, non esprimibili in termini di legge, ma non per questo contrarie alla legge.

La prodigiosa attività di S. Alfonso non rimane conchiusa entro i confini della teologia morale, ma si allarga ai più rilevanti problemi della teologia dogmatica.

Tra le opere di teologia dogmatica sono da ricordare in primo luogo quegli scritti composti per dimostrare la verità della religione cattolica contro la cultura laicistica e immanentistica del tempo.

Nel 1756 pubblicò una Breve dissertazione contro gli errori de moderni increduli, oggidì nominati materialisti e deisti. In questo opuscolo, con convincente dialettica, mette in luce le interne e insanabili contraddizioni dell'ateismo, del panteismo, del deismo.

A questo primo opuscolo seguì nel 1762 una nuova operetta intitolata: Evidenza della Fede, ossia verità della Fede fatta evidente per i contrassegni della sua credibilità. S. Alfonso, seguendo il metodo adottato dai Padri della chiesa greca, dimostra la verità della religione cattolica dopo aver confutato gli errori del pensiero moderno.

Queste due dissertazioni preparano il grandioso trattato apologetico intitolato Verità della Fede, che vide la luce nel 1767.

L'opera è suddivisa in tre parti: nella prima parte l'autore riprende le cinque prove di S. Tommaso circa l'esistenza di Dio e le svolge con vigore di speculazione e lucidità di discorso. Discute poi assai validi argomenti le teorie di Hobbes e Locke sull'anima e il panteismo di Spinoza; nella seconda parte polemizza con i deisti che negano ogni religione rivelata; nella terza parte dimostra che la Chiesa di Roma, una, santa, cattolica, apostolica, è la vera Chiesa di Dio e difende il magistero infallibile e il supremo potere di giurisdizione del Vescovo di Roma.

S. Alfonso è instancabile nel sostenere il buon diritto del Romano Pontefice, successore di S. Pietro e quindi pastore sovrano della Chiesa universale.

Già nel 1748 aveva scritto su tale argomento una interessante dissertazione De Romani Pontificis supra concilium oecumenicum auctoritate, atque in fidei quaestionibus infallibilitate.

Nel 1768 S. Alfonso, con ben altra larghezza di discussione e copia di testimonianze patristiche e conciliari, riprende l'argomento nell'opera Vindiciae prò suprema Romani Pontificis potestate contra Iustinum Febronium, opella ab Honorio de Honoriis elucubrata.

L'opera fu pubblicata sotto un pseudonimo, perché S. Alfonso temeva che la dichiarata paternità del trattato, in quei tempi di accese dispute tra regalisti e antiregalisti, potesse essere di grave nocumento alla Congregazione.

L'autore combatte le teorie del tedesco Johann Nikolaus von Hontheim, coadiutore dell'arcivescovo elettore di Treviri e consigliere del principe elettore Georg von Schònborn, che nel 1763 sotto lo pseudonimo di Giustino Febronio aveva scritto un'opera intitolata De praesenti statu Ecclesiae deque legitima potestate Romani Pontificis. Secondo il Febronio Cristo ha trasmesso la sua autorità alla universale comunità dei fedeli, nella quale radicaliter et principaliter risiede quell'autorità.

I vescovi hanno soltanto l'uso e l'esercizio di questa potestà, che deriva loro direttamente da Dio senza alcun intermediario. L'autorità del Papa sui vescovi è pari all'autorità di un metropolita sui suoi suffraganei.

Il concilio ecumenico dei vescovi è al di sopra del papa, il quale in seno al collegio episcopale non ha se non una preminenza di onore.

Contro queste teorie S. Alfonso stabilisce fermamente che alla Chiesa presiede un solo capo supremo e infallibile : questi possiede ogni giurisdizione sull'ovile del Signore, da lui i pastori particolari ricevono i poteri ed a lui tutti, clero e laicato, sono sottomessi.

Questi due scritti di S. Alfonso sul papa, tradotti in francese e arricchiti di numerosi altri capitoli, desunti da varie opere del santo dottore, costituirono un volume dal titolo Le pape et le concile e prepararono direttamente la definizione del Vaticano Primo circa il primato e l'infalli- bilità del Romano Pontefice.

S. Alfonso, sollecito com era del bene e della salvezza delle anime, non poteva trascurare un punto fondamentale della soteriologia cristiana, il problema della grazia, che divideva e contrapponeva tomisti e molinisti.

Su tale argomento scrisse nel 1759 l'opera Del gran mezzo della preghiera; nel 1769 il Trattato dommatico contro i pretesi riformati, che conteneva in appendice un opuscolo in­ titolato Modo d'operazione della grazia.

Il Santo riconduce alla preghiera tutta la complessa problematica relativa alla grazia e alla salvezza.

Nell'introduzione all'opera Del gran mezzo della preghiera, egli scrive: « Ho pubblicato vari lavori spirituali, ma non credo d'averne scritto alcuno che sia utile più di questo. Vorrei che mi fosse possibile stamparne tante copie quanti sono i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarlo ad ognuno, acciocché intendesse la necessità che abbiamo tutti di pregare per salvarci.

Questa necessità assoluta della preghiera, la vedo insegnata con insistenza in tutti i libri santi in tutti gli scritti dei Padri. Da un altro canto vedo i cristiani dimenticare questo mezzo di eterna salute e, quel che più mi affligge, i predicatori ed i confessori trascurare di parlarne ai loro uditori ed ai loro penitenti.

I libri spirituali che oggidì scorrono per le mani dei fedeli neppure ne parlano abbastanza: quando tutti i predicatori, tutti i confessori, tutti i libri non dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa dell'obbligo di pregare.

Ben essi inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi la grazia di Dio, come la fuga delle occasioni, la frequenza dei sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditar le massime eterne ... ma, domando io, a che cosa serviranno tutti questi mezzi senza la preghiera, quando il Signore ha dichiarato che non vuol concedere le sue grazie se non a chi prega: Petite et accipietis ?

Senza la preghiera (parlando secondo la provvidenza ordinaria) resteranno inutili tutte le nostre meditazioni, tutti i nostri propositi e tutte le nostre promesse.

Se non preghiamo, saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione si è, perché a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitar le virtù, insomma ad osservare interamente i divini precetti ... vi bisogna l'attuale aiuto di Dio, che non con­ cede se non a chi prega e perseverantemente prega... ».

Secondo S. Alfonso vi sono delle opere che possiamo compiere con la grazia ordinaria {ab extrinseco) accordata da Dio a tutti gli uomini. Questa grazia rende gli uomini capaci anche di pregare.

Vi sono poi opere difficili che non possiamo compiere senza un aiuto straordinario del Signore: fra queste opere sono le lotte che dobbiamo sostenere contro la carne, contro il mondo, contro il demonio per osservare la legge di Dio.

Alcune tentazioni sono tanto forti che non possono essere vinte senza l'aiuto di una grazia straordinaria ( ab intrinseco ).

S. Alfonso insiste in vari capitoli delle sue opere sulla necessità di questa grazia trionfante, per mezzo della quale Dio non solo eccita l'anima a volere, ma la determina a volere infallibilmente, benché liberamente, ciò che vuole egli stesso.

Questa grazia efficace non è affatto comune a tutti: ove così fosse, nessuno si perderebbe, perché le grazie efficaci ottengono infallibilmente il loro effetto.

Ma Iddio, essendo bontà infinita e volendo tutti salvi, ha dato a tutti un mezzo sicuro e infallibile per ottenere queste grazie necessarie all'eterna salute: la preghiera.

Di qui segue che la preghiera è necessaria per la salvezza, non solo in quanto precetto, perché Nostro Signore ce ne fa obbligo, ma in quanto mezzo, perché Dio, secondo la sua provvidenza ordinaria, non accorda le grazie efficaci se non a chi le chiede.

In sostegno di questa tesi S. Alfonso cita una lunga serie di passi delle Scritture e dei Padri ed, in primo luogo, la sentenza di S. Agostino: « Deus dare vult, sed non dat nisi petenti ».

Tra le opere ascetiche ricorderemo Le massime eterne, ovvero meditazioni per ciascun giorno della settimana, le Considerazioni sulla Passione di Gesù Cristo secondo i Vangelisti, le Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo ed i vari e numerosi scritti sulla spiritualità, sulla perfezione religiosa, sulla perfezione sacerdotale.

Assai semplice è il sistema ascetico costruito da S. Alfonso: amare Dio con tutto il cuore e servirlo nell'esercizio di tutte le virtù; pregare senza sosta per ottenere la grazia di poter compiere sempre questo duplice dovere. Amore e preghiera sono i pilastri della spiritualità alfonsiana: amore per donarci a Dio, preghiera per chiamare Dio in noi.

Dopo Gesù, Maria occupa il primo posto nel cuore di S. Alfonso, che alla Mediatrice Universale di tutte le grazie dedicò nel 1750 un'opera degna di rilievo, Le glorie di Maria. Con questo libro il Santo Dottore reagisce efficacemente contro i protestanti e contro alcuni fra gli stessi cattolici, i quali avevano tentato di ridurre entro angusti limiti a partecipazione della Madonna al piano divino dell'umana redenzione.

Fra questi autori era il famoso Ludovico Antonio Muratori, il quale in un suo scritto intitolato Della regolata Devozione nega espressamente la mediazione universale di Maria e protesta contro pretesi eccessi del culto mariano.

S. Alfonso, che per dieci anni aveva studiato e approfondito la mariologia nei Santi Padri e negli autori sacri, afferma esplicitamente che Maria è la Corredentrice del genere umano.

Il Redentore è la sorgente della vita, Maria è il canale attraverso cui la vita arriva fino a noi. « Questa proposizione — scrive il Santo — che quanto di bene noi riceviamo dal Signore tutto ci viene per mezzo di Maria, non molto piace ad un certo autor moderno (è chiara l'allusione al Muratori), il quale, peraltro, sebbene parla con molta pietà e dottrina della vera e falsa divozione, nulladimeno parlando della divozione verso la divina Madre si è dimostrato molto avaro nell'accordarle questa gloria che non hanno avuto scrupolo di darle un San Germano, un Sant'Anselmo, un San Giovanni Damasceno, un San Bonaventura, un Sant'Antonino, un San Bernardino da Siena, il venerabile abate di Celles e tanti altri dottori...

Dice il mentovato autore che una tal proposizione, cioè che Dio non faccia alcuna grazia se non per mezzo di Maria, è un'iperbole, ed un'esagerazione caduta di bocca al fervore di alcuni Santi... e che sarebbe errore il credere, che Dio non ci potesse concedere le grazie senza l'intercessione di Maria; poiché... non riconosciamo che un sol mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo...

Noi — afferma S. Alfonso — ben confessiamo che Gesù Cristo è Punico Mediatore di giustizia... ma diciamo anche che Maria è Mediatrice di grazia, e che sebbene quanto ella ottiene l'ottiene per i meriti di Gesù Cristo... tuttavia noi abbiamo le grazie per mezzo della sua inter­ cessione ». Pertanto, secondo il Santo Dottore, l'intercessione di Maria è non solamente utile alla nostra salvezza, ma necessaria; non di necessità assoluta, ma di necessità morale, perché, come dichiara S. Bernardo, « ni/uZ Deus habere nos voluit, quod per manus Mariae non transiret ».

Le glorie di Maria costituiscono un'opera non solo ascetica, ma anche dogmatica. In essa la profonda scienza teologica si congiunge, nella più perfetta armonia, alla vasta erudizione e alla fervida pietà filiale. Per trovare nella letteratura religiosa qualcosa di simile bisogna risali­ re a S. Bernardo.

Tali nelle sue linee fondamentali le dottrine di S. Alfonso Maria de' Liguori.

E ci piace concludere con le parole di S. E. Mons. Nuzzi, il quale, nella sua Lettera pastorale in occasione del primo centenario della proclamazione di S. Alfonso a Dottore della Chiesa, così scrive : «S. Alfonso si staglia gigante nella fitta schiera dei maestri di verità, perchè tutte le sue energie impegnò a creare nelle coscienze il regno di Dio, che è sopratutto regno di verità, di giustizia, di amore, di pace. Se vivesse ancora oggi su questa terra, farebbe quello che fece al suo tempo: lavorerebbe per presentare Gesù Cristo e la sua Chiesa come la maestra e la custode dei valori più alti della umanità ».

Pagani 7-7-1971 - Prof.Luigi Torraca

 

 

 

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