_______ IL NAVICORDO

Narrativa

STORIA DI UNA FUGA ANNUNCIATA

RACCONTO STORICO

di Giovanni Salierno

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" IL RACCONTO STORICO "

 

IMMAGINE TRATTA DA GOOGLE MAPS

Lo scopo era quello di far circolare la voce, magari farla arrivare anche alle orecchie tedesche: “che il trasporto dei detenuti non avrebbe potuto avere luogo con quel motopeschereccio”. Allo stesso tempo, un gozzo a vela di proprietà di un residente di Monte Argentario con al timone il fidato Paolo, anche egli un abile marinaio locale, fu inviato a Porto Santo Stefano. Qui avrebbe dovuto incontrare il Comandante della “Maria Teresa”, natante attrezzato per la traversata verso la Sardegna.

La barca, dell'armatore Costanzo, residente a Porto Santo Stefano, era stata in precedenza requisita dai tedeschi. Quest'ultimi, intendevano impiegarla in operazioni militari. Per sottrarla a tale uso, il capitano di nome Sirio, da qualche tempo asseriva che l'imbarcazione per una serie di avarie al motore, non era in grado di navigare. Alle rivelazioni del marinaio Paolo, il Comandante Sirio non esitò a fornire la sua incondizionata disponibilità all'impresa. Il giorno seguente il Maria Teresa entrò in rada avanti il porto del Giglio. Per evitare sorprese nemiche rimase all'ancora senza ormeggiare alla banchina. Intanto, il maresciallo Luchini continuava la sua attività preparatoria.

La traduzione dei detenuti per Orbetello fu programmata per il 23 ottobre alle ore 14.00. Per lo spostamento furono comandati il vice brigadiere Francesco Ferranti con l'incarico di capo scorta e i carabinieri Agostino Merlini Antonio Casalucci e Ambrogio Salamida. Negli stessi istanti, il maresciallo Luchini ordinò all'appuntato Curti di traslocare dal “Santa Teresa” al “Maria Teresa” tutte le armi, il vettovagliamento e le buffetterie del soppresso posto fisso di Giannutri. Durante le operazioni di carico i due carabinieri Fasano e Giampaoli “annusando” aria di fuga, chiesero di poter far parte del convoglio. Il Comandante Sirio non esitò e li trattenne a bordo. Alle ore 15.15 del 23 ottobre il Luchini inviò una pattuglia presso la casa del Brigadiere della Regia Finanza per prelevare le armi del soppresso presidio militare del Giglio e quelle requisite ai privati. L'armamento doveva essere trasportato e consegnato ai tedeschi insieme ai prigionieri. Il Delegato di Spiaggia, febbricitante, accompagnò i carabinieri presso l'abitazione della signorina Azzolina, dove in un deposito si trovavano le armi. I due Carabinieri caricarono il munizionamento in groppa a due somari e insieme al Brigadiere, si diressero verso il porto.

Giunti nei pressi della banchina, il Delegato di Spiaggia chiese al comandante Sirio se avesse i documenti d'imbarco. Alla richiesta senti rispondere che i documenti non erano ancora pronti per il mancato funzionamento della Capitaneria di Porto Santo Stefano. In realtà anche il Delegato di Spiaggia sapeva bene ciò che stava avvenendo. Quindi evitò ogni tipo di approfondimento o ispezione della nave, asserendo, appunto (nella successiva inchiesta) che “il suo precario stato di salute non gli consentiva di operare ispezioni”. Verso le ore 16.00 arrivarono i prigionieri con la scorta composta dal vice brigadiere Ferranti e dai tre carabinieri. Prima di salire a bordo del "Maria Teresa" una folla di curiosi che aveva scortato il convoglio dalla caserma al porto, inneggiò agli aviatori americani. Allo stesso tempo i prigionieri si accomiatarono con baci e abbracci con alcuni abitanti locali. Anche il brigadiere Ferranti nell'abbracciare l'appuntato Curti, ebbe un ultimo sussulto e non esitò a chiedergli di seguirlo. Il Curti declinò l'invito rammentando al Ferranti che la sua “presenza sarebbe stata più utile e preziosa al Giglio al fianco del maresciallo Luchini”.

La partenza del “Maria Teresa” fu procrastinata alle ore 17.00 con l'intento di coprire, con il crepuscolo serale, gli ultimi preparativi. La destinazione ufficiale era Orbetello. Il Compito: consegnare i prigionieri e le armi ai tedeschi. A bordo del motopeschereccio, oltre i dieci aviatori e la scorta, vi erano, come si è già visto, i carabinieri Giampaoli e Fasano, più quattro membri dell'equipaggio. Del personale civile, tutti erano nativi di Monte Argentario e perfetti conoscitori delle acque, delle insenature, dei fondali e delle correnti del canale del Giglio. All'ora stabilita il piroscafo salpò dal porto tra le urla di tripudio degli abitanti locali. Dopo poche miglia di navigazione, il “Maria Teresa”, invertì la rotta e si diresse verso ponente.

Prima di prendere il largo, l'imbarcazione entrò nella rada del Campese per far salire a bordo il professor Ugo Baldacci, medico dell'università di Pisa dalle idee anti-totalitarie. Insieme a lui salirono a bordo anche due soldati dell'Esercito Italiano, Alfio Silvestri e Rosario Germana’, del disciolto Presidio Militare, anch'essi desiderosi di sottrarsi al giogo tedesco. Tutti occuparono un posto sul motopeschereccio che poté riprendere la navigazione. Ad un tratto, uscendo dalla rada del Campese, il comandante Sirio fermò i motori dell'imbarcazione.

Un silenzio tombale piombò tra gli uomini accucciati nella stiva. In lontananza, il Comandante aveva avvistato una decina di motozattere tedesche che seguivano la rotta tra Santo Stefano e Giannutri. Onde evitare d'incrociarle aveva fermato il motopeschereccio. Dopo alcune ore che sembrarono eterne le imbarcazioni tedesche si allontanarono verso levante. A questo punto il “Maria Teresa” ripartì dalla rada del Campese e si diresse in mare aperto mantenendo la rotta a ponente, verso la libertà. Coloro che avevano seguito le vicende della partenza non si meravigliarono per nulla quando videro l'imbarcazione prendere il largo verso la Sardegna o la Corsica. Segno fatale che nonostante le moltissime precauzioni, la notizia della fuga, seppur attentamente celata dal maresciallo Luchini, fosse di dominio pubblico e un desiderio condiviso da tutta la popolazione e dai carabinieri. Alle 14.00 del 24 ottobre il “Maria Teresa” approdò alla Maddalena. L'imbarcazione fu accolta festosamente dalle autorità locali e dalla popolazione. Gli aviatori americani furono consegnati al Comando Marina Statunitense mentre i due soldati italiani e le armi al Presidio Militare.

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Il professor Baldacci fu trattenuto presso il Comando Militare Marittimo per l'identificazione e rilasciato subito dopo. Il vice brigadiere Ferranti, i carabinieri che completavano la scorta e i due Carabinieri nascosti nella stiva si presentarono alle autorità locali per conferire. Dopo il rapporto furono assegnati ai comandi territoriali dell'Arma operativi sull'isola sarda. Le armi furono requisite dal Comando Militare. Molte di esse furono utilizzate nella lotta contro i tedeschi. Ma la parte più difficile di tutta l'operazione era ancora lontana dall'essere realizzata.

Sì, perché sull'isola del Giglio era rimasto il Luchini, l'artefice dell'operazione. Il Maresciallo, quando fu sicuro dell'arrivo del Maria Teresa in Sardegna inviò una elusiva comunicazione ai comandi di Orbetello. In essa dichiarò che vi fosse il sospetto di una fuga perpetrata dai prigionieri. Il convoglio partito da due giorni, infatti, non aveva ancora raggiunto quella località e fatto rientro. Il suo tentativo fu vano. Il comando tedesco avuta la conferma che il motopeschereccio era approdato in Sardegna apri immediatamente un'inchiesta. Le giustificazioni prospettate dal maresciallo destarono forti dubbi. Molti abitanti locali furono sottoposti a interrogatorio.

Quasi tutti dichiararono di non essere mai stati al corrente di piani di fuga. Tuttavia, non fu possibile eludere le responsabilità del Luchini. Quest'ultimo fu accusato di procurata evasione al Tribunale Militare di Guerra. Per lo stesso reato e per “diserzione al nemico” furono denunciati il vice brigadiere Ferranti e i carabinieri Casalucci, Salamida, Merlini, Giampaoli e Fasano. All'ira nemica non sfuggì neanche l'appuntato Curti.

Quest'ultimo quale Comandante interinale del posto fisso di Giannutri fu ritenuto direttamente responsabile della diserzione dei carabinieri Giampaoli e Fasano. Pertanto fu denunciato al citato Tribunale per “omissione di rapporto”. Allo stesso Tribunale Militare di Guerra fu denunciato anche il comandante Sirio. Così come tutti i membri dell'equipaggio. Tutti furono accusati di “arruolamento illecito di Guerra”.

Il tre novembre successivo il Luchini fu vincolato agli arresti presso la Compagnia Carabinieri di Orbetello anche per non destare sospetti tra la milizia tedesca. Dopo una quindicina di giorni il Comandante della Compagnia, capitano Giuseppe Spano, lamentando deficienze di personale, lo destinò alla Stazione Carabinieri di Magliano. In realtà il provvedimento aveva lo scopo di sottrarre l'ex Comandante del Giglio ai tedeschi che intendevano deportarlo o inviarlo al duro carcere militare.

Per la sopravvenuta liberazione del territorio il Tribunale di Guerra Fascista di Livorno non pronunziò alcuna sentenza. Nessuno dei denunciati subì condanna. Quindi l'impresa fu portata a termine con pieno e inaspettato successo. Quel che è avvenuto nel '43 tra il Giglio e l'Argentario rappresenta in maniera inequivocabile quanto fosse forte l'amore per la libertà e la giustizia tra tutte le componenti di quell'abitato. Tutti si unirono, forse inconsapevolmente forse volutamente, per salvare delle vite umane, per aggirare la vigilanza e la vendetta dell'oppressore nazista. Una menzione speciale merita il maresciallo Luchini.

Quest'ultimo riuscì a coniugare benissimo il sentimento degli abitanti e del personale con le scelte che il dovere l'obbligava in quel drammatico e confuso periodo storico. Con coraggio e grande senso di responsabilità rimase al suo posto. Per rispondere del suo comportamento in prima persona e per evitare gravi rappresaglie alla sua famiglia e agli abitanti del posto. Leale ed eroico fu il comportamento del vice brigadiere Ferranti che contribuì in maniera determinante a portare a termine la fuga sottraendosi contemporaneamente al giogo nazista.

Altrettanto coraggioso fu il comportamento dei carabinieri di scorta Agostino Merlini, Antonio Casalucci, Ambrogio Salamida, Lelio Giampaoli e Cosimo Fasano. Eroico ed encomiabile soprattutto l'atteggiamento dei membri dell'equipaggio e di tutti gli abitanti locali che presero parte attiva alla fuga incuranti del rischio di perdere la propria vita o di essere deportati. Meritevole anche il comportamento di tutti coloro che pur non prendendo parte alle operazioni, riuscirono a mantenere il segreto della "fuga annunciata" e a beffare un esercito cosi temuto come quello tedesco.

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La versione articolo giornalistico dal titolo “Rotta per la libertà” può essere letta sul Notiziario Storico dell'Arma dei Carabinieri N. 3 Anno 2017, pagina 10 E' vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma - Legge 248/00 e modifica legge 633/41 Copyright © 2018 Giovanni Salierno All rights reserved

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