_______ IL NAVICORDO

Lanzara Storia

 

LANZARA_ RICORDO _DEL_

Rev.mo Mons. Gennaro Apostolico

Di Rocco Amendola e Gaetano Izzo

SCRITTI_ E_ DISCORSI

 

" RICORDANZE "

 

Di grande tensione morale culturale apostolica

“Ricordanze”

 

Preferisco porre per titolo alla mia sintetica testimonianza il termine “Ricordanze”.

“Ricordanze” perché nella poetica leopardiana “Le Ricordanze” (“Vaghe stelle dell'Orsa”) sono non il semplice “ricordo” di momenti passati, ormai sbiaditi, ma esse, le ricordanze, costituiscono parte della vita nel suo palpitante scorrere.

 

Non ho, infatti, come finalità l'esaltazione della persona, bensì il riconoscimento doveroso di alcune doti che Mons. Don Carmine ha esplicato e che sono divenute orientamento di vita in chi le ha sperimentate.

Le sue doti si effusero come vera luce, ed esse derivavano da tre eccellenti qualità, quelle di essere educatore, maestro, amico. Le doti, tra loro coordinate, erano illuminate da un'unica fonte: lo stile sacerdotale di alto profilo.

L'arco storico è partito dall'ottobre 1938, primo incontro e iniziale conoscenza, in seguito all'ingresso in Seminario di colui che annota questi ricordi. La traiettoria della conoscenza si è proiettata fino alla conclusione della vita terrena di Mons. Don Carmine De Girolamo, arricchendosi, sempre di più, di sincera amicizia e di apprezzamento senza limite.

La capacità educativa di Don Carmine si rivelò efficace ed opportuna fin dall'inizio

del suo incarico di “Prefetto d'ordine” ed “Economo” al Seminario Arcivescovile di Salerno, allorché fece prevalere il suo progetto di raddoppiare i servizi igienici e di costruire altri servizi necessari per lavanda ai piedi e per le docce.

In seguito al suo pressante interessamento e alle sue prospettive educative fu rinnovato totalmente tutto lo stabile del Seminario. Si realizzò, quindi, l'allargamento e la sistemazione più idonea, sul piano tecnico e su quello di opportunità, di tutti i locali; fu costruita la seconda Cappella, al piano superiore; furono utilizzate le stanze per l'accoglienza, lo studio e il riposo dei superiori e dei docenti.

Tutto il rinnovamento edilizio del Seminario aveva per finalità l'acquisizione di una formazione interiore ed integrale dell'allievo, che si avviava a vita sacerdotale. E opportunamente egli diede l'incarico ad un insegnante statale di Educazione Fisica ad impartire lezioni ed esecuzioni di esercizi, in tutti i giorni della settimana, in modo alternativo alle 5 classi del Ginnasio. L'esecuzione degli esercizi ginnici, nella prospettiva di Don Carmine educatore, avrebbe procurato, anche esteticamente, una crescita fisica più corretta.

La qualità di maestro (più che professore) primeggiava soprattutto quando impartiva le lezioni di lingua italiana e lingua latina alla terza ginnasiale di quei tempi.

La lettura, il commento e l'interpretazione dei poemi e delle liriche di poeti italiani dell' ‘800 e del ‘900 avevano un fascino particolare: l'intera scolaresca, nella varietà delle potenzialità intellettive degli alunni, restava avvinta al fluire della locuzione e della forza espressiva del docente, e, in tal modo, essi avvertivano il gusto dell'apprendimento.

L'insegnamento della lingua latina, poi, nel reparto difficoltoso di tutto il complesso della sintassi, venne, in seguito alla facilitazione delle spiegazioni di Don Carmine, assimilato, anzi metabolizzato, con discreta e piena comprensione. Fu proprio allora, fatto nuovo, con Don Carmine De Girolamo, in quel tempo non ancora Monsignore, che la terza ginnasiale del Seminario cominciò a misurarsi con l'istituto statale più rinomato, il “T. Tasso” di Salerno: era una vera sfida, nelle prove scritte di Italiano e nelle due prove di Latino, con gli allievi interni dell' Istituto statale. Il risultato della sfida non faceva sfigurare gli alunni di Don Carmine; anzi, alcuni ricevevano anche le congratulazioni per la traduzione dall'italiano in Latino.

Il rendimento lusinghiero palesava, con evidenza, l'efficacia dell'insegnamento di Don Carmine, straordinario formatore della mente dei giovani.

Intanto, nel 1943, anche per la città di Salerno cominciò il periodo tragico: i bombardamenti aerei prostrarono la popolazione e distrussero edifici, linee ferroviarie e tutto ciò che doveva essere di sostegno alla vita dei cittadini. Allora cominciò la fuga di questi verso zone ritenute più sicure.

In quel periodo, il più buio della storia della città, accanto al protagonista di speranza e di incoraggiamento, l'Arcivescovo Nicola Monterisi, si ergeva la figura di Don Carmine De Girolamo, per la presenza, il coraggio, e per l'assistenza materiale e morale alla popolazione.

 

Dopo l'uragano della guerra, egli, avendo avuto l'incarico di Priore-Parroco dell'Annunziata, che territorialmente era, ed è, il cuore del potere politico e burocratico della città, con la sua discreta riservatezza, sapeva orientare i Sindaci e i Prefetti che si alterna­ vano alla guida della città, verso raggiungimenti di traguardi maggiormente indicati alla ricostruzione e al progresso di Salerno. Possedeva, tra l'altro, una dote intuitiva idonea a risolvere “a colpo d'occhio” i problemi apparentemente più intricati, anche nel campo economico; non per nulla, egli è stato, per vari anni, anche il responsabile del settore economico nell'Amministrazione dell'Arcidiocesi.

Inoltrandoci nel fluire del tempo, colui che ha avuto l'onore di stendere, nell'alone delle ricordanze, queste brevi annotazioni, ha conosciuto in Don Carmine quell' altra dote, che è la più pregevole nella convivenza umana: la dote di “amico”.

Infatti nel settembre del 1950 l'estensore di questo scritto, divenuto sacerdote, è stato vicino, per celebrazioni di Messe, al Priore dell'Annunziata, e, conseguentemente, è passato al rango di “amico”, dopo il vaglio di ex-allievo. E l'amicizia assunse un tono eminentemente culturale. Poche persone hanno avuto l'occasione di scrutare nello scrigno dorato della esistenza di Don Carmine, perché la sua multiforme attività (pastorale, sociale, educativa e amministrativa), metteva in ombra il suo merito più alto, cioè la preziosità della sua mente e della sua cultura.

Furono alcune conversazioni svolte al Lungomare di Salerno a porre in luce la dovizia dei suoi interessi letterari con diramazioni filosofiche e sociologiche.

Il tema centrale delle conversazioni riguardava la rivoluzione scientifica e industriale. “Questa, egli affermava, ha promesso l'indefinito progresso, invece ha portato soprattutto alienazione”. E le sue riflessioni chiarivano e approfondivano tale assunto. Le letture, da lui preferite, si inserivano nella grande tradizione cristiana del Manzoni, del Fogazzaro, del Tommaseo, accanto alla poesia di Ungaretti, di Clemente Rebora, di Carlo Betocchi, di Mario Luzi. I diversi volumi da leggere egli li scambiava con un altro amico che, parimenti, divorava i libri: Don Guerino Grimaldi, poi Arcivescovo di Salerno. Nell'ambito narrativo e drammatico, accanto al Novecento fiorentino di Giovanni Papini, di Domenico Giuliotti e Nicola Lisi, egli si rivolgeva alle opere di Ignazio Silone.

L'orizzonte delle conversazioni si allargava di fronte ai terribili fenomeni del tempo: il nazismo, i campi di sterminio, costruzione e utilizzo delle bombe atomiche, l'era della “guerra fredda” e a quelli inquietanti dell'industrializzazione, dell'urbanesimo, del risveglio del Terzo Mondo, di una umanità affamata e povera. Le problematiche che scaturivano dalle analisi su tali fenomeni erano da Don Carmine ben chiarite, per offrire linee orientamenti di soluzioni.

Nella fine, poi, del 1954 ci fu l'evento che mise in ginocchio la città di Salerno: l'alluvione dell'ottobre. Durante l'implacabile forza del diluvio e sotto il crollo delle abitazioni, ancora una volta Don Carmine mostrò il suo eroismo con un suo intervento immediato, superiore anche alle sue forze fisiche, nel tentativo spasmodico di salvare tutti quelli che erano travolti dalle acque e dal fango.

Ma di tale evento ci saranno altri amici a descrivere l'instancabile attività di Don Carmine.

Noi ci siamo soffermati a delineare, in succinto, alcuni aspetti della figura di Don Carmine, fino alla vigilia dell'alluvione, limitando, così il filo d'oro delle “ricordanze”.

Ed ora di fronte al suo definitivo “addio” umano rinvigoriamo la “ricordanza”.

Questa, però, è di un altro ordine, poiché non è ricordanza umana, sia pur perenne,

ma è, nella celebrazione liturgica, ricordanza divina.

Prof. Mons. Gennaro Apostolico

Docente dì Storia e filosofia

 

 

 

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