_______ IL NAVICORDO

Lanzara Storia

 

LANZARA_ RICORDO _DEL_

Rev.mo Mons. Gennaro Apostolico

Di Rocco Amendola e Gaetano Izzo

SCRITTI_ E_ DISCORSI

 

Divagazione sull'attività di Mons. Antonio Ferrentino

Il borgo di Costa e la festa di S. Luigi

 

Polivalenti erano gli interessi di don Antonio Ferrentino in rispondenza con la sua poliedrica personalità: interessi culturali, pastorali, sociali, politici, sportivi (preferenza per la squadra della Juventus) e, in coda, anche culinari.

Tra gli interessi emergeva l'impegno di incidere, profondamente nella coscienza di tutti i componenti della Comunità, la devozione in onore di S. Luigi.

Per lui S. Luigi era il punto di riferimento verso il quale egli e la popolazione avrebbero dovuto mirare, non solo per il perfezionamento interiore, ma anche per una promozione civica, essendo stato Luigi Gonzaga, da giovane un benestante che donò, oltre i beni ai poveri, anche la propria vita per aiutare i malati di peste.

In conseguenza, la festa in onore di S. Luigi, costituiva, per don Antonio, la centralità dei suoi pensieri e dei suoi impegni.

La preparazione e l'esecuzione della novena in onore di S. Luigi Gonzaga avevano carattere non solo di solennità esteriore, ma anche di perfezionamento e di intensità spirituale.

L'intero periodo della novena costituiva una fase di attrazione liturgica per l'intera popolazione di Costa.

Si avvicendavano sul pulpito i più noti tra i predicatori del tempo: così, popolarmente, venivano qualificati coloro che, con la diffusione della parola di Dio, incidevano sul cambiamento di vita spirituale dei fedeli.

Si alternavano annualmente i Padri Francescani e quelli della Congregazione del SS. Redentore.

Non dimentichiamo che tra i Frati Minori, nati nella località di Costa, vivevano, nel convento di Materdomini di Nocera Superiore, i fratelli Pergamo, dei quali Padre Basilio era un faro di luce culturale nello studio, nell'approfondimento e nella interpretazione genuina del pensiero teologico e filosofico di Duns Scoto.

Anzi fu l'interpretazione scotista, elaborata da P. Basilio Per­ gamo sulle affermazioni dell'immacolata Concezione di Maria, ad aver incidenza sulla definizione, nel 1950, del dogma della Assunzione - glorificazione di Maria Vergine.

Esaurita questa breve parentesi dell'operosità culturale di un "grande" di Costa, che è tramontato quasi in sordina, spostiamo l'obiettivo sulla festa di S. Luigi, colto in una fugace descrizione.

Tale festività era come il termometro della spiritualità e, di riflesso, della esplosione di vita gioiosa e, persino, consumistica della Comunità parrocchiale.

Il vertice di tale espressione festosa era il pranzo. Non poteva, perciò, nel giardino della vecchia casa canonica della vecchia Chiesa, ora rudere fatiscente, non celebrarsi con tutto il crisma della solennità, il pranzo di S. Luigi. La coordinatrice nella preparazione e nello svolgimento dell'intero servizio era Claudina Ferrentino, sorella di don Antonio.

I partecipanti erano sacerdoti ed amici di don Antonio, che avevano offerto disponibilità nel corso della novena di S. Luigi e nel corso di altre festività.

Atmosfera gioiosa sì, ma non luculliana. Prevaleva, anzi, una vera "cultura" del pranzo: cioè, non interessava la quantità o l'abbondanza dei contenuti delle pietanze, ma si puntava soprattutto sulla qualità, che offriva il vero gusto delle varietà dei cibi da consumare.

La regina della tavola era la consumazione della "milza" come in tutte le famiglie del borgo.

E intorno alla cottura della milza e degli ingredienti aromatici e gustosi si accendeva un vero dibattito da parte dei consumatori.

Ma il re della tavola era sempre il vino; non quello comprato o l'altro di produzioni nazionali o estere, bensì il vino preparato e curato fino alla perfezione dalla persona stessa di don Antonio e "interrato". Infatti nella cultura enofila di don Antonio, il sotterramento delle bottiglie di vino era I' "optimum" della conservazione stagionale e del mantenimento del gusto.

C'era, quindi, per l'occasione, la scaletta delle annate che partivano dai 5 anni precedenti (bottiglia preziosa!) fino all'annata ultima. La qualità del vino rosso prevaleva, nella preferenza, su quella del vino bianco.

Nella comitiva due persone emergevano nella competenza verbale e nel gusto della boccatura: il bicchiere di vino doveva essere sorseggiato o, per meglio dire: "assaggiato" e mai bevuto di colpo: eminenti enofili, don Antonio Ferrentino e don Antonio Romano.

Ma il consumo dei liquidi come dei pasti doveva essere contenuto, perché nelle ore pomeridiane si sarebbe svolta la processione in onore del Santo e, conseguentemente, bisognava evitare obnubilamenti mentali o stanchezza fisica accompagnata da sonnolenza.

Il tutto era sperimentato nella giusta misura. Il breve quadro descritto fu lo schema più o meno usuale degli anni precedenti agli eventi sismici.

Il 23 novembre, però, del 1980 fu uno spartiacque nella storia esistenziale di don Antonio Ferrentino.

Il sisma dell'80 fu uno sconvolgimento non solo nel campo edilizio delle zone investite dal terremoto, ma anche nella vita e nella profondità della sua anima. Sotto le macerie della struttura della Chiesa crollò anche il mondo interiore di don Antonio; così iniziò il suo Getsemani: tutta la conformazione psichica restò prostrata.

La rovine dell'edificio delle Chiesa provocarono, necessariamente, la necessità del restauro (via impraticabile) o della costruzione di un nuovo edificio sacro.

Da quel periodo, iniziò il vero tormento nella vita di don Antonio. E la realizzazione del suo sogno, la nuova Chiesa, fu un'epopea lunga e angosciosa.

Questo periodo, però, della vita di Mons. don Antonio Ferrentino altri amici interverranno a descriverlo.

 

La casa canonica di Don Antonio nel secondo dopoguerra

La presente stesura è una divagazione su un aspetto della vita e dell'attività di don Antonio Ferrentino, noto soltanto ad un ristretto numero di amici sacerdoti ed ad una non ampia fascia di persone della comunità di Costa nel periodo del secondo dopoguerra.

L'attività pastorale, quella sociale e l'aspetto umanitario di don Antonio saranno oggetto di trattazione da parte di altri amici.

L'estensore di questo intervento ha preferito rincorrere gli anni giovanili per mettere in luce gli interessi, le tensioni, le aspirazioni e le sfide della vita di don Antonio.

Nei primi anni del secondo dopoguerra, un gruppo di amici, i più costanti dei quali erano, insieme con don Antonio Ferrentino, don Antonio Romano, don Luigi Moccia, don Biagio Ferrentino e lo scrivente, si incontravano, nel periodo estivo, nella casa canonica di Costa, quasi per un aggiornamento culturale, o per lo meno, per una arricchimento informativo su eventi o su pubblicazioni di ampia e di efficace incisività.

Fu una breve stagione durata solo un biennio. Il punto di partenza di tali incontri fu la pubblicazione da parte dell'Arcivescovo di Parigi Emmanuel Suhard, di una lettera pastorale divenuta ben presto famosa: "Essor ou declin de l'Eglise" cioè: "Sviluppo o declino della Chiesa". La lettera pastorale, tradotta e rimbalzata in Italia, intorno al 1950, con il titolo "Agonia della Chiesa", fu ampiamente discussa, soprattutto negli ambienti della sinistra dossettiana oltre che nell'area del Clero.

Quella pastorale costituì il movente di una serie di incontri del gruppo. La pastorale si incentrava su una ampia riflessione che la cultura cattolica, partendo dall'avanguardia francese, aveva affrontato sul tema della cristianità.

Una cristianità che, secondo alcuni osservatori, era ormai superata dai tempi.

Ma restava aperto il problema su ciò che sarebbe avvenuto dopo: emarginazione del cristianesimo rispetto ad una società sempre più secolarizzata, oppure nuova stagione di una rinnovata "civiltà cristiana"?

L'interrogativo proposto dall' Arcivescovo di Parigi con­ duceva a riflessioni che il gruppo di studio della casa canonica di Costa approfondiva, con chiarezza di idee e con una visione d'insieme, sui contenuti di pubblicazioni del tempo, che esprimevano il profondo malessere della coscienza europea.

Gli anni dopo la prima guerra mondiale, furono il periodo in cui si verificò l'apogeo e, subito dopo, la crisi della modernità.

Ovunque, in Europa e nel mondo, il XX secolo nasceva nel segno dell'ottimismo scientista. Sembrava, anzi, che nulla potesse arrestare la marcia innestata della tecnologia.

Ma lo scoppio della prima guerra mondiale e la catena di distruzioni, di lutti e di barbarie che essa arrecò, scossero la coscienza europea e crearono le premesse di una "letteratura della crisi “ che avrebbe denunziato il tormento della coscienza europea.

"Il Tramonto dell'occidente" di Oswald Spengler (1922), lo "Schema della crisi" di Ortega y Gasset" (1933), il "Disagio della civiltà" di S. Freud (1930) e "La crisi delle scienze europee" di E. Husserl (1936) insieme agli scritti del periodo degli anni ruggenti (il sorgere del fascismo in Italia, l'esplodere del nazismo in Germania e il dominio di Stalin nell'Unione sovietica) mostrarono la consapevolezza che la civiltà europea sembrava avviarsi verso il disastro. Tra le più acute letture della crisi va segnalata quella di J. Maritain: Umanesimo Integrale (ed. orig. 1936).

Il disastro venne e fu la seconda guerra mondiale. Un guerra di cui non si riusciva a intravedere la fine, perché anche dopo il 1945 aleggiava sull'Europa lo spettro della "guerra fredda" e il rischio di una nuova e più catastrofica terza guerra mondiale.

Il secolo XX che si apriva con il sogno della piena affermazione dell'uomo e dei diritti umani si rivelava, invece, come il secolo delle stragi e dei genocidi, l'opera della più tragica negazione dell'uomo, sino all' abominio “ della soluzione finale “ cioè la pianificazione dello sterminio degli ebrei da parte del regime nazista.

Al gruppo di studio della casa canonica di don Antonio Ferrentino, già allora negli anni Cinquanta, il Novecento appariva come il secolo della crisi della modernità e, nello stesso tempo, il secolo del tramonto dell'egemonia dell'Europa in un àmbito mondiale; il secolo della fine del colonialismo e dell'emergenza di nuovi popoli; il secolo della minaccia della distruzione alla sopravvivenza della umanità con la terribile invenzione e la tragica sperimentazione delle bombe atomiche dell'agosto 1945.

Il gruppo di studio della casa canonica di Costa concluse la sue riflessioni sul declinare degli anni '55 restringendo, così, le sue analisi sulla prima metà del Novecento.

Il gruppo non ha protratto il suo studio sul volto del secondo Novecento, il­ luminato dall'espressione del Card. Suhard: "ci sarà una nuova stagione di una rinnovata civiltà cristiana"?

Perché la nuova stagione si è verificata con la ricchezza dottrinaria e innovatrice del Concilio Ecumenico Vaticano II, con le elevate encicliche di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II; con la illimitata attività di amore e di carità di Madre Teresa di Calcutta: essi hanno cambiato la storia della seconda metà del XX secolo.

In un tempo in cui la paura sembrava proiettare nelle coscienze dei credenti "il pericolo che la Chiesa fosse in agonia"(Suhard), in un'epoca in cui il male mostrava il suo volto peggiore, Wojtyla ha aperto il cuore di tutti alla speranza. Due sue espressioni vibranti, che sono di fede e di speranza, riassumono il significato del suo pontificato.

La prima: "Non abbiate paura. Aprite le porte a Cristo" era un invito pressante ad accogliere la fede in Cristo, perché essa è a fondamento della dignità e del valore dell'uomo, essendo Cristo, l'Uomo perfetto, colui che porta a compimento, divinizzandola, l'umanità della persona, e illuminando il mistero che l'uomo è a se stesso.

La seconda "Due in altum!" (Prendi il largo!) che pronunciò a chiusura del grande giubileo del 2000, mentre si apriva per la Chiesa e per il mondo un nuovo secolo: si tratta, per la Chiesa, di non aver paura di entrare in mare aperto, il mare sempre minaccioso della storia umana, confidando non già nelle proprie misere forze, ma nella potenza di Cristo, il Signore della storia umana, che è con la sua Chiesa "sino alla fine del mondo". Il gruppo di studio della canonica di don Antonio Ferrentino esaurì il suo aggiornamento culturale limitando le sue indagini al tempo tragico delle premesse e della follia della seconda guerra mondiale, esso non poteva penetrare nelle prospettive del futuro.

Comunque, resta per noi, nella memoria di una breve ciclo di storia vissuta in cinque, un'eredità da non relegare nell'oblio.

Mons. Prof. Gennaro Apostolico

Lanzara

 

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