_______ IL NAVICORDO

Lanzara Storia

 

LANZARA_ E _IL CULTO _DI _SAN BIAGIO

La Storia Tra Sacro e Profano

IL_PANE

DI _SAN _BIAGIO

Premessa

 

Parlare di " Pane di San Biagio " senza parlare prima dei legami esistenti tra " Cibo e Anima " è come voler scrivere senza conoscere le lettere dell'alfabeto e dei loro legami con la traduzione del pensiero e del linguaggio.

Forse sarò un pò noioso in questa doverosa e necessaria premessa, ma per non trasformare in puro " Folklore ", quello che invece è un legame " Indissolubile tra corpo e spirito ", cercherò, se pur nella brevità della trattazione, di fornire quelle chiavi di lettura indispensabili per capire queste manifestazioni " Rituali " associate a celebrazioni religiose, in modo da osservarle più da vicino ed entrare nel loro profondo significato interiore, di cui oggi, purtroppo, si è persa memoria .

Per un maggiore approfondimento sull' argomento invito il lettore alla consultazione del libro sopra proposto " IL Cibo e IL Sacro ", che più di un trattato specifico su questo argomento, è la poliedrica visione del fenomeno, con indicazioni del pensiero di diversi autori che affrontano questo complesso e vasto argomento, con metodologie di ricerca e di " lettura " dello stesso, fornendo così un più ampio scenario " interpretativo " .

" Il cibo è un elemento costante della nostra vita quotidiana e tuttavia non risponde solamente a bisogni legati al corpo, ma è fatto oggetto di attenzioni di natura simbolica che rimandano a caratteri di sacralità, ritualità, seduzione e mistero (si pensi a certe ricette segrete).

Non è un caso che il cibo sia presente come fatto culturale in ogni realtà comunitaria e nazionale, e d altro canto esso è pure fattore caratterizzante delle religioni sia universali che locali, sia istituzionali che popolari.

A partire dai grandi monoteismi — Ebraismo, Cristianesimo e Islamsi riscontra una centralità del cibo come fattore impregnato di sacralità. Anche l’assenza di cibo può essere declinata come dimensione sacra : si pensi al digiuno nelle sue molteplici espressioni, insieme culturali e religiose.

Del resto lo stesso cibo ha una sua dinamica che ha molto a che vedere con il ciclo della vita, dunque ancora una volta con un esperienza che non può non richiamare l’interrogativo sul significato dell’esistenza e, pertanto, sul valore del sacro ".

 

INTRODUZIONE

( Roberto Cipriani - Luigi M. Lombardi Satriani )

Roberto Cipriani è Professore Ordinario di Sociologia presso lUniversità Roma Tre e Presidente del Consiglio Europeo delle Associazioni Nazionali di Sociologia

Luigi M. Lombardi Satriani è Professore Ordinario di Etnologia alla Sapienza Università di Roma.

Che il cibo sia indispensabile alla nostra sopravvivenza fisica è constatazione talmente facile da essere considerata ovvia; che esso sia ugualmente necessario per quella psichica e culturale non sembra essere così scontato.
Eppure, se ripercorriamo le varie fasi dell’esistenza degli individui e delle comunità e i momenti che la scandiscono caricandoli di valore simbolico, ci rendiamo conto quanto il cibo sia essenziale perché l’uomo, quali che siano la società alla quale appartiene e la cultura da essa elaborata, si riconosca come tale, partecipe di una comunità, portatore di progetti, titolare di futuro.
Gli esempi potrebbero essere innumerevoli ed essere attinti da molteplici universi letterari e dalla letteratura propria dei diversi ambiti delle scienze dell’uomo.
Mi limiterò a ricordare le parole con le quali Gesù Cristo instituisce nell’ultima Cena l’Eucarestia: «poi prese il pane, lo spezzò e disse: “prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Poi prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: “bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza versato per tutti in remissione dei peccati”».
A esse aggiungo, a mero titolo esemplificativo di quanto la poesia abbia celebrato gli alimenti, Dante nel passo contenuto nel Purgatorio; XXV; 76-78 : «E perché meno ammiri la parola/ guarda il calor del sol che si fa vino/ giunto all’amor che della vite cola/».
Stazio, il poeta latino che accompagna Dante e Virgilio pellegrini nell’Aldilà, chiarisce così il rapporto fra anima e corpo, fra essenza materiale ed essenza spirituale dell’uomo, proponendo anche l’immagine del calore del sole quale similitudine della potenza creatrice divina.
Consapevoli di ciò, Roberto Cipriani e io ( Luigi M. Lombardi Satriani ) abbiamo invitato antropologi, sociologi, filosofi, teologi, storici, demologi, storici dell’arte e altri specialisti a rapportarsi, ognuno dal proprio punto di vista e con la strumentazione concettuale e metodologica della propria disciplina, con tale complessa problematica indagandone alcuni segmenti e articolazioni.
Ne è venuto fuori un affascinante convegno protrattosi per tre giorni, denso di relazioni, interventi, dibattiti, proposto nel libro.

CIBO SACRO UN' ANALISI FENOMENOLOGICA
ESTRATTO

( Pag. 79 )

Angela Ales Bello

( Pontificia Università Lateranense )

La vita, in tal modo, continua; in fondo si domanda van der Leeuw che cosa vogliono gli esseri umani, quando si affidano al sacro ? Salvezza e redenzione.
Sembra strano poter rintracciare queste raffinate nozioni nei riti arcaici, ma qual è in fondo lo scopo di questo pasto rituale se non quello di essere salvati e redenti, anche se in una dimensione che noi definiremmo immanente ? Nella mentalità arcaica non si dà la distinzione fra immanenza e trascendenza.
Seguiamo, allora, il filo conduttore della salvezza e della redenzione legandole al mangiare e al bere e, perché no ?, al digiunare, che è l’altra faccia dello stesso fenomeno.
Proseguendo in tale direzione vorrei fissare la mia attenzione sul pasto sacro che come osserva giustamente van der Leeuw diventa sacramentum.

Ciò è documentato fin dai banchetti dedicati a Serapide e Iside presso gli egiziani, nel culto di Attis, il dio della Frigia, nei misteri di Eieusi, durante i quali s’ingeriva una bevanda sacra, nei riti dedicati a Mitra molto diffusi nella Roma imperiale, durante i quali si mangiava il pane e si beveva acqua mescolata alla linfa della pianta haoma, sostituita, poi, dal vino.


Ci si può domandare quale sia l’effetto di questi pasti. In generale, si può dire che essi operano una trasformazione che passa attraverso la corporeità per raggiungere quello che potremmo definire lo spirito.

La visione antropologica, che sottende più o meno consapevolmente questi riti, è legata ad una profonda unità di quelle tre dimensioni, il corpo, la psiche e lo spirito, che, in modo riflesso, possiamo mettere in evidenza nell’essere umano, attraverso un’indagine fenomenologica.
Gli esempi che abbiamo ricordato appartengono a culture che ormai si sono allontanate dall’arcaicità, hanno operato o stanno operando le distinzioni fra corpo e anima, eppure dal punto di vista dell’esperienza sacrale - religiosa mantengono legami molto forti con quella che abbiamo definito dimensione hyletica.
Non deve stupire, allora, che la religione cristiana, che è una religione che propone un’antropologia duale, nel senso dell’unità-distinzione fra anima e corpo, e nella quale il momento noetico opera con grand'efficacia, possa mantenere un interessante legame con la hyletica.

hyletica

Secondo Husserl; siamo in quella sfera che egli definisce largamente hyletica, usando la parola greca nel tentativo di indicare una dimensione che non è stata esaminata in tutta la sua potenzialità e che è la base per formazioni di grado superiore come, appunto, la costituzione di oggetti fisici.

Prendo spunto da due territori messi in luce dalle ricerche di Husserl, uno molto noto anche se di difficile descrizione, quello del mondo-della-vita e l'altro poco frequentato, perché poco conosciuto, quello della hyletica fenomenologica, territori che possono costituire vie d'accesso alla soluzione del puzzle riguardante la realtà – in fondo questo è l'obiettivo di quell'indagine che chiamiamo “filosofia

Cibo Salute e Salvezza

nella Chiesa Avventista del Settimo Giorno

ESTRATTO

( Pag. 174 )

Veronica Roldan

( Università Roma Tre)

Esiste, secondo Weber, un duplice conflitto implicito tra universo della religione e universo della scienza.

La scienza positiva, sperimentale e matematica ha progressivamente cacciato il sacro da questo mondo e ci ha lasciati in un cosmo utilizzabile ma vuoto di senso.

La scienza, d’altra parte, porta a una crisi spirituale perché nella misura in cui gli uomini si allontanano dalla religione li lascia insoddisfatti.

Una concezione religiosa del mondo forniva dei significati agli esseri viventi e al destino individuale.

Lo scienziato sa che non troverà mai una risposta definitiva e che la sua opera sarà superata, perché la scienza positiva è in continuo divenire. Vi è, quindi, una contraddizione profonda tra il sapere positivo, dimostrato ma incompiuto e il sapere che nasce dalla religione, che non è dimostrabile ma dà risposta alle questioni essenziali alle quali, secondo l’autore, oggi gli uo­ mini non trovano soluzione, se non nella decisione individuale, al contempo arbitraria e incondizionata, di dover scegliere il suo dio o il suo demone.

L’avventismo rifiuta la dimensione dualista, secolarizzata e separatista delle dimensioni spirituali e corporali: salute e salvezza si collocano nella stessa visione del mondo, prodotto della credenza religiosa, che mira ad una salvezza complessiva di tutte le dimensioni dell’essere umano: fisico, mentale e spirituale .

San Biagio tra Culto e Leggenda

Riflessioni sul Pane Sacro in Abruzzo

ESTRATTO

( Pag. 125 )

Alessandra Gasparroni

( Soprintendenza Storico - Artistica ed Etno Antropologica di Teramo )

Nelle culture tradizionali molti sono i santi alla cui celebrazione calendariale sono fortemente legate la produzione e la consumazione di un alimento.

Il tempo e il progresso hanno relativamente cancellato la consueta preparazione ad uso delle famiglie per trovare allocazione in forni o negozi specializzati, in alcuni casi l’usanza si è perduta, rimanendo esclusivo ricordo degli anziani, in altri si è modificata incontrando le nuove esigenze della comunità e favorendone la continuazione. Il panorama odierno rileva la persistenza, in Italia, di zone dove la maggiore incidenza architettonica di chiese dedicate ad un particolare santo ne hanno protetto il culto e la celebrazione della festa; le località più isolate hanno subito meno contaminazioni e preservato il completo ciclo celebrativo, compresa la particolare confezione di cibi da far benedire, da riportare a casa o da consumare in maniera comunitaria.

L’Abruzzo è terra che raccoglie nel suo grembo ancora molte usanze legate ai cibi sacri, disseminate nell’arco dell’anno, rinnovando rituali antichi e arcaiche ricette culinarie.
La devozione rivolta a San Biagio ne rappresenta uno dei cicli celebrativi collegati alla preparazione di pani e dolci a lui dedicati e presente in tutta la regione.

. . . . . . . Le presenze degli animali addomesticati e delle figure del lupo e del maiale vollero questo santo collegato al patronato sugli animali :

«Questo episodio, rappresentato da vari pittori fra cui Sano di Pietro (XV secolo) in un pannello di predella ora alla Pinacoteca di Siena, ha ispirato o meglio giustificato, insieme con la leggenda delle bestie che aspettavano la benedizione all’entrata della grotta, il suo patronato sugli animali. In realtà questo patronato, non diversamente da quello sugli agricoltori, [...] riflette riti precristiani di purificazione dei campi e del bestiame durante l’inverno»1.
Nelle sue note agiografiche si possono ravvisare analogie con un altro santo dell’invemo: Sant’Antonio Abate.

Ambedue conservano nelle loro protezioni quella riguardante gli animali da cortile e il maiale, utilizzato in seguito per il suo grasso dai frati antoniani.

In Abruzzo, in entrambe le celebrazioni venivano dati da mangiare pani sacri alle bestie che svolgevano un ruolo importante nell’ambito dell’economia contadina.

. . . . . . . . . . Roma, che nel periodo medioevale contava più di quindici chiese a lui dedicate, è ricordata per la chiesa armena di San Biagio della Pagnotta lungo la via Giulia; come si evince dal titolo è ancora viva la tradizione della distribuzione dei pani benedetti.

. . . . . . . In Abruzzo, terra che si connotava in gran parte per il mondo pastorale, il culto di San Biagio iniziò ad avere ampia diffusione nel momento in cui l’Arte della Lana con le sue corporazioni si muoveva, sul territorio regionale, per i diversi segmenti della sua lavorazione e smercio.

La cardatura della lana veniva effettuata con lo scardasso: pettine di ferro che liberava i fiocchi di lana dai nodi e dalle impurità. Un oggetto simile era stato l’arma del martirio del santo che divenne il protettore dei lanaioli.

Un altro elemento legato alla sua vita era il miracolo del bambino salvato dalla lisca di pesce in gola.

Per estensione San Biagio divenne protettore di tutte le malattie legate alla gola e, in Abruzzo, l’impegno del mondo contadino e di quello pastorale portava i lavoratori a trascorrere molto tempo all’aperto con relativi rischi di morbilità soprattutto nel periodo invernale.

Il santo quindi dilata la sua protezione a tutto l’ambiente regionale e la devozione a lui attribuita percorrerà le vie di comunicazione più utilizzate, come quelle dei tratturi.

Lungo le strade verdi sorsero cappelle e nelle chiese dei centri abitati sono ancora custoditi cicli pittorici e pale d’altare nonché busti, statue e reliquiari di San Biagio.

La sua presenza insiste nelle zone centrali della regione e si spinge verso la zona costiera. Biagio santo d’Oriente ebbe pian piano presa anche nel mondo occidentale poiché era vicino al popolo e alle sue necessità.

. . . . . . . . . . . Il ciclo rituale più diffuso prevede, ancora oggi, la messa a lui dedicata il 3 febbraio, giorno della ricorrenza della morte.

Durante la funzione religiosa il sacerdote, dopo aver ricordato il miracolo a lui attribuito e recitato una preghiera specifica, si dispone davanti ai fedeli che sfilano in silenzio in attesa della benedizione delle proprie gole.

Terminata la benedizione dei fedeli, segue la benedizione dei pani che, come si dirà, vengono disposti davanti all’altare o davanti ai banchi nei quali si trovano i devoti.

In alcuni centri il ciclo festivo non si esaurisce con questa liturgia ma, conclusa la funzione, si appresta una processione più o meno corposa (a seconda dei paesi) con la statua di San Biagio che procede secondo il copione previsto.

La tradizione di altre località abruzzesi invece sposta la processione alla domenica successiva per permettere ai paesani di partecipare più numerosi nel giorno festivo.
Analizzando i vari aspetti del ciclo rituale risulta importante soffermarsi sul rapporto gola-cura della malattia - benedizione - consumo di pane sacro.

Si è detto del timore dei contadini e dei pastori intorno alla possibilità di ammalarsi durante il loro lavoro invernale all’aperto ma, per estensione, tutti quelli che si ammalavano per un problema legato alla gola, soprattutto i bambini, ricorrevano a rimedi della medicina popolare abruzzese, insieme ai rituali devozionali di San Biagio.

Diffusa era l’abitudine di batter piccoli colpi sulla parte alta della schiena ed invocare in dialetto il nome del santo, quando al bambino andava di traverso un boccone.


E utile accennare, in questa sede, alla presenza e persistenza in alcune zone d’Abruzzo dell’unzione rituale della gola in chiesa durante la celebrazione della festa, unzione che si praticava con una piuma di gallina (spesso di colore nero) intinta nell’olio sacro.

Il bagaglio di saperi, storie, tracce perdute si stratificava nel tempo permettendo contaminazioni del vecchio e del nuovo, del paganesimo e del cristianesimo, del magico e del religioso, in un eterno equilibrio che dava facoltà ai fedeli di ripetere gesti, attraversando la storia.

La gola assumeva aspetti polivalenti.

Come parte anatomica doveva essere curata con le preghiere e le unzioni ma anche con il passaggio, nella sua cavità, di un cibo sacro che sanava.

Il transito dell’alimento benedetto dall’esterno all’interno del corpo però poteva salvare l’uomo dall’altra malattia, nel significato della gola come vizio capitale, nel quale non bisognava indugiare e, nel contempo, il concetto di far passare dalla bocca qualcosa che scendeva nello stomaco e donava sazietà alludeva all’immagine dell’abbondanza, della pienezza.

. . . . . . . . . Nella gola entravano la malattia ed il pane sacro, per estensione le tante “gole” della città: i forni, nei quali entrava ed usciva il pane, erano benedetti dal sacerdote nelle prime ore del mattino del 3 febbraio, in area teramana.
L’offerta di cereali e la confezione di pani offerti e consumati in occasione di rituali legati al mondo sacro risalgono ai primordi del mondo agricolo.

Nell’antichità il legame tra la divinità e l’uomo era data dal seme, in seguito venne rappresentata dal pane. Nella storia cristiana e nella liturgia eucaristica sono il pane e il vino la manifestazione stessa del sangue e del corpo del Salvatore.

. . . . . . . . . Questi riti e queste celebrazioni affondano le loro radici in universi simbolici arcaici come i culti dedicati alla madre terra.

I Romani, durante le feste di Diana, nell’equinozio di primavera, consumavano focacce impastate con fior di farina e il popolo di Israele sanciva lo stretto rapporto con Dio utilizzando vino e pane durante la celebrazione della Pasqua.
Andando indietro nel tempo, l’offerta e il consumo di pane e farina con la quale si preparavano focacce era presente, in epoca pre-cristiana, in tutta l’Europa, così come nelle più conosciute realtà del Mediterraneo, da Babilonia alla Grecia, civiltà nelle quali era sempre presente il frumento nei numerosi rituali di offerta.

Le spighe di grano lo erano soprattutto nel periodo cerimoniale riferito alla mietitura.

I riferimenti sopra descritti risultano illuminanti per individuare il legame tra il pane sacro e la figura santa di riferimento.

In Abruzzo, come in molte regioni, Sant’Antonio Abate, San Biagio, San Sebastiano, San Nicola, la Vergine Maria, conservano, nelle loro celebrazioni, il consumo di pani sacri o di dolci prodotti con farina di grano.
In numerose località italiane, solo per citarne alcune, la tradizione dei pani da distribuire durante la festività di San Biagio risulta molto diffusa.

A Scrofiano, nel senese, il pane si trasforma in un trofeo portato in processione da figuranti ed è chiamato “mazza”.

In Sicilia, a Salemi, il pane di San Biagio riproduce le parti anatomiche della gola che prendono il nome di “ cannaruzzeddi ”.

A Roma venivano distribuite pagnottelle presso la chiesa armena di San Biagio della Pagnotta, lungo via Giulia. “Su sessineddu” è il dolce confezionato in Sardegna per la festa di “San Brai”.
In area abruzzese la varietà di pani e dolci preparati con farina di grano, in occasione della festa dedicata al santo proveniente dall’Armenia, è ancora molto presente.

Il ventaglio di proposte spazia dalla produzione di pani semplici negli ingredienti e nelle forme a quelli più elaborati, che mescolano alla farina numerosi ingredienti quali olio, zucchero, lieviti.

. . . . . . . . . Come accadeva in precedenza, al termine della celebrazione liturgica, si aspergono pani e dolci che le donne hanno portato in chiesa; il pane così benedetto diventa sacro, si carica di potenza santificata e, quindi ingoiato, guarisce ma al tempo stesso sazia, per segnalare ancora la duplice finalità del rito. «Nella manifestazione del sacro, un oggetto qualsiasi diventa “ un’altra cosa " , senza cessare di essere " se stesso ", in quanto continua a far parte del proprio ambiente cosmico che lo circonda.

. . . . . . . . . . . . . Nella multiforme preparazione dei pani sacri di San Biagio si inseriscono, come accennato in precedenza a proposito di alcuni tratti dell’impianto rituale, aspetti che assumono valenze magiche e figure antropomorfe nella scelta delle fogge.

Ciambelle, ciambelloni e taralli sono riconducibili alla forma dell’anello che suggerisce la necessità di circoscrivere una determinata area protettiva per coloro che lo confezionano, lo fanno benedire, lo consumano. «Si crede che l’anello eserciti una certa influenza costrittiva che trattiene e imprigiona lo spirito immortale [...] l’anello, al pari del nodo, agisce come catena spirituale».

A Lecce dei Marsi le ciambelle dolci hanno forma ovale, come gli “ortali” di Magliano dei Marsi, con i lembi della pasta che si sovrappongono, per formare un iniziale nodo, a Leognano e Capodacqua l' annodatura si presenta con la ciambella intrecciata.

Il tarallo, inoltre, è riconducibile alla forma della laringe e potrebbe collegarsi alla figura vaginale evocando simboli della fertilità e maternità, poiché preparato con vino, farina, olio, che sono filiazioni della terra, relativi a riti agrari di natura precristiana.

La maggiore elaborazione dei pani sacri risentì, secondo una riflessione di chi scrive, di una migliore situazione geografico-economica che ne determinò la scelta di ingredienti più ricchi e di svariate decorazioni.

A Lanciano, Fontecchio, Sulmona, i taralli sono decorati con glassa bianca, zuccherini colorati e confetti utilizzando, nel caso di Sulmona, ciò che rappresentava un prodotto della tradizione locale come i confetti. Anche a Bussi viene preparato un grosso ciambellone decorato, che una volta era messo all’asta e ora è divenuto premio per una lotteria.

Nei paesi meno agiati economicamente o dove la tradizione gastronomica rispettava più severamente la tradizione religiosa del cibo di San Biagio, si confezionano pani dalle forme semplici o poco elaborate, come le “pagnottelle” di Canzano, la pagnotta semplice di Archi o il pane azzimo di Sante Marie e Vittorito.

Il Santo riparatore dei mali di gola e protettore di tutto ciò che passa attraverso la laringe trova, a Fara San Martino, i “ fagottini di cibo ” : un insieme di biscotti, frutta, caramelle, cioccolato, posti in un piatto, che sottolineano la richiesta di protezione non solo per le malattie legate alla gola ma anche per tutto quello che vi passa attraverso, rendendo valida la teoria sopra esposta della duplice funzione del santo guaritore e procacciatore di abbondanza.

Strettamente legato al mondo pastorale, a Pescasseroli, è il 3 febbraio: si be­ nedivano zollette di zucchero e liquirizia, che erano usate da coloro che pascolavano le greggi, spostandosi sul territorio abruzzese e pugliese. Era una medicina sacra che scongiurava i raffreddamenti invernali.

Oggi caramelle e dolciumi perpetuano l’antica usanza.

La tradizione di Taranta Peligna ricorre alla traccia antropomorfa del santo per confezionare “ le panicelle ”.

Il lungo procedimento di panificazione si snoda attraverso vari giorni e vari momenti che coinvolgono gran parte della popolazione cittadina, con presenza ben strutturata degli uomini e delle donne, intenta all’impasto, all’attesa della lievitazione, alla manipolazione della massa.

Questa viene pian piano modellata nella forma delle quattro dita di una mano, così da ricordare la mano benedicente di San Biagio.

Le panicelle vengono in seguito infornate e poi distribuite ai fedeli, dopo la benedizione.

Ogni pane porta il timbro di San Biagio e la sagoma risulta anche simile ai denti di un pettine, a ricordo dello strumento del suo martirio: lo scardasso usato dai cardatori di lana.

La tradizione si è, nel tempo, modificata. Se una volta il fior di farina era macinato nei mulini e offerto al santo da coloro che potevano contribuire alla preparazione, la presenza sul territorio di pastifici molto conosciuti come Del Verde e De Cecco è entrata nel ciclo rituale perché oggi questi pastifìci offrono la loro farina per continuare l’antico rito.

La panicella, da pane sacro, si trasforma in elemento di richiamo per gare canore, mutandosi in “ panicella d’oro ” : trofeo offerto ai vincitori, che riproduce in metallo l’antica forma... L’elemento pane sacro del santo si rifunzionalizza alla luce di nuove necessità economiche e sociali, diventando un volano turistico.

. . . . . . . . . . . Terminata la benedizione della gola, l’officiante preparava l’aspersorio per la consacrazione dei taralli. Improvvisamente l’apertura dei contenitori aveva inizio e le donne, in modo poco ordinato, si disponevano dove c’era spazio sufficiente per offrire al sacerdote le buste aperte e le ceste scoperte.

Le forme dei dolci erano tutte di uguale grandezza. Una volta bagnati prò fusamente di acqua benedetta erano subito ricoperti.

Dopo i saluti di commiato, ognuno ha fatto ritorno a casa. I taralli erano molto numerosi rispetto alla piccola comunità del paese, ogni donna ne portava dai tre ai quattro. Le grandi ciambelle erano lisce o intrecciate.

Per la loro preparazione sono stati utilizzati farina, uova, latte, zucchero e ammoniaca.

. . . . . . . . . . . . . Da quanto sopra esposto si evince che, in questa regione, il ciclo rituale di San Biagio è presente in modo costante e, secondo l’opinione di chi scrive, persiste perché fenomeno disseminato in piccole e medie realtà, microcosmi che garantiscono una migliore conservazione e trasmissione della tradizione.

Il culto si ritualizza mediante la benedizione della gola e dei pani sacri.

Alcune località rispettano antiche tradizioni culinarie. Altre hanno subito, nel tempo, elaborazioni che mostrano un cambiamento dato dal benessere raggiunto, rifunzionalizzando alcuni aspetti del ciclo rituale.

Per citare qualche esempio: le panicelle di Taranta Peligna vedono oggi la collaborazione di famosi pastifici e si trasformano in trofeo canoro, i ciambelloni si tramutano in dolci più elaborati e sono decorati da confetti prodotti in note aziende della regione, le zollette di zucchero da elemento povero sono divenute caramelle e dolciumi.

Resta però immutata la necessità dell’atto corale della distribuzione e del consumo comunitario, gesto che ribadisce la propria identità nel solco della tradizione.

(n.d.r.)

Come visto nella trattazione fatta sopra, sui rituali e sulle motivazioni alla base di questi " modus operandi " , contenuti nelle antiche tradizioni in Abruzzo, si può dire che il " Pane di San Biagio ", pur nelle diverse forme in cui viene confezionato dalle singole comunità in cui si celebra e si venera il Santo, persegue la medesima finalità :

" benedizione e guarigione interna della gola "

Infatti, se da un lato il rito dell' unzione con olio benedetto o con le candele incrociate, arreca una " benedizione di tipo esterno ", quella del " pane " inteso come " cibo da ingoiare ", quindi che passa internamente alla gola, porterà ad una più efficace protezione e benedizione interna.

 

IN QUESTO LIBRO DEI SANTI VIENE

PROPRIO ESPLICITATO IL CONCETTO ESPRESSO SOPRA

 

 

In some places bread is blessed on his F east Day, of which a morsel is swallowed while invoking him .

 

TRADUZIONE

In alcuni luoghi si benedice il pane
il suo giorno di festa, di cui si ingoia un boccone
mentre lo invoca.

 

AVELLINO

San Biagio di Serino

Festa di San Biagio, si rinnova la tradizione delle panelle benedette

PANELLE DI SAN BIAGIO

Oggi ricorre la festa di San Biagio, come da tradizione, dopo le Sante Messe delle 9.00, 11.00 e 18.30 verranno distribuite le panelle benedette. Questa usanza, secondo lo storico Ottaviano De Biase, ha origine nel 1587 quando Scipione Picella (antica famiglia di San Biagio) fece scrivere nel suo testamento di voler essere seppellito nella chiesa della S.S. Annunziata e di far distribuire trecento panelle a chi ne avesse bisogno durante la Santa Messa.

Lo stesso obbligò i figli a proseguire questa tradizione negli anni a venire. Proprio perché questa tradizione è rimasta intatta da 434 anni che il comitato di comune accordo con il parroco ha deciso di non interromperla nonostante le tante limitazioni dovute alla pandemia. 

 

SANT' AGATA DI PUGLIA

LA TRADIZIONE DELLE PANELLE DI SAN BIAGIO

“ Re panerre re san Bijese” 
distribuite dal Comune a tutte le famiglie santagatesi

Anche quest'anno il tre febbraio, a Sant'Agata di Puglia si rinnova una tradizione antica e intensa che si intreccia con la devozione, pure essa antica e viva, per il Vescovo martire, San Biagio. Il culto del popolo santagatese per questo Santo si perde infatti nello scorrere dei secoli. Si hanno notizie di una chiesa in Sant'agata di Puglia dedicata a questo Vescovo già nel XII secolo. Protettore dei malati di gola e dei cardatori e filatori di lana, San Biagio è ritenuto anche il patrono dei suonatori di strumenti a fiato e delle coppie di fidanzati. La statua del Santo viene oggi custodita a Sant'Agata nella chiesa di San Michele Arcangelo dove si trova il “Cappellone” di San Biagio.

Il Comune, per una consuetudine molto antica provvede da sempre a stanziare la somma necessaria per il culto e la festa del tre febbraio, e in occasione della festa del Santo dispone la preparazione, la benedizione e la distribuzione a tutte le famiglie santagatesi de “ Re panerre re San Bijese” (Le panelle di San Biagio).

Le panelle, di pane azzimo, sono di forma rettangolare, con incisioni di quadratini, e sono legate da nastrini colorati.

Dopo la benedizione in chiesa, le panelle vengono fatte distribuire dal Comune a tutte le  famiglie santagatesi. In ogni casa, tra devozione e tradizione, la panella viene di solito divisa in due: una parte la si consuma dopo aver recitato alcune preghiere, la rimanente parte viene conservata, con devozione, per qualche parente lontano.

Il nastrino benedetto, invece, ancora oggi viene spesso legato intorno al collo di chi soffre dei fastidi della gola.

Ritenuti quelli più esposti a questo genere di disturbi associati alla stagione invernale, solitamente sono i bambini a portare legati al collo i nastrini colorati benedetti, a testimonianza, appunto, dell'antica tradizione e devozione per S. Biagio, il “santo protettore della gola”.

Rosario Brescia

 

SICILIA

Le celebrazioni in onore del santo nelle città siciliane sono caratterizzate dalla preparazione di piccolissimi pani a forma di gola che nelle varie città sono conosciuti con nomi diversi.

Un tempo, come ci riferisce il Pitrè, venivano chiamati cannaruzzedda di San Brasi , chiamati ancora così a Comiso.

In altre zone, il nome si è trasformato in cuddureddi : a Palazzolo Acreide; a Buccheri, dove si prepara anche il vastuni i San Biasi ; nel catanese sono di San Biagiu; a Racalmuto, dove sono biniditti e preparati insieme alla varba di San Brasi e che per devozione quel giorno non si mangia altro pane.

A Caronia, invece, vengono preparati pani dolci a forma di ciambella con nocciole, mandorle e miele che vengono benedetti dal sacerdote e distribuiti ai malati e a chi li richiede. A Prizzi al posto del pane, vengono preparati dei taralli ripieni di ricotta e infilzati nel bastone della statua di San Biagio.

CUCCUREDDI

Ma quelli più famosi sono i cuddureddi di Salemi insieme ai cavadduzzi . Questi ultimi vengo preparati sempre in onore del santo come ringraziamento per aver liberato nel 1542 i campi della città dall'invasione delle cavallette.

CAVADDUZZI

I cavadduzzi possono essere considerati delle vere e proprie opere d'arte create dalla maestria delle donne della città, che riescono a modellare piccolissimi pani a forma di cavallucci marini, motivi floreali, mani e bastoni del santo grazie all'aiuto di aghi, pinzette, forbicine e mucàcia .

I cuddureddi , dopo essere stati benedetti, vengono distribuiti ai fedeli che si recano in chiesa per farsi benedire la gola che poi li porteranno al collo come protezione.

 

La cuccìa e le cudduredde di San Biagio

La cuccìa e le cudduredde di San Biagio fanno parte delle tradizioni culinarie che in Sicilia, come in tutta Italia, accompagnano le festività religiose.

In Sicilia la  cuccìa  (mi raccomando, con l'accento sulla i come  simpatìa ) è un piatto devozionale tipico siciliano. Si cucina in occasione della festa di Santa Lucia, il 13 dicembre, ma è anche protagonista di un'altra ricorrenza religiosa: la  festa di San Biagio , che cade il 3 febbraio. 

 

Cuccìa di San Biagio

 

La festa di San Biagio

San Biagio viene invocato se si hanno problemi alla gola: salvò infatti dal soffocamento un bambino a cui si era incastrata una lisca in gola. 

Il santo armeno è uno dei quattordici Santi ausiliatori della Chiesa Cattolica; il 3 di febbraio i devoti si recano in chiesa per la benedizione con le candele incrociate e per invocarne la protezione. 

Come dappertutto in Sicilia, e nell'Italia intera, alle cerimonie religiose si affiancano le tradizioni gastronomiche. Per la festa di San Biagio si prepara nuovamente la  cuccìa  e si impastano le  cudduredde . La prima in ricordo dei raccolti che il Santo aveva salvato dall'invasione delle cavallette nel XVI Secolo, le seconde,   piccoli anelli di pasta di  pane  azzimo, perché simbolizzano la gola.

 

CUCCUREDDE

La cuccìa e le cudduredde

L'impasto delle  cudduredde  è realizzato solo con acqua, farina e sale. Potrebbero sembrare poco appetibili, ma in realtà sono buonissime, anche se adatte solo a persone dalla dentatura robusta. Il sacerdote le benedice prima di distribuirle ai fedeli. Un tempo, quelle che avanzavano dovevano essere appese dietro la porta o a una parete perché potessero continuare a proteggere gli abitanti della casa. 

La  cuccìa  si presta invece a molte varianti, dalla più semplice, con solo zucchero, alle golose variazioni con la ricotta, il cacao, il cioccolato, i canditi, la cannella, la crema di latte, la scorza grattugiata di arance o limoni, il vino cotto, il miele. Qualunque combinazione la fantasia e il gusto personale vi suggerisce troverà nella cuccìa un ingrediente molto versatile.

Cuccìa

Per la  cuccìa  si usa un grano tenero, le varietà migliori sono la  maiorca  e la  casedda , due grani antichi siciliani. Dev'essere prima tenuto a bagno per tre giorni in acqua tiepida, cambiandola mattina e sera, e poi cotto semplicemente in acqua  per un paio d'ore; se si asciuga se ne aggiunge un altro po'. Per accelerare i tempi, usate la pentola a pressione: in questo modo il tempo di cottura si ridurrà a 45/50 minuti.   

Il risultato finale sarà una  cuccìa  dai chicchi gonfi, ben cotti e di colore chiaro, pronta per i vostri esperimenti culinari. 

 

 

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