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Palazzo_Calvanese

I Calvanese In Politica

STORIA _DELLE_AMMINISTRAZIONI_ LOCALI

RIPASSO DI STORIA

Le Province ed i Comuni

(Fonte : Archivio Storico del Ministero dell' Interno )

Il 26 gennaio 1802, a Lione, nella seduta conclusiva dei Comizi nazionali, Napoleone Bonaparte dichiarò ufficialmente che la nuova Repubblica non si sarebbe più chiamata Cisalpina, bensì, Italiana.
Vicepresidente della Repubblica fu proclamato il conte milanese Francesco Melzi d'Eril.
Con questo atto prendeva ufficialmente vita un nuovo organismo nazionale, controllato e diretto dalla Francia, come dimostra l'elezione a presidente dello stesso Napoleone, ma provvisto di un buon margine d'autonomia, di cui era immediata espressione la vicepresidenza conferita al Melzi.
Il 24 febbraio 1802, a seguito dell'adozione della Costituzione della Repubblica Italiana, fu data articolazione, nei territori conquistati da Napoleone Bonaparte, all'amministrazione degli Affari Interni.
Il 6 maggio 1802, con decreto del vicepresidente Melzi d'Eril, Prefetture e Prefetti fecero la comparsa ufficiale negli ordinamenti italici dell'allora Repubblica Italiana.
Tale decreto costituiva la risistemazione operata dal Vicepresidente in collaborazione con i membri del Consiglio legislativo, della proposta di legge per l'attivazione delle Prefetture, preparata durante la seconda Cisalpina.
Il 26 luglio 1802 fu pubblicata la legge sull'organizzazione delle autorità amministrative che portava la definitiva e completa sistemazione dell'apparato amministrativo periferico della Repubblica.

La Restaurazione

( Fonte : Sistema Archivistico Nazionale )

Il 9 giugno 1815 il Congresso di Vienna sancì il ritorno dei Borboni nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, che aveva il Titolo di Re di Napoli , oltre a quello di Sicilia, cambiò la denominazione del suo Regno in Regno delle due Sicilie, divevnendone Re con il nome di Ferdinando I .

L'ordinamento amministrativo del Decennio francese fu sostanzialmente preservato anche durante la restaurazione borbonica.

Il decreto del Regno delle Due Sicilie 1 maggio 1816 n. 360 aggiornò la circoscrizione amministrativa dei comuni, apportando lievi modifiche al decreto del Regno di Napoli 4 maggio 1811 n. 922, elevò il numero delle province a quindici e suddivise i comuni in tre classi: la prima classe comprendeva i comuni con una popolazione pari o superiore ai 6000 abitanti, quelli in cui risiedeva un'intendenza, una corte d'appello o una corte criminale e quelli aventi una rendita ordinaria di 5000 ducati; la seconda classe raggruppava i comuni con un numero di abitanti compreso fra i 3000 e i 6000 e quelli in cui risiedeva una sottointendenza; la terza classe era infine costituita dai comuni con una popolazione inferiore ai 3000 abitanti.

Tale suddivisione mirava tra l'altro a determinare, sulla base della densità demografica, della rilevanza e della ricchezza di ogni centro, i limiti di spesa consentita e i servizi che ciascun comune era tenuto ad espletare.

Con la legge 12 dicembre 1816 n. 570 il Re Ferdinando I intese dare una sistemazione razionale alle amministrazioni locali, attenendosi sostanzialmente al modello franco-napoleonico e dunque riprendendo a grandi linee le disposizioni già emanate .

Legge Organica del 1816

 

Art. 131

Come accade sempre in tutte le transizioni, siano esse di semplice attività di gestione, siano esse più complesse perché riguardano una Nazione ed il suo nuovo assetto Politico, tale articolo, emanato nel 1816, continuerà ad essere operativo ben 60 anni dopo con l' Unità d' Italia, e nel 1870 vedrà Francesco Calvanese eletto Sindaco di Castel San Giorgio per ben due trienni consecutivi .

Ma qual è il ruolo del Sindaco in un comune dopo l' Unità d' Italia, quali sono le sue mansioni, e soprattutto come e da chi viene scelto per adempiere a tale incarico, saranno i prossimi contenuti della trattazione che segue .

Vediamo quali erano i requisiti di eleggibilità con il Decreto 570 del 1816, quindi in regime Borbonico .

 

TRASCRIZIONE

CAPO II

Forma dell' elezioni ; impedimenti alle medesime; durata delle cariche ; prerogative ed obbligazioni che ne risultano.

 

99. Ogni comune avrà una lista di eligibili alle cariche civiche, ed a' Consigli comunali , distrettuali e provinciali .

100. Saranno compresi nelle liste, degli eligibili ne' comuni di prima classe , i proprietarj di un' annua rendita imponibile non minore di ducati 24 ; ed i possessori di arti liberali , domiciliati da cinque anni nel comune :.... ne' comuni di seconda classe , anche i proprietari di un' annua rendita imponibile non minore di duc. 18 ; e tutti coloro che avendo cinque anni di domicilio nel comune , esercitano da maestro un' arte o mestiere , o che tengono un negoziato, ancorchè di bottega : ne' comuni di terza classe , anche i proprietarj di un' annua rendita imponibile non, minore di duc. 12 ; e gli agricoltori che coltivano per conto proprio l' altrui proprietà a titolo di censo , affitto , o altro , e che abbiano cinque anni di domicilio.

101. Non potranno essere inscritti sulle liste degli eligibili

1.° gli esteri che non siano legittimamente naturalizzati ;

2. gli ecclesiastici

3. coloro che per legge sono esclusi dalle pubbliche cariche ;

4. i mercenari addetti al servizio.

102. Le liste degli eligibili , a norma degli articoli precedenti , saran formate per ciascun comune da' sottintendenti ; e dopo di essere state rivedute a fissate dagl' Intendenti , saranno pubblicate ed affisse ne' rispettivi comuni.

Come si evince dai criteri di eleggibilità previsti nel decreto Borbonico, che però deriva da quello Napoleonico, l' accesso alle cariche pubbliche è sconsentito a tipologie particolari di persone, quindi non a tutti in maniera allargata, ed in queste categorie sono inseriti anche gli " agricoltori " , cioè quelli che coltivano la terra, anche se non di proprietà, ma con contratti e titoli riconosciuti per esercitare tale lavoro .

Sono da ritenersi esclusi i cosiddetti " bracciali " , cioè i contadini semplici, quelli che sono semplici maestranze addette alla lavorazione della terra .

IL CONSIGLIO COMUNALE

Questo quadro sopra riportato, dà un'idea della figura del Sindaco e del Consiglio Comunale, nei Comuni Meridionali prima dell' Unità d' Italia .

Con l' Unità d' Italia, la legislazione e la prassi amministrativa dei comuni italiani, è adesso in diretto rapporto con i legami instaurati dallo Stato, il potere centrale e gli enti locali .

Nella nuova Nazione sarebbe dovuta nascere una nuova Legislazione, capace di far fronte alle nuove e variate situazioni Geo - Politiche, ma, anche a seguito delle problematiche sorte nel Sud e nelle Province meridionali, subito dopo l' Unità d' Italia, per poter essere immediatamente operativi nella gestione dei territori, anche per il Sud fu applicata la " tradizione amministrativa piemontese " , utilizzando la legge Rattazzi del 1859, nata per il Regno di Sardegna, definita provvisoria per la Nazione, ma che in realtà continuò ad essere operativa per diversi anni .

 

Come si vede dai grafici riassuntivi della composizione dei Consigli Comunali, si passa da poche unità nel caso del decreto 570 del 1816 alle 15 e più unità nella Legge Rattazzi del 1859.

Ovviamente questo fatto, che apparentemente può sembrare una forma democratica di partecipazione alla cosa pubblica, si rivelerà, successivamente, un boomerang , risultando difficile, secondo le nuove norme di eleggibilità, trovare figure pubbliche in un numero tale, da soddisfare la legge, e nello stesso tempo in possesso dei requisiti di eleggibilità richiesti .

Si avranno pertanto molte amministrazioni comunali controllate da commissari prefettizi, facendo così venir meno la partecipazione democratica dei cittadini che, vedranno sempre più allontanarsi quelle promesse " Garibaldine " di cambiamento del potere .

ACCENTRAMENTO AMMINISTRATIVO DELLA LEGGE RATTAZZI

Analizzando più da vicino la legge Rattazzi, emerge una mancata autonomia amministrativa dei comuni, a vantaggio delle Prefetture.

Il 22 dicembre 1861, pochi giorni dopo l'abolizione della  Luogotenenza della Sicilia ,  Bettino Ricasoli  presentò alla  Camera dei deputati  un progetto che si prefiggeva di estendere a tutto il territorio nazionale, con poche modifiche, la legge  Rattazzi  del 1859.

L'innovazione più importante, introdotta dal politico toscano, consisteva nel conferimento di una reale funzione di governo alla  provincia .

Nessun Comune però si oppose a questo accentramento del potere, a parte quelli appartenenti alla Regione Lombardia, che manifestarono il loro dissenso, nonostante lo stesso Cavour avesse criticato tale legge.

Conflittualità sulla concessione di libertà amministrativa ai Comuni, sottraendola alle Province e quindi alle Prefetture, si ebbe anche nei Partiti Politici .

Scarse competenze amministrative, cattiva applicazione delle leggi, costringeranno i Prefetti a intervenire sempre con maggiore frequenza sulla gestione della cosa pubblica. IL Parlamento cercherà invano di approvare una legge capace di risolvere le questioni in corso, perché molti partiti erano contrari alla autonomia locale e preferivano un controllo centrale dell' amministrazione dei comuni.

In questa situazione sociale, i Comuni meridionali, con la loro povertà, con il loro malcostume amministrativo, con la loro struttura oligarchica, divennero presto il centro dell' affarismo e del clientelismo politico (1) .

(1) Luigi Rossi : " Una Provincia Meridionale nell' Età Liberale " pag. 277

Nel 1860 la differenza tra Nord e Sud è prima di tutto sociale, culturale, ideale ; la borghesia nelle due aree è espressione di idee e programmi diversi.

Se il ceto dirigente del Mezzogiorno è così arretrato, certo non si può attendere una migliore sensibilità delle masse contadine.

Tale arretratezza trova la sua prima eclatante manifestazione nelle amministrazioni locali, con ritardi, insensibilità, mancanza di conoscenze e prospettive in quasi tutti i consiglieri chiamati a gestire i comuni.

La Prefettura si trova così investita di primarie responsabilità di controllo di questi enti, ma nonostante gli sforzi e l'assiduo lavoro dei funzionari, il problema rimane grave e di difficile soluzione.

LA LEGGE 23 MARZO 1865

Con l'emanazione della legge 23 mar. 1865, n. 2248, furono varate disposizioni uniformi a carattere nazionale sull'amministrazione comunale e provinciale, sulla pubblica sicurezza, sulla sanità pubblica, sul Consiglio di Stato, sulla giustizia amministrativa e sui lavori pubblici.

Essa mantenne la divisione del Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni (art. 1). Su tutte le pubbliche amministrazioni, come rappresentante del potere esecutivo, vigilava il Prefetto (art. 3), coadiuvato dal Consiglio di Prefettura (art. 2).

Veniva sancito il principio che la Provincia fosse un "corpo morale", un ente autarchico territoriale con "facoltà di possedere e con un'amministrazione propria che ne rappresentasse gli interessi" (art. 152).

L'articolo 153 ribadiva che ad amministrare l'ente fossero il Consiglio provinciale e la Deputazione provinciale. I consiglieri provinciali, il cui numero variava in rapporto agli abitanti della circoscrizione, venivano eletti da tutti gli aventi diritto al voto nei Mandamenti.

IL SINDACO INTROVABILE

Tra i problemi amministrativi, che angustiano la Prefettura fin dai primi anni dell' Unità d' Italia, quello della scelta dei Sindaci nei numerosi comuni della Provincia di Salerno costituisce, forse, il più grave ; infatti il Sindaco, rappresentante del governo nei paesi, doveva essere non solo espressione dei propri amministrati, ma anche garante dello Stato, in comunità spesso assillate da esasperato egoismo e personalizzazione del fare.

Prefetto, sottoprefetti, magistrati, pubblica sicurezza, carabinieri, si scambiano a tal fine una massa considerevole di informazioni , note, prospetti, dai quali risulta chiaramente la limitata possibilità di scelte e , spesso, la poca affidabilità per la protratta situazione di emergenza istituzionale.

I criteri basilari che sovrintendono alla nomina dei sindaci nei primi decenni dell' Unità d' Italia sono due : la personale condotta politica e morale, l'abilità nell' amministrare.

Ma per l'esiguo numero di persone idonee, soprattutto nei piccoli comuni rurali, spesso risulta difficile costituire le terne; quindi ci si dovrà accontetntare di persone mediocri.

Spesso, purtroppo, i Sindaci, pur in possesso dei requisiti di onestà e moralità, risultano essere eccessivamente conservatori e a volte anche inetti, pur non connotandosi di tendenze borboniche, mal si conciliano con le esigenze del nuovo regime unitario.

Senza addentrarci in ulteriori disamine della questione, che porterebbe inevitabilmente a trattazioni complesse e lontane dagli scopi divulgativi di questo capitolo, possiamo concludere che le elezioni dei Calvanese a cariche pubbliche, nel periodo storico di Francesco e Ferdinando, è quasi un fatto scontato, rientrando la loro posizione economica e sociale nei canoni previsti per la scelta degli amministratori .

Per chi volesse approfondire maggiormente la questione, suggeriamo al lettore il seguente testo : Luigi Rossi : " Una Provincia Meridionale Nell' Età Liberale " ; Prefetti Elettori E Deputati Nel Salernitano ; Palladio Editrice 1986 .

 

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