La Masseria della Starza dei Leoni
VENTI _DI _GUERRA_ A_ NAPOLI
Il sovrano era noto presso il popolo come Re Lazzarone o Re Nasone
Museo Provinciale Campano, Capua
Giornale Storico del 2 Febbraio 1799 - Arrivo dei Francesi a Napoli
Repubblica napoletana del 1799
I fatti che portarono alla proclamazione della Repubblica napoletana n. (22 genn. 1799) si iscrivono nel contesto della campagna napoleonica in Italia e dell'entusiasmo che essa generò negli ambienti democratici della penisola, che portò alle repubbliche giacobine che si costituirono tra il 1797 e il 1799 nell'Italia centrosettentr. e a Roma.
All'origine degli eventi napoletani è da porre l'occupazione francese di Roma (1798). A essa reagirono i Borbone di Napoli: la corte di Napoli stipulò nel 1798 un'alleanza con l'Austria e il generale austriaco K. von Mack, giunto nella capitale su richiesta di Ferdinando IV, varcò con le truppe borboniche il confine del regno il 23 nov. 1798 e già il 27 era nell'Urbe, dove due giorni più tardi arrivò il re di Napoli.
Ma i francesi ripresero presto l'iniziativa e a metà di dicembre erano di nuovo padroni di Roma. Il rovescio militare seminò il panico tra i Borbone; il 21 dic. il re fuggì dalla città a bordo di una nave inglese che lo avrebbe portato in Sicilia. A Napoli rimasero un esercito sconfitto e un vicario del re di scarse capacità, il principe F. Pignatelli.
Fin dai primi anni Novanta del Settecento a Napoli erano attivi circoli democratici d'ispirazione giacobina e rivoluzionaria; d'intesa con questi elementi il generale francese J.-E. Championnet preparò il colpo di mano per impadronirsi di Castel Sant'Elmo e facilitare così l'ingresso delle sue truppe in città. L'11 genn., alla notizia della tregua stipulata da Pignatelli con i francesi, le bande di popolani che dopo la fuga del re controllavano di fatto la città insorsero inneggiando alla santa fede e a s. Gennaro, e giurando morte ai giacobini.
Ma Championnet non si fece intimidire; assicuratosi il controllo di Castel Sant'Elmo, dove i patrioti erano penetrati il 20 genn., dagli spalti della fortezza cannoneggiò la città. Il prezzo della repressione fu altissimo: 3000 popolani rimasero uccisi. Il 23 i francesi ebbero il controllo della città, il 24 riconobbero la Repubblica e ne accettarono il governo provvisorio. A capo della giunta rivoluzionaria era la componente più scelta dell' intellighenzia meridionale.
La Costituzione fu elaborata da Mario Pagano; del governo provvisorio fecero parte, tra gli altri, V. Russo, C. Lauberg, G.M. Galanti, M. Delfico. Tra i suoi primi atti vi fu l'abolizione dei fedecommessi e delle primogeniture, mentre il problema della proprietà feudale rimase largamente inevaso. La Repubblica napoletana ebbe vita breve e si dibatté tra difficoltà finanziarie e focolai insurrezionali. Il cardinale F. Ruffo , organizzata in Calabria un'armata popolare, detta della Santa Fede, diffuse i focolai dell'insurrezione antifrancese in tutta la Repubblica.
Gli inglesi, da parte loro, tentarono un'offensiva dal mare, occupando per breve tempo l'isola di Procida. In apr., il peggioramento della situazione militare nell'Italia settentr. in seguito all'offensiva austro-russa costrinse i francesi a disimpegnarsi dalle regioni meridionali.
I patrioti napoletani rimasero soli a fronteggiare le forze nemiche e il 13 giugno l'armata sanfedista si impossessò nuovamente della città, mettendo fine al governo repubblicano. La repressione fu durissima: tra le vittime Eleonora Pimentel Fonseca (1752-99).
( Fonte © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani )
Repubblica napoletana del 1799
La sollevazione popolare
Dopo la fuga del re con tesori, denaro, mobilio e biancheria, divenne suo vicario generale il principe Francesco Pignatelli Strongoli, che il 12 gennaio decise per la firma del gravoso armistizio di Sparanise (nei pressi di Caserta) con i francesi. Tuttavia, le clausole durissime per le classi meno abbienti fecero sollevare il popolo, che si sentì tradito.
I lazzari napoletani – i giovani dei ceti popolari della Napoli del XVII-XIX secolo – si armarono e si organizzarono per combattere, aprirono le porte delle prigioni per scegliere i propri capi militari e affrontare i francesi.
Tra i seimila condannati liberati c'erano anche molti giacobini – i patrioti napoletani, come preferiva chiamarli lo storico e filosofo Benedetto Croce – arrestati nel corso delle persecuzioni del 1794 e del 1798, tra i quali una delle donne protagoniste della rivoluzione, Eleonora De Fonseca Pimentel.
Furono giorni di furore: le case dei giacobini, considerati nemici dalla plebe, furono saccheggiate; le loro biblioteche date alle fiamme; il teatro San Carlo fu occupato e i castelli della città – Castel Nuovo (noto anche come Maschio Angioino), Castel Sant'Elmo, il forte del Carmine, Castel dell'Ovo – assaltati.
Il vicario Pignatelli fuggì travestito con gli abiti della moglie e con lui non solo i patrioti, ma anche gli esponenti delle classi abbienti, ritenuti colpevoli della catastrofe politica, economica e morale e di aver aperto le porte ai francesi.
La totale “anarchia popolare” portò all'eccidio della famiglia Filomarino e, subito dopo, iniziò la battaglia di Napoli tra il popolo insorto e l'esercito di Championnet.
Il tricolore su Castel Sant'Elmo
Il 21 gennaio i giacobini riuscirono a entrare a Castel Sant'Elmo, estrema roccaforte della città sulla collina del Vomero, e dal suo versante più alto fecero sventolare, accompagnata da quattro cannonate, la prima bandiera tricolore improvvisata, fatta da un pezzo bianco dell'antica bandiera, un cappotto blu e alcune monture rosse. La Repubblica era stata proclamata. Due giorni dopo il generale francese s'impossessò del Castello e, per estensione, della città stessa. Dopo l'arrivo dei francesi, tra i vicoli della città si cantarono versi come: “È venuto lu franzese cu nu mazzo de carte ‘nmano. Liberté Egalité Fraternité tu rubbe a me, io rubbo a te”. Tra questi, anche quelli del canto più celebre dei lazzari, “A lu suono de le campane viva, viva li populane! A lu suono de li violini sempre morte a' Giacobbini!” . Folla varia, gente senza un mestiere, facchini, pescatori, marinai, manovali, per qualcuno “il popolo di Dio”, essi avevano combattuto da “capi intrepidi”.
Lo stesso Championnet scrisse al Direttorio – l'organo politico-istituzionale posto al vertice delle istituzioni francesi nell'ultima parte della Rivoluzione – che «Mai lotta fu più accanita, mai quadro fu più terrificante. I lazzaroni, questi uomini meravigliosi, sono degli eroi». Per il Corriere di Napoli e Sicilia non erano altro che «gente ignorante, credula, e sempre ingannata da i nobili aristocratici, da i preti fanatici, e da una Corte perversa e sanguinaria». I lazzari, insieme ai contadini, erano parte di quel popolo napoletano dal quale i repubblicani erano molto distanti per estrazione sociale, cultura e lingua e di cui non conoscevano i bisogni reali.
Dopo l'8 maggio 1799, giorno della partenza dei francesi salutata con gioia da tutta la città, quel popolo non insorse, non si videro le scene di gennaio e non vi fu la caccia al giacobino.
Le difficoltà della Repubblica
Ma la Repubblica non ebbe vita facile. Il governo provvisorio, costituito da venti membri tra cui Carlo Lauberg, Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo, Pasquale Baffi e Cesare Paribelli, in pochi mesi svolse un'intensa attività legislativa per rovesciare l'antico regime e gettare le basi di una società nuova, fondata sull'uguaglianza di fronte alla legge. Questi «grandi idealisti e cattivi politici», come li definì Croce, oltre a legiferare tentarono di coinvolgere proprio quel popolo nella Repubblica attraverso i giornali e le società popolari, organi importanti per la circolazione del dibattito politico.
A tutela dei ceti sociali più deboli, il 9 maggio fu abolito il dazio sulla farina e il 6 giugno quello sul pane. Furono annullati i titoli nobiliari, i privilegi di nascita e la feudalità; fu riformato l'ordinamento giudiziario, creati nuovi organi di governo municipali ed elaborata la Costituzione repubblicana. Furono inoltre scoperte congiure, catturati ostaggi, fucilati 68 borbonici e altri 32 condannati a vari anni di reclusione. L'11 maggio anche i lazzari salirono tra gli “applausi generali” alla tribuna per proclamare il loro attaccamento alla Repubblica al grido di «Viva la Repubblica, Viva la Libertà, e Viva San Gennaro». Nel frattempo, le società “regaliste” filoborboniche, costituite da nobili, funzionari ed ecclesiastici, si rivelarono molto efficaci nel reclutare le forze antirepubblicane.
L'albero della libertà. Il palo eretto in Largo di Palazzo (oggi Piazza del Plebiscito) come simbolo rivoluzionario, fu abbattuto quando Napoli fu riconquistata dai sanfedisti
Va ricordato che il 25 gennaio 1799 Ferdinando IV di Napoli (anche noto come Ferdinando I di Borbone-Due Sicilie) aveva affidato ampi poteri e l'organizzazione di una forza militare per combattere i giacobini al cardinale Fabrizio Ruffo, che progettò una spedizione in Calabria per sollevare i contadini contro i repubblicani. Agli inizi di febbraio iniziò così l'avventura sanfedista (così detta dal nome dell'esercito della Santa Fede guidato da Ruffo), con lo sbarco nella regione, l'ordine di reclutare quanti più uomini armati possibili e dare così il via alla crociata antigiacobina. Il 13 giugno, con l'arrivo a Napoli dell'esercito della Santa Fede, terminò l'esperimento repubblicano, seguito da una reazione monarchica durissima.
Con l'occupazione da parte delle truppe francesi
le raccolte d'arte del palazzo Reale vennero saccheggiate
Le difficoltà della Repubblica
Ma la Repubblica non ebbe vita facile. Il governo provvisorio, costituito da venti membri tra cui Carlo Lauberg, Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo, Pasquale Baffi e Cesare Paribelli, in pochi mesi svolse un'intensa attività legislativa per rovesciare l'antico regime e gettare le basi di una società nuova, fondata sull'uguaglianza di fronte alla legge. Questi «grandi idealisti e cattivi politici», come li definì Croce, oltre a legiferare tentarono di coinvolgere proprio quel popolo nella Repubblica attraverso i giornali e le società popolari, organi importanti per la circolazione del dibattito politico.
A tutela dei ceti sociali più deboli, il 9 maggio fu abolito il dazio sulla farina e il 6 giugno quello sul pane. Furono annullati i titoli nobiliari, i privilegi di nascita e la feudalità; fu riformato l'ordinamento giudiziario, creati nuovi organi di governo municipali ed elaborata la Costituzione repubblicana. Furono inoltre scoperte congiure, catturati ostaggi, fucilati 68 borbonici e altri 32 condannati a vari anni di reclusione. L'11 maggio anche i lazzari salirono tra gli “applausi generali” alla tribuna per proclamare il loro attaccamento alla Repubblica al grido di «Viva la Repubblica, Viva la Libertà, e Viva San Gennaro». Nel frattempo, le società “regaliste” filoborboniche, costituite da nobili, funzionari ed ecclesiastici, si rivelarono molto efficaci nel reclutare le forze antirepubblicane.
Va ricordato che il 25 gennaio 1799 Ferdinando IV di Napoli (anche noto come Ferdinando I di Borbone-Due Sicilie) aveva affidato ampi poteri e l'organizzazione di una forza militare per combattere i giacobini al cardinale Fabrizio Ruffo, che progettò una spedizione in Calabria per sollevare i contadini contro i repubblicani. Agli inizi di febbraio iniziò così l'avventura sanfedista (così detta dal nome dell'esercito della Santa Fede guidato da Ruffo), con lo sbarco nella regione, l'ordine di reclutare quanti più uomini armati possibili e dare così il via alla crociata antigiacobina. Il 13 giugno, con l'arrivo a Napoli dell'esercito della Santa Fede, terminò l'esperimento repubblicano, seguito da una reazione monarchica durissima.
La capitolazione
«Tutto era orrore, spavento e lutto», come scrisse il cronista Diomede Marinelli nel suo Diario , a testimonianza di quei giorni. Furore, massacro e saccheggio non ebbero freni, la vendetta collettiva non risparmiò nessuno, le case furono devastate e il Ponte della Maddalena divenne il luogo in cui Ruffo decise la sorte di tutti gli arrestati, senza distinzione tra uomini, donne, vecchi e bambini. Le Giunte di Stato condannarono a morte e giustiziarono 119 persone; a 122 fu dato l'ergastolo o la carcerazione, 457 furono esiliati a vita o banditi, 231 esiliati a tempo determinato o espulsi.
Castel Sant'Elmo fu il luogo della lotta, da cui tutto era cominciato e in cui tutto finì: qui i patrioti napoletani innalzarono la prima bandiera proclamando la Repubblica, da qui combatterono gli assalti quotidiani delle masse sanfediste, qui si barricarono per tentare l'ultima resistenza dopo l'ingresso in città delle truppe di Ruffo, da qui furono portati via legati e in catene dopo aver firmato la capitolazione, mai rispettata, che avrebbe dovuto garantirgli salva la vita.
La presente trattazione, è estratta dal portale web
https://www.storicang.it/a/rivoluzione-1799-repubblica-napoletana_15231