EDITTO _DI _DIOCLEZIANO

Proposto da Galerio

Fonte - Luigi Pareti ; U.T.E.T. - Storia di Roma - Pag. 185 a Pg. 200

Luigi Pareti

Storico dell'antichità, nato a Torino il 30 maggio 1885, allievo di Gaetano De Sanctis nell'università di Torino ove si laureò nel 1909 e di K. J. Beloch nell'università di Roma.

Professore di storia antica nell'Istituto di studî superiori, poi università, di Firenze (1912-33), quindi nelle Università di Catania (1933-40) e di Napoli (1940-55).

 

La prima disposizione generale riguardante i Cristiani , a nome dei tetrarchi, fu presa fra gli anni 298-302 (*), evidentemente in conseguenza della guerra Persiana (§ 7), e della riforma dell'esercito (§ 8), per eliminare gli inconvenienti creati da parte almeno dei soldati volontari e coscritti cristiani (cap. I, § 7) ; e può dirsi più che di persecuzione, di « epurazione » (1).

E il primo dei tetrarchi che avrebbe deciso di eliminare i Cristiani intransigenti dall'esercito (ossia quelli che pretendevano di essere esonerati dalle cerimonie pagane ) sarebbe stato Galerio (2).

In primo luogo egli avrebbe fatto inchieste su quelli che servivano nel palazzo, destituendoli, ed in alcuni casi punendoli anche colla morte (3) ; poi, per mezzo del « magister militiae » Veturius, avrebbe disposta un'ispezione generale sui militari della (sua) armata : « lasciando loro la scelta di conservare il loro grado, obbedendo agli ordini imperiali (abiura e sacrificio agli dei), o di dimettersi in caso di rifiuto ». Ma anche qui, in alcuni casi, si ebbero condanne (4).

Questa epurazione (5), disposta da Galerio Cesare, per le truppe alle sue dipendenze, non sarà verisimilmente avvenuta, senza avvertirne l'Augusto, Diocleziano.

Il quale poco appresso, stando a Lattanzio (de mort., 10; Divin. instit., IV, 27) mentre era in Antiochia, per un sacrificio non riuscito, «a causa della presenza di profani » (ossia di soldati cristiani), avrebbe imposto anche alle sue truppe di sacrificare agli dei, pena le dimissioni, senza però far versare sangue a nessuno. .

Non consta cche quella disposizione fosse applicata anche in Occidente; e nulla dimostra Odessa portasse ad un vero esodo di soldati cristiani (1A).

Ad ogni modo le conseguenze delusero le speranze che n'erano state concepite (2A).

Racconto più particolareggiato sulla promulgazione della prima vera persecuzione dei cristiani, bandita a nome dei tetrarchi, ci è data ancora da Lattanzio (de mortibus, 10-15), e per quanto esageri probabilmente la parte avuta da Galerio, nell'insieme è confermabile, e completabile con altre fonti (3A).

Nella primavera del 303, mentre Galerio sostava a Nicomedia presso Diocleziano, sollecitato egli stesso da più persone (ad es. dalla propria genitrice, verisimilmente in lotta colla nuora Valeria, cristianeggiante, e con la madre di costei Prisca, moglie di Diocleziano; dal governatore della Bitinia, Hierocle Sossiano, — così avverso ai Cristiani, che appresso scriverà contro di loro due libri (4A), — e da un mago di nome Theotecne) (5), avrebbe assunto l'impegno di convincere il proprio Augusto e suocero, a perseguitare i Cristiani.

Noi non conosciamo con precisione le accuse fondamentali che, uomini di stato, Galerio e poi Diocleziano, potessero muovere al Cristianesimo, come perturbatore della vita pubblica; ma una di quelle, di carattere nuovo, che dovettero agire, se stiamo alle dichiarazioni di Galerio stesso, nell'occasione dell'editto di tolleranza del 311, dovette essere l'azione, contro l'unità degli animi e contro la pace interna, delle lotte tra le varie sette « eretiche » ed antiereticali (Cap. IV, § 5A).

Diocleziano avrebbe in un primo tempo resistito alle sollecitazioni, per non mettere in subbuglio il mondo, e non far versare fiumi di sangue, sia nei colloqui segreti con Galerio, sia di fronte ad un consilium di generali e giuristi, concordi col Cesare, o timorosi di contraddirlo: ricorrendo all' extrema ratio di chiedere il responso dell'oracolo Apollineo del Didimeo (6A), la cui risposta ambigua fu interpretata come avversa ai Cristiani.

Allora Diocleziano avrebbe ceduto, a patto che si evitassero gli spargimenti di sangue.

 

 

( * ) Cedr., p. 409; Teofan., p.- 10; Hieron., a. 2317, trad. arrn. (anno XIV) oscillano tra il 3° e il 16° anno di Diocleziano ; Cronaca di Euseb., dà: XIV; XVI; XVIII anno.

(1) Euseb., Hist. eccl., Vili, i, 7; 4, 2 sgg.; Latt., de mort., 9-10; 12, 1. Per una leggenda copta, inutilizzabile: «Class. Quart. », III, 218.

(2) V'è in Lattanzio lo sforzo evidente di sollevare dalla responsabilità Diocleziano, a cui egli doveva la sua cattedra a Nicomedia (Hieron., de vir. ili., 80), addossando le maggiori colpe a Galerio, che presumibilmente glie l'aveva fatta perdere.

(3) Euseb., Hist. eccl., Vili, app. 1, 4 (passo dubbio); Latt., de mort., io, 1-4; 11, 3-8, che considera la madre di Galerio l'ispiratrice: 11, 1-2.

(4) Euseb., Hist. eccl., Vili, 4, 2-4; Chron., per il nome di Veturius.

(5) Il realtà l'epurazione riguardava solo i già soldati, che dunque fin qui avevano potuto militare, perchè non obbligati ad abiure o a sacrifizi pagani: fossero essi entrati in servizio come volontari, o come « coscritti » di ufficio, per esser figli di veterani. Non ha rapporto diretto con ciò il caso dei coscritti cristiani che si rifiutarono di ricevere il marchio dell'imperatore (cfr. A da S. Maximiliani, Ruinart, 309), che un tempo erano puniti facendoli schiavi, ma poi in genere furono trattati con maggiore indulgenza (Dig., XLIX, 16, 3, 9; 16, 4, io. 15), anche se disertori (ibid. XLIX, 13, 6).

 

(1A) Pericoloso è servirsi della produzione agiografica, tranne in casi di fonti sicuramente antiche. È possibile, ma non dimostrato, che i martìri, a Calahorra, di S. Emeterio e Chelidonio (Prudentio, Peristephan., 43-48) pur essendo anteriori alla persecuzione del 303 (ibid., 73-78), si riferiscano a Quella epurazione — in zona di Massimiano, poiché pare che alludano ad una Persecuzione generale.

(2A) Latt., 34, I ; Euseb., Hist. eccl.. VIII, 17, 7.

(3A) Tra di esse: Arnobio, adv. nat,, 4, 36.

(4A) Su di essi — confutati da Eusebio, Contra Hieroclem si veda anche Latt., div, Instit., 5, 2, 12 sgg.; de mort., 10 sgg.

(5A) Cifr. anche EUSEB. Vita Const., II, 50-51

(6A) Latt. de mort. II ; EUSEB. Vita Const., II, 50-51

(1)

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Fu preparato un editto, con cui si ordinava l’abbattimento delle chiese dei Cristiani, l’incendio dei loro libri sacri, e la pronuncia di una nota d’infamia, per quelli di essi che avessero opposto resistenza: sì che i Cristiani di grado più elevato avrebbero perduto i loro privilegi, divenendo passibili di tortura, i più umili sarebbero divenuti schiavi, e gli schiavi sarebbero stati esclusi dalle manomissioni (1).

L’editto doveva essere esposto, in Nicomedia, il 24 febbraio 303, ma già il giorno prima — dicesi su ordine di Galerio — sarebbe stata abbattuta la chiesa principale della città, sorgente su di un colle presso il palazzo imperiale, ardendovi i libri sacri, e predando gli oggetti preziosi : Diocleziano si sarebbe opposto a che la Chiesa fosse incendiata, ma solo per non porre a repentaglio la città stessa.


Nè il versamento di sangue fu evitato: e, secondo Lattanzio, fu proprio Diocleziano a richiederlo.

L’atto inconsulto di un cristiano, il quale strappò una copia affìssa dell’editto, lo portò ad esser condannato all’arsione, come scaduto ad « humilior », ma non potè aver conseguenze per l’intera comunità cristiana (2) ; quando però scoppiò un incendio nel palazzo imperiale, di cui furono accusati i Cristiani — sia ch’esso fosse fortuito (3), sia dovuto veramente a qualche cristiano, sia fatto appiccare, come insinua Lattanzio, da Galerio stesso (4), — Diocleziano si adirò, ordinando processi e torture.

La sua ira giunse poi al parossismo quando, 15 giorni appresso, scoppiò un secondo incendio nel palazzo, mentre Galerio ed il suo seguito lasciavano la città « per non correre pericolo di essere arsi ».

Diocleziano allora, novello Nerone, invece di ricercare gli incendiari veri, considerò colpevoli tutti i Cristiani che non avessero abiurato, portando a morte una quantità di fedeli, tra cui molti dei cortigiani del palazzo (5), il vescovo Antimo e molti preti.

Le stesse Prisca e Valeria dovettero sacrificare agli dei, per allontanare da sè i sospetti.

Vero è, che dopo alcuni giorni di sfogo bestiale, si tornò all’esecuzione fedele dell’editto, colpendo i Cristiani, che non abiuravano, di morte civile e non fìsica.


Mentre ciò avveniva a Nicomedia, l’editto, redatto dai due tetrarchi, ma diffuso a nome di tutti e quattro, veniva portato per il mondo romano, dove non solo giunse, com’è logico, in epoca diversa nelle varie zone, ma fu applicato più o meno integralmente e zelantemente, a seconda dei criteri degli esecutori; mentre gli inquisiti si contennero anch’essi in tante maniere diverse.

 

(1) Si veda anche Euseb., Hist. eccles., IX, 2, 4; io, 8; Rufino, Hist. eccl., Vili, 2.
(2) Notizie parallele in Euseb., Hist. eccl., Vili, 5.
(3) Tale è la tesi in Euseb., Hist. eccl., VI, 2; ripetuta nella opera semi-costantiniana, Orat. ad Sanct. Coetum, 25, 2 (cfr. oltre).
(4) Questa è la tesi di Lattanzio.
(5) Notizie anche in Euseb., Hist. eccl., Vili, 6, 2-6; Latt., divin. Inst., V, 11.

 

Nella zona retta da Diocleziano i Cristiani di Nicomedia, neirinsieme, apparvero eroici, ma quelli della zona di Antiochia, pur dando mirabili esempi individuali di fede (come il diacono Romano di Cesarea), nella maggioranza cedettero, sacrificando agli dei pagani, mentre le loro chiese venivano abbattute ed i libri sacri distrutti (1).

Per le provincie amministrate da Galerio siamo informati solo dalla documentazione, che richiede controlli speciali, degli « Acta » dei martiri.


In Occidente Massimiano e Costanzo furono invitati a dar esecuzione all' editto, lanciato anche a loro nome (2) ; ma Costanzo, facilmente giustificabile per il poco numero dei cristiani della sua zona, forse giunse a far distruggere qualche chiesa (3), senza pretendere altrettanto per i libri

 

(1) Euseb., de mart. Pai., 2; de resurr., II (diverso il racconto di Prudenzio, Peristeph., X,
41 sgg.); Hist. eccl., X, 2; 4; 26; 33.
(2) Latt., de mort., 15.
(3) Per le chiese di Gallia: Latt., de mort., 15, 7 (« Constantius... conventicula id est parietes, qui restituì poterant, dirui passus est, verum autem dei templum, quod est in hominibus, inco­ lume servavit»); per quelle di Britannia: Beda, Hist. eccl., II, 8. Cfr. Euseb., Hist. eccl., Vili, 13, 13 il quale nega invece la distruzione delle chiese.

(2)

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sacri (1) ; forse invece si accontentò di vietare le adunanze dei fedeli. Invece assai più severa fu la repressione nell’area di Massimiano.

A Roma, se non mancarono i « traditori » (come li chiamarono i Donatisti, che ne fecero elenchi) (2), si ebbero però dei processi, confische di beni (3), e distruzioni di documenti; mentre cura dei fedeli era di rendere inaccessibili, per salvarle dalla distruzione, le tombe, poi ritrovate in parte da Papa Damaso.

In Spagna sappiamo da Prudentio (4) che avvenne una vera ecatombe di libri sacri. In Africa, molte tombe furono profanate; e molte chiese e libri sacri distrutti ; ed il fenomeno dei « traditori » fu preso di mira, ed esagerato dai Donatisti.

Essi raccolsero le testimonianze sui colpevoli delle varie categorie di quel tradimento, poi specificate dal concilio di Arles del 314 (can. 13): di chi aveva consegnato agli inquirenti i libri ed i vasi sacri; le sacre scritture; e gli elenchi dei fedeli (5).

E tuttavia anche là i Cristiani che affrontarono il martirio furono tanti, e i tormenti da essi subiti così feroci, da provocare, per reazione, la conversione al Cristianesimo di alcuni pensosi pagani.

Ciò avvenne ad es. per il maestro di Lattanzio, insegnante a Cirta, Arnobio (6), poi autore di sette libri contro il paganesimo: « Adversus Nationes » (7) ; e poi per il suo allievo, convertitosi a Nicomedia, dove aveva ottenuta una cattedra da Diocleziano.

 

(1) Optat., de schism. Donat., I, 22. Poco verosimile è il racconto della Vita Constant., I,
16-17 sulla conservazione, nel palazzo imperiale, dei soli familiari cristiani.
(2) Augustin., Brevic. coll, cum Donatistis, III, 34.
(3) Cfr., ad es., Liber Pontif., I, 182 (Duchesne).
(4) Prudent., Peristeph., I, 73-78.
(5) Si cfr. anche per il concilio di Cirta, August., Contra Cresconium, III, 3; 25; 27; 29; 30; Brevic., Ili, 27; Optat., de schism. Donat., I, 13; 14; 16. — Nel concilio di Arelate si trattò « de eis, qui scripturas sacras, vasa dominica vel nomina fratrum tradidisse dicuntur ».
(6) Arnob., adv. Nat., IV, 18; 36; III, 7; Hieron., de vir. ili., 79-80.
(7) Arnob., adv. Nat., I, 26; II, 73; III, 36; IV, 36.

 

16. Nel corso del 303, dopo il primo editto contro i Cristiani, narra Eusebio (Hist. eccl., VIII, 2, 5; 6, 8-10) che accaddero fatti, in Siria e intorno a Melitene, che decisero Diocleziano ad emanare nuove disposizioni contro i Cristiani.

Dei fatti di Siria ci informa, almeno parzialmente, Libanio (Orat., I, 324; 644; 661): un tribuno di nome Eugenio dirigeva 500 soldati (una coorte) nel faticoso lavoro di scavo della rada di Seleucia: costoro si ammutinarono, ed Eugenio si fece proclamare imperatore, ed occupò il palazzo imperiale di Antiochia; ma in quel giorno stesso fu soppresso dagli Antiocheni.

Con ogni probabilità quel movimento fu considerato come una sommossa di militari cristiani. Nel tempo stesso intorno a Melitene, ossia nella piccola Armenia, da poco distaccata dalla Cappadocia, si verificarono altri fatti reazionari: forse connessi con l’attiva propaganda, in quella zona, di Gregorio l’Illuminatore.

Questi eventi (in cui si voleva vedere l’azione del clero cristiano) furono, stando ad Eusebio (1. c.), quelli determinanti per un « secondo editto » di Diocleziano (più un codicillo al primo editto, che un vero editto a sè) : che ordinava l’imprigionamento dei capi della Chiesa; sicché, aggiunge Eusebio, le prigioni furono piene di vescovi, di preti, di diaconi, di lettori, di esorcisti.

Presumibilmente quell’accanimento contro il clero — ch’era logico per chi voleva estirpare il Cristianesimo — fu provocato anche dagli scritti che, in quei mesi, venivano pubblicati contro i Cristiani.

Lattanzio (Div. Inst., V, 2) ricorda l’opera, in tre libri di un filosofo, innominato, piaggiatore degli imperatori, lodati come difensori della fede degli avi, che cercava di confutare la fede cristiana, e supplicava i suoi credenti ad abbandonarla per non esporsi ai tormenti.

Nello stesso periodo scrisse il suo « Discorso amico della verità ai Cristiani », in due libri, Ierocle, il governatore della Bitinia, già indicato (§15) come consigliere della persecuzione ; il quale ricercava le contraddizioni tra i passi delle scritture, ripeteva e creava assurde leggende sul Cristo, ai cui miracoli opponeva quelli di Apollonio di Tiana (1).

In realtà, se non osiamo affidarci alla documentazione, di troppo discutibile valore, degli « Acta », per le procedure determinate da questo nuovo provvedimento,

 

(1) Latt., Divin. Inst., V, 3; Euseb., Con­ iva Hievoclem, passim.

(3)

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poco ci dicono le fonti più attendibili: riguardo a Donato, confessore di Nicomedia (1) ; a Procopio esorcista di Scitopoli (2) ; ad Alpheo e Zaccheo, martiri di Cesarea (3) ; ad Osio vescovo di Corduba (4) ; al vescovo di Saragozza Valerio (5), e così via.

Eusebio ci informa sul caso tipico, ed indice di complessi stati d’animo, di vari sacerdoti, che furono dimessi anche a loro dispetto, come se avessero sacrificato agli dei, mentre ciò non avevano fatto (6) ; e su quello di molti altri che per debolezza fecero apostasia (7).


Col 17 novembre 303 si compiva il ventennale del dominato di Diocleziano (cap. II, § 18), ed in quell’occasione egli si recò a Roma per solennizzarlo (Lattanzio, de mort., 17) insieme con Massimiano, e per trionfare sui Persiani (§ 7) ; ma poi ne sarebbe ripartito prima del tempo, malato e insofferente, il 20 dicembre (Lattanzio, ibid.). In occasione di quei « vicennalia », come di consueto, fu concessa una amnistia, di cui molti cristiani beneficiarono (8).

Naturalmente però tale amnistia presupponeva delle clausole per l’applicazione: tra cui, con ogni verisimiglianza quella che, in Eusebio, è considerata come il terzo editto contro i Cristiani (9).

In essa si prescriveva che fossero dimessi solo quei prigionieri che sacrificavano agli dei; mentre avrebbero dovuto subire il supplizio quelli che si rifiutavano tuttora.

Aggiunge Eusebio che innumeri furono i martiri (sacerdoti) di tutte le provincie. Conosciamo, da fonti di valore storico, alcuni nomi di quei nuovi martiri: ad es. di Romano ad Antiochia (10), e di Vincenzo a Saragozza (11). Non sappiamo però in quale modo l’amnistia sia stata rispettata dai vari tetrarchi.
Coll’estate avanzato del 304 Diocleziano, che forse aveva passato l’inverno a Spalato, giunse a Nicomedia (12), dove il 17 settembre inaugurò il circo che vi aveva fatto costruire (13).

 

(1) Latt., de mort., 17.
(2) Euseb., Mart. di Palest., i.
(3) Id., ibid., I, 5.
(4) Athan., Hist. Arian., 44.
(5) Prudentio, Peristeph., IV e V passim.
(6) Euseb., Mart. di Palest., 1, 3-4; Hist. eccl., Vili, 3. (7) Euseb., Hist. eccl., Vili, 2-3.
(8) Euseb., Mart. di Palest., 2, 4; Hist. eccl., Vili, 4, 9. (9) Euseb., Hist. eccl., Vili, 6, 8-10; Cod. Iust., 9, 51, 9. (10) Euseb., Mart. di Palest., 2, 4.
(11) Prudent., Peristeph., V, passim.
(12) Lattanzio, de mort., 17.
(13) Ibidem.

 

Ma durante i mesi della sua assenza, in cui al comando dell’Oriente era rimasto Galerio, e precisamente verso il marzo 304, era stato lanciato il nuovo editto (1), che, se anche era stato approvato da Diocleziano, doveva essere soprattutto opera del suo Cesare.


Vi si ordinava ai governatori di obbligare tutti i Cristiani, di tutte le regioni e città, a fare pubblicamente sacrifìci e libazioni agli dei (2).

Quali terribili conseguenze avesse un bando di persecuzione così generale, — e annullante l’amnistia — ci dice diffusamente un testimone oculare, vivente a Nicomedia, Lattanzio (3).

(4)

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Ogni governatore l’applicò a seconda del suo umore e della sua potenza : gli uni con maggiore zelo e prontezza, portando a morte i processati — il che era considerato da quegli sventurati come un trattamento di favore (4) —; gli altri
con una più feroce ostinatezza, e più perfidamente, come se si trattasse di veri nemici, e con maggior ipocrisia, per far risultare che si era cercato di evitare l’applicazione della pena capitale, fino a quando era stato possibile.

Se i primi potevano agire come in Frigia, dove un’intera città, abitata esclusivamente da Cristiani, fu assalita dalle truppe e data alle fiamme, al diniego collettivo di ottemperare all’ordine (5) ; i secondi ricorrevano, ad es. in Bitinia, ai tormenti più crudeli, per apparire zelanti esecutori di ordini disumani.

Eusebio (6), ci ha lasciate raccapriccianti descrizioni: ad es. delle crudeltà poste in opera nelle provincie nordiche (torture, flagellazioni, etc.) ;

 

(1) Secondo Eusebio, Mavì, di Palest., 3, l’editto era giunto in Palestina a metà dell’anno
(siro-macedone), dunque circa nell’aprile 304: la promulgazione a Nicomedia può essere del marzo. (2) Euseb., ibid.
(3) Lattanzio, Div. Inst., V, 11.
(4) Lattanzio, de mort., 22.
(5) Euseb., Hist. eccl., Vili, 11, 1.
(6) Euseb., Hist. eccl., Vili, 8.
13 — Pareti, VI.

 

dei sistemi usati per le uccisioni (arsione, annegamento, decapitazione, crocifissione con testa in basso...); e di quanto accadeva nelle «esposizioni alle fiere» in Tiro (1).

I màrtiri furono innumerevoli in quasi tutto l’impero, tranne nelle provincie tenute da Costanzo (2) ; e molti Cristiani si difesero audacemente, nei dibattimenti e negli interrogatori, e talora anche con gli scritti (3).

Abbiamo altre notizie, generali e particolari, sulla persecuzione in Palestina (in un’apposita opera di Eusebio : I martiri di Palestina} ; in Alessandria (4) ; in Tebaide (5) ; nel Ponto (6) ; in Africa (7) ; mentre di quanto avvenne in Spagna molto è conservato in Prudentio (Peristeph., passim).

Le notizie più antiche sui martiri di Roma si hanno nelle iscrizioni cimiteriali, nei testi di Damaso, nel Martirologio Hieronimiano, nelle « Deposizioni dei vescovi » e « dei martiri », nel « Liber Pontificalis », etc.
Non riteniamo di poter utilizzare qui, senza un’esposizione criticamente dettagliata, gli elementi storici accettabili sui singoli martiri che si possono trarre dai soli « Acta » ; mentre di non pochi di essi restano notizie in fonti antiche di valore concreto: ad es. per Vittorino di Petovio (8), Cassiano di Foro Cornelio (9), Sotera (io) ed Agnese di Roma (11), Iulitta di Cesarea (12), Cipriano di Oriente (13), Leontio e Fidentio di Ippona(i4), etc.


17. Pare certo, che almeno nel 303, quando Diocleziano era a Roma per solennizzare il ventesimo anniversario del suo dominato (§ 16), egli aveva concepita l’idea, per dare forma di stabilità al sistema tetrarchico, di abdicare insieme col collega Massimiano, allorché, a quanto pare il 1 ° marzo del 305, si compissero i 20 anni della nomina a Cesare di Massimiano (§ 1) ; in modo che Galerio e Costanzo sarebbero diventati, a loro volta Augusti,

 

(1) Id„ Ibid., Vili, 7, 1-6.
(2) Lattanzio, de mort., 15, 7; Euseb., Hist. eccl., Vili, 13, 13.
(3) Di quell’epoca sono VAdversus Gentes di Arnobio (cfr. I, 13; II, 5; IV, 36) e di Lat­ tanzio il De opificio Dei (cfr. 6, 15; 15, 6; 20), e l’inizio delle Divinae Institutiones (5, 2, 2; II. 15)-
(4) Atanasio, Ad solit. vitam agentes, passim.
(5) Euseb., Hist. eccl., Vili, 9, 1-3.
(6) Euseb., Hist. eccl., Vili, 12, 6; Basilio, epist., 204, 6.
(7) Optat., o. c., IV, 8 e numerose epigrafi.
(8) Hieron., de vir. ili., 74.
(9) Prudent., Peristeph., IX, 1-92.
(10) Ambrosius, de exhort. vivg., 12; de virginit., Ili, 4.
(11) Ambrosius, Hieronimus, Prudentius, Damasus, etc.
(12) Basilio, Homil., V, 1-2.
(13) Greg. Naz., Orat., XXIV.
(14) Augustin., Sermon., 61; 148; 262; 325; 396.

(5)

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assumendo due nuovi dòmini come «Caesares» (1).

Ce lo dice in modo esplicito il Panegirico 6 (VII) a Costantino, redatto nel 310, in cui si narra (par. 15) che nel 303, incontratosi a Roma con Massimiano, Diocle­ ziano gli aveva fatto giurare, nel tempio di Giove Capitolino, che avrebbero abdicato insieme, al momento dei ventennali di Massimiano stesso.

Anche nel Panegirico 7 (VI), per il matrimonio di Costantino e Fausta, del 307, si afferma (par. 9) che Diocleziano non era venuto alla determinazione della abdicazione « desidiae cupiditate ductus » (con probabile allusione alla lunga malattia che lo avrebbe, secondo Lattanzio, afflitto con pericolo di vita dal dicembre 303 alla primavera 305) (2), ma perchè tale decisione era già stata presa da tempo (olim) dai due colleghi, ossia dunque prima del 305.

Che tale fosse l’intenzione di Diocleziano, almeno da alcuni anni prima del 305, in cui, dopo l’abdicazione, si ritirò nel palazzo di Spalato, lo dimostra la costruzione di questo stesso palazzo, che richiese certo degli anni (3).


Le fonti non cristiane, ossia Eutropio (IX, 27), Victor (39, 48) e Giuliano (Caes., 405, M.), mentre ci presentano Diocleziano, nel 305, fermo nella sua intenzione di abdicare (per Victor decisiva fu per lui la predizione di prossimi conflitti civili), affermano ch’egli dovette imporsi, perchè Massimiano lo imitasse (contro il convenuto) : il che si accorda col posteriore contegno di costui, quando riassunse la porpora nell’autunno 306 (cap. IV, § 2).

 

(1) Ciò avrebbe dovuto ripetersi, il 21 maggio 312, per Galerio, fatto Cesare il 31 maggio
293 (§ 2); se non fosse morto in anticipo, cfr. Latt., De mort., 20.
(2) Latt., De mori., 17-18.
(3) Probabilmente in Salona, per curare quella costruzione, egli svernò nel 303-304: § 16.

 

Lattanzio, che viveva a Nicomedia nel 305, ma che era animato da una evidente avversione per Galerio, ci dà una versione assai diversa (de mort., 18-19).

Secondo lui, prima Galerio aveva visitato Massimiano, per imporgli l’abdicazione, se voleva evitare una guerra civile; poi si era recato a Nicomedia, col pretesto di congratularsi con Diocleziano per la salute recuperata, ma presto gli aveva svelato il suo intento.

Lattanzio ci espone a dirittura il dialogo, che sarebbe avvenuto nel segreto del palazzo, tra il vecchio e piagnucoloso Augusto ed il suo audace Cesare e genero, con tutte le battute da ambe le parti : ricostruzione sicuramente retorica ed arbitraria.

Ma da un punto traspare che anche Lattanzio non ignorava, che quanto avrebbe richiesto Galerio era già stato concordato da tempo da Diocleziano stesso (1), e quindi, pure respingendo, nel dettaglio, il teatrale e drammatico racconto dello scrittore cristiano, può rimaner dubbio se, di fatto, quando si avvicinò la data del 1° maggio 305, e cioè del ventesimo anniversario del potere di Massimiano, non meno di costui si sia dimostrato tentennante nell’eseguire il concordato Diocleziano: richiamati entrambi alla sua esecuzione, non sappiamo in quale modo, dal rude Galerio (2).

Quel che, di fronte a questi particolari incontrollabili conta, è la conclusione : il 1° maggio del 305, convocate le truppe a tre miglia da Nicomedia, dove una colonna, sormontata da una statua di Giove, era stata eretta nel luogo, in cui, in quello stesso giorno del 286, Massimiano aveva ricevuta la porpora di Cesare da Diocleziano, si comunicò la decisione presa (3). Naturalmente essa non riguardava solo l’abdicazione dei due Augusti, a cui succedevano Galerio e Costanzo, ma anche la designazione dei due nuovi Cesari.

 

(1) « Respondit (Galerius) debere ipsius (Diocletiani) dispositionem in perpetuo conservari, ut duo sint in republica maiores, qui summam rerum teneant, item duo minores, qui sint adiumento. Inter duos posse concordiam servari, inter quatuor pares nullo modo » (Latt., de morì., 18).
(2) Forse Lattanzio ha risaputo, da qualche personaggio della corte, il particolare sostanziale della momentanea resipiscenza di Diocleziano, e poi l’ha romantizzato con particolari di fan­ tasia, che gli permettevano di dare un quadro avverso all’odiato Galerio. Che l’informatore even­ tuale sia Costantino stesso, vivente alla corte di Nicomedia, non è dimostrabile : quando Lattanzio, in Gallia, divenne maestro del figlio di Costantino, Crispo (f 326) il de movtibus era verisimilmente edito da tempo (314 c.), essendo Crispo giunto al servizio militare solo nel 320.
(3) Latt. de mort., 19.

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Anche qui Lattanzio (de mort., 18-19), Pure forzando, in modo evidente, il contrasto tra Galerio e Diocleziano, che ancora sarebbe stato succube, deve rispecchiare grosso modo la realtà.

Diocleziano sarebbe stato propenso a che divenissero Cesari : Massenzio, il figlio dell’ex-Augusto Massimiano, e genero di Galerio (per quanto fosse riconosciuto pericoloso, orgoglioso e non devoto nè al padre nè allo suocero) ; e Costantino, figlio del neo-Augusto Costanzo, amato dai soldati, e che Diocleziano stesso aveva tenuto presso di sè, elevandolo al grado di tribuno.

Invece Galerio avrebbe sostenuta la successione di due suoi gregari fidati (1) (in vista del proprio potere di capo della tetrarchia) (2).

Per l’Occidente si trattava di colui che fu detto Flavio Valerio Severo, che Galerio riteneva un buon comandante (mentre secondo Diocleziano egli sarebbe stato indegno).

Galerio affermava ch’era già stato accettato da Massimiano (si ricordi che secondo Lattanzio prima di ottener il consenso di Diocleziano egli aveva ottenuto quello di Massimiano).

Per l’Oriente il proposto da Galerio era il proprio nipote, figlio di sua sorella, poi detto Valerio Massimino Daia, che fin qui aveva percorso i gradi della guardia imperiale (come scutarius, protector, tribunus).

Anche qui non è facile eliminare con precisione la parte romanzata del racconto di Lattanzio : quel ch’è certo il 1° maggio 305, in cui si compiva il ventennale di Massimiano (Lattanzio, ibid., 19), mentre a Milano Massimiano abdicava, e pro­ clamava Cesare Severo (Paneg., V, 12); a Nicomedia lasciava il dominato Diocleziano, rivestendo della porpora Massimino Daia, senza che i soldati osassero fiatare, pur volgendo gli occhi, dice Lattanzio, verso il loro preferito, Costantino.


Poi, mentre il vecchio Diocleziano lasciava Nicomedia per raggiungere — novello Sulla — il suo rifugio di Spalato ; Massimiano usciva da Milano per ritirarsi in una sua villa, sita o in Lucania o in Campania : probabilmente al confine tra le due regioni (3).

Entrambi, come Sulla, nei loro eremi, stettero però ben attenti, a quanto sarebbe avvenuto.


18. Tutta l’azione di Diocleziano era stata dominata da uno scopo, che non era affatto un miraggio anacronistico ed irrealizzabile: di ridare, con nuovi ordinamenti, vitalità all’impero romano.

Sarebbe enorme ingiùstizia non riconoscere i concreti passi compiuti per quello scopo, ed il raggiungimento della parte fondamentale del suo programma.


Certo non può negarsi che egli abbia avuto una tendenza verso le concezioni schematiche, talora anche geometriche o simmetriche che dir si voglia; e verso le costruzioni preconcepite; ma qualunque riforma di vasto stile è inconcepibile se non se ne ha fin dall’inizio un’idea generale e sintetica.

D’altronde quella sua tendenza alla precostruzione fu esagerata dagli storici, i quali, ad es. sostennero che fin da principio egli mirasse al sistema tetrarchico in tutti i suoi dettagli, che invece nacquero a fasi, ed in parte empiricamente.

Non può neppure negarsi ch’egli abbia dato prova di soverchio ottimismo nell’efficacia miracolistica delle leggi concepite, per risolvere i grandi problemi sociali : ma si tratta di un difetto di euforia politica, che troppi grandi uomini ebbero in comune con lui; e se portò a ritornare sui problemi ed a tentare di risolverli con sempre maggiore esperienza, fu ad ogni modo assai meno grave dell’immobilismo per eccessiva riflessione e pessimismo, specie quando seppe rinunciare alle soluzioni fallite.

 

(1) Latt., de mort., 18, 8; Anon. Val., 4, 9 (corretto).
(2) Per Galerio non poteva essere una prospettiva gradita che nella tetrarchia ci fossero due elementi legati tra di loro (Costanzo e Costantino) e a lui avversi; ed un terzo, Massenzio, su cui credeva di non poter contare.
(3) Latt., de mort., 19; 26; Paneg., VII, 11; Zosimo, II, io; Zonara, XII, 31.

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Ma alcune delle sue fondamentali azioni innovatrici e riorganizzatrici ebbero un’importanza decisiva, e segnarono in maniera innegabile le vie del futuro.

Ad es. la rinuncia alla pretesa degli imperatori di essere delle divinità viventi, per sostituirla col concetto della ispirazione e della scelta carismatica del dominus da parte della divinità, permise al mondo romano, quando divenne cristiano, di non trovarsi di fronte ad un potere imperiale inconciliabile con la religione.

L’aver posto un termine pressoché perentorio all’ingerenza dell’esercito nelle proclamazioni imperiali, rese più facili e meno cruente le successioni.

La difesa concreta dell’impero, di fronte alle invasioni esterne, realizzata colle vittorie militari; il rinforzo e la migliore distribuzione dell’esercito; le grandiose costruzioni confinarie e le fortificazioni delle citta, assicurarono un periodo notevole di maggiore sicurezza.

L’edificio amministrativo del tutto rinnovato ed orientato sulle diocesi e sulle provincie di area ridotta, pose in valore le potenze coesive ch’erano tuttora negli ethne, assoggettati da Roma, e nei loro aggruppamenti regionali, che sarebbero poi sopravvissuti in buona parte, anche dopo lo smembramento.

L’ordinamento tributario, pure coi suoi iniziali difetti, via via emendati, divenne uno dei pilastri non solo dell’ordinamento romano nel tardo impero, ma pure di altre genti, a cui fu trasmesso, come dei Persiani e degli Slavi.

Infine è innegabile il tentativo dei tetrarchi di evitare i privilegi di classe; di creare degli organismi che avessero, pure nella loro coattività, uno scopo di difesa della collettività; di testimoniare un senso di interesse anche verso le classi più umili, dei soldati e degli agricoltori, anche se applicato con mano pesante.


D’altra parte non può negarsi che, in tanto lavorìo, non sia accaduto a Diocleziano (come a chiunque abbia molto fatto) di « fallare » : però si può constatare, in genere, che non perseverò senza deflettere, quando la realtà pareva dargli torto.

Così egli aveva certo sperato in un’affermazione stabile del sistema tetrarchico antidinastico ; ma quando esso incominciò a dimostrarsi irrealizzabile nella sua interezza per le inevitabili volontà dinastiche dei suoi collaboratori, non intervenne in modo drastico, per impedire che il criterio dinastico si innestasse in quello tetrarchico.

Egli fallì nel tentativo di fissare i prezzi massimi delle merci — come d’altronde fallirono nei secoli successivi, a cominciare da quello di Giuliano, tutti i tentativi di « calmieri generali », non limitati a qualche genere e a qualche categoria di persone —, ma poi lasciò cadere il suo sistema nell’inapplicazione.

Esso aveva d’altronde la giustificazione morale di tendere al benessere di una grande classe di persone: i tenuiores (*).

(*) - Treccani - Nell'Impero romano (a partire dal 2° sec.), gli appartenenti alle classi più elevate (senatori, cavalieri, veterani, decurioni), in contrapposizione agli humiliores (o tenuiores , plebeii ); agli h. erano concessi particolari privilegi di fronte alla legge.

 

Ed a vantaggio dei tenuiores era anche un’altra riforma, quella monetaria: per cui però, come vedemmo, non è così perspicuo nè il suo fallimento, nè il suo arbitrio dominale.

Ma il suo grande fallimento fu quello della inutilmente cruenta persecuzione dei Cristiani: messo in evidenza, e certo anche esagerato dai seguaci della fede, che poco appresso trionfò.

Anche qui però non va dimenticato nè la sua iniziale volontà, che non si dovesse passare ad atti cruenti; nè le arti messe in azione da Galerio per portarlo a divenire persecutore, nè infine le gravi difficoltà che, alla sua sostanziale riforma militare, parevano opporre non pochi elementi cristiani, sia dal di fuori, sia dall’interno dell’esercito stesso.

 

FINE