La Storia Tra Sacro e Profano
di Rocco Amendola
STORIA DI SAN BIAGIO
DI SAN BIASE E DI MARATEA DISCORDO ISTORICO
Rev. Don CARMINE IANNINI 1835
Per ovvi motivi di copyright editoriali non sarà possibile pubblicare gli interi capitoli, ma solo qualche estratto di questi ultimi, quelli segnati in rosso .
INDICE
de’ Capi, contenuti nella presente Opera
LIBRO I
Capo I Delle sue eroiche Virtù
Capo II Della sua promozione al Vescovado
Capo III. Del suo ritiro nel Monte Argèo
Capo IV Della sua dimora nell’Argèo
Capo V Della sua Cattura, e presentazione ad Agricolao
Capo VI Della sua dimora, e miracoli nella prigione
Capo VII Della sua Flaggellazione
Capo VIII Del tormento dell’Equleo
Capo IX Del martirio di Sette Donne
Capo X De’prodigi nel lago di Sebaste
Capo XI Dell’ultima Sentenza
Capo XII Della morte del Santo
INDICE de’ Capi
LIBRO II
Capo I. Dell’origine di Maratea
Capo II Della descrizione di Maratea
Capo III. Del Teatro di Maratea
Capo IV. De’ Costumi de’ Marateoti
Capo V Di Maratea Sagra
Capo VI. Delle diverse opinioni, intorno alla venuta del Santo
Capo VII. Di quando potette venire S. Biase in Maratea
Capo VIII Del quando venne S. Biase in Maratea
Capo IX Della Cappella di S. Biase
Capo X Del miracolo della Manna
Capo XI Del patrocinio del Santo
Capo XII De’suoi benefici a prò de’ suoi Vassalli, e Divoti
Capo XIII Del Culto, che se gli presta in Maratea
Capo XIV Della Confraternita di S. Biase
Capo XV De’ privilegi della Chiesa di S. Biase
DI S. BIASE V.M. PADRON DI MARATEA
LIBRO I
Nel quale si tratta della vita, virtù, miracoli, martirio,
e morte del Santo
Capo I
Delle sue eroiche Virtù
A potersi conoscere di Biase il merito, sin da che era giovinetto, per ravvisarlo sempre un gran Santo, ed a procedersi con ordine, fà di mestieri darsi un’occhiata a Sebaste sua Patria; giacché per quanto più si hà contezza della corruzione di tale Città, tanto più risplenderà la Virtù del suo Cittadino.
Anche lo Spirito Santo, tenne lo stesso metodo; imperciocché a far risaltare la stima del Santo Giobbe, pose in chiara veduta lo stato pessimo della Terra di Us, nella quale il prototipo della pazienza aveva sortito i natali, e la sua residenza faceva.
Sebaste nel tempo, di cui favellare intendiamo, era una Città cospicua dell’Asia, ch' e la parte più vasta del Mondo, e Metropoli tra i confini dell’Armenia minore, e della Cappadocia, per il che da vetusti Geografi, ora nel distretto dell’una, ed ora dell’altra viene annoverata. Vi faceva la sua residenza il Preside Romano; ed in seguito vi fù stabilita la Sede Vescovile, la quale venne illustrata da diversi Prelati, sì pél di loro attaccamento alla Fede Ortodossa: sì pél di loro Zelo insigne, e Santità; sì anche pél martirio, che vi soffrivano, per la Gloria del Santissimo nome di Giesù.
In tale rinomata Città, abitata però più dai Gentili, che dai Cristiani, de’ quali allora in essa, era ristretto il numero; da Nobili Genitori, nacque il nostro Biase. Non s' intende qui, del tempo preciso di sua nascita parlare: non de' primi anni di sua adolescenza: e nemmeno delle virtù in tale età esercitate, per non esserne arrivata sin al presente giorno la contezza, per cui anche il nome de’ Genitori s' ignora.
Si richiama non per tanto alla memoria, già divenuto adulto: si reputa senza dubio educato coerentemente alla nobiltà del suo lignaggio, stante applicato alla medicina, quale si professava dai più illustri personaggi; e si ammira pe’ suoi talenti, per la soavità de’ costumi, e per le affabili sue maniere nel procedere, la più luminosa comparsa fare nella Padria, e risplendere solo fra i suoi Concittadini: a guisa di un lume acceso, e sfavillante nelle dense tenebre della notte. Sin da che era nel verde de’ suoi anni, era un gran Santo, e la Santità derivò in lui, come al legislatore Mosè, appunto dalla sua somma mansuetudine.
E come nò? quando la stessa, essendo la Regina delle virtù; certamente Uomo nel Mondo non vi è, che vantare si potesse saperne adequatamente i pregi spiegare? Insegna Aristotele, qual’essere il Rè nel suo Regno, tale essere la mansuetudine nell’animo dell’Uomo, perché siccome spetta al Rè reprimere i ribaldi, per conservare la tranquillità né suoi Sudditi; così è proprio della mansuetudine mantenere in freno tutt’i moti dell’irascibile, e del concupiscibile, per rendere l’Uomo temperato.
Più chiaramente S. Giovanni Crisostomo fà sapere, consistere ella in quella costanza, e fermezza di Spirito, che anche nella provocazione, non solamente si astiene dal male, ma eziandio di farne, non ne concepisce il minimo pensiero. Platone rettamente considerandola, arrivò a dire, non doversi l’Uomo, senza di essa, Uomo chiamare; del pari, che qualunque edificio, per quanto si volesse consegrato, non potersi senza l’Altare nominar Tempio.
Ne fecero tanto conto gli Ateniesi, che non stimavano ricevere ingiuria tanto atroce, quanto quella nel sentirsi cioè, qualcheduno di essi rinfacciare, di non essere entrato nel Tempio della misericordia, nel che spiegare intendevano la deficienza della mansuetudine.
Tutti adunque gli Uomini di cognizione, ed in grado sublime costituiti, conoscendone i pregi, il merito, la lode; per compiere i loro fasti, vollero né rincontri, dare attestati di professarla. Filippo Re di Macedonia, bramando far conoscere, d' esserne ornato, si rese liberale con Nicanore , che malamente di lui parlato aveva.
(n.d.r.)
Anche in questo lavoro, l' Autore dichiara che : " Non s' intende qui, del tempo preciso di sua nascita parlare: non de' primi anni di sua adolescenza: e nemmeno delle virtù in tale età esercitate, per non esserne arrivata sin al presente giorno la contezza, per cui anche il nome de’ Genitori s' ignora. "
Pertanto risulta ignota la data di nascita di San Biagio e addirittura non si conoscono i nomi dei genitori del Santo.
Si segnala che nel testo, come del resto
Capo IX
Del martirio di Sette Donne
Non vi e dubio, che muovono piu gli esempj delle parole, e tanto specialmente ne’ Prelati. Egli è vero, che il di loro proprio Officio consiste nella predicazione della Divina Parola quale si deve ricevere sempre dal Popolo con venerazione, per essere sempre Santa, e sempre Immacolata, ad onta che uscisse dalla bocca di qualche Ecclesiastico, in tutto simile pe’ suoi perversi costumi all’Empio Caifasso.
E vero che il popolo deve rispettare la persona del suo Prelato, sebbene indegno sia, ed osservare quanto l’insegna coerentemente alla Santa, e sana Cattolica Dottrina: sì perché nella persona si rispetta il Sagro Divin Carattere Sacerdotale: sì anche perché Giesù Cristo comandò di mettersi in esecuzione, ed adempiersi, quanto veniva predicato dai Scribi, e Farisei, assisi sulla Mosaica Cattedra, senza però imitarsene la loro prava condotta; ma è vero verissimo ancora, che solo quando predica il Prelato più coll’esempio ( * ) che colle parole, dalle sue prediche, ricava frutto abbondantissimo.
Salvo adunque il rispetto, che si deve ai Sagri Ministri del Santo Altare, tanto se siano ottimi, quanto se siano pessimi: e limitandosi qui tutto il discorso, al solo abbondante frutto, che si ricava da Essi, quando predicano più coll’esempio che colle parole, si sostiene purtroppo, quello che dice lo Spirito Santo per bocca del Profeta Geremia, anche per l’esperienza verificarsi, di essere cioè il Popolo, dello stesso calibro del Sacerdote; dalle quali parole
( * ) Lo scrittore si raccomanda, alle orazioni del divoto Lettore, e lo prega umilmente ad implorargli da Dio, il perdono de’ peccati, stante con dolore si ricorda, di avere predicato per tanti anni, ed in diversi luoghi, e chi sà se senza frutto, perche senza buon’esempio? Gli reciterà dopo la sua morte un Pater, Ave, Requiem.
argomentadosi con verità; sebbene con rossore e dolore, dir si deve che predicandosi di continuo in tutte le Città dell’Orbe Cattolico: è ritrovandosi in esse, in numero esorbitante de scellerati, siegue per legitima conseguenza, derivare tal difetto, parte dall indolenza degli Ascoltanti: e parte dal predicarsi dai Sagri Ministri senza frutto, perché senza buono esempio; e solo con abbondanza di parole, le quali tendono a fare spaccio di una vana eloquenza; e non ad imprimere nelle menti, e ne Cuori Giesù Cristo crocifisso, secondo la frase dell’Apostolo.
Ed oh volesse il Cielo, e si predicasse, con minor facondia, e con maggior fervore, ed esemplarità! Certamente, che in tal caso, il Mondo si vedrebbe pieno di Santi; non essendovi chi vantare si potesse sapere spiegare, e come si deve i vantaggi grandi, che dal buon esempio derivano.
Si resterà persuaso di tale verità, se si richiamerà alla memoria, quello che avvenne al Sommo Sacerdote dell’Antico Testamento Eleazaro il quale per tal causa, cioè per dare buono esempio, e non simulare nemmeno l’inosservanza della Divina Legge, relativamente alla carne porcina, si contentò di andare alla morte, ed il risultato fu, che per sostenere il decoro de’ Divini Precetti, i sette Fratelli conosciuti sotto il nome di Maccabei, insieme colla Madre, andarono a finire la vita spietatamente, come se fossero andati ad un lauto banchetto, e conseguirono la gloriosa celeste Corona del Martirio.
Ma se nel decorso del Vecchio Testamento, il frutto del buon esempio si sperimentò più di una volta: nel piantarsi poi la Religione Cristiana, fù tanto sovente, che passò in costume: e perché il Martirio si soffrì da millioni, e millioni di Cristiani, per cui si vide il Sangue scorrere a lava: perciò si disse, e con ragione, d’essere tal Sangue di Martiri, semenza feconda di novelli credenti: quindi se il Diavolo, fomentò la crudeltà de’ Tiranni; tra quali l’ultimo luogo non occupò il Preside di Sebaste; ed accese la tirannia ne’ loro petti, per svellere sin dalla radice, e per soffogare sin dalla Culla il Cristianesimo: essa tirannia e crudeltà tutta fù impegnata a suo danno, e conobbe purtroppo d’essere rimasto abbattuto, da tanti illustri Campioni, uno de’ quali in sublime posto collocato, fù il magnanimo Biase, il quale colla sua costanza, seppe resistere al Tiranno, soffrire i tormenti, spargere il Sangue, consegrare la vita: e contestando vieppiù la Divinità di Giesù Cristo; sempreppiù venne la sua unica, vera, Cattolica Religione ad aumentare.
Per qualunque parte si voglia considerare l’economia di Dio, si è detto altrove, e si ripete qui d’essere sempre maravigliosa. Manda Egli il suo Divin Figlio nel Mondo, e lo stesso non viene dal Mondo, né riconosciuto, né ricevuto; anzi perseguitato, e fatto morire sù di un duro tronco di Croce. Spedisce il Divin Figlio, fatto Uomo, i suoi Apostoli, per predicare la dottrina del suo Eterno Genitore, e miglior fortuna del Maestro non incontrano. Vengono in seguito, ed immediatamente appresso i discepoli degli Apostoli; e perché riputati ignoranti, e deboli: subito i Savj, i Potenti, i Prìncipi della terra, si posero in armi per abbatterli. Si diede immantinenti il Segno al conflitto, e si schierarono gli Eserciti nel Campo di Marte.
Dall’una si vedevano i Savj, e li Potenti del Mondo: dall’altra i riputati deboli, ed ignoranti: ed in tale ineguaglianza di forze, già il Senato Romano, decretato aveva gli allori, le palme, il trionfo ai primi: la schiavitù, le Catene, la tomba ai secondi. L’evento però diverso fù da quello che si sperava, imperciocché in quella stessa guisa, che il Garzoncello Davidde trionfò del Gigante Golia; e la Casta amazone Giuditta, il Capo ad Oloferne tagliò; così vinta si vide dall’ignoranza, la sapienza: e dalla debolezza, la potenza: anzi, ed è quello che più importa de’ due Imperatori, 1 uno cioè Costantino il Grande, il quale dominava nell Occidente, stimò sua gloria di portare sul suo Diadema di Cristo la Croce: e dell altro, vale a dire Licinio, che dominava in Oriente ( * ), e di tutta la sua terribile forza, belliche machine, e formidabili Eserciti; si fecero burla; e chi mai creduto l’avrebbe? anche un scarso numero in Sebaste, di debolissime Femine.
( * ) Licinio Collega, e cognato di Costantino il Grande, anche a di lui dispetto, perché si era fatto Cristiano, e de Cristiani si era dichiarato protettore, con aver data la pace alla Chiesa, fece continuare la persecuzione in Oriente, dove dominava. Fece più volte delle insidie, e mosse più volte la Guerra al lodato Costantino, il quale sempre generosamente lo perdonò, e gli accordò la sua amicizia.
Finalmente nell' anno trecento venticinque di nostra Reparata Salute, vedendolo sempre ostinato, avendolo superato in terra, ed m mare; e stimando essere del suo dovere far cessare nell’Oriente la persecuzione, che perdurava sin da' giorni di Diocleziano, lo fece morire in Tessalonica, e colla sua morte la persecuzione cessò.
Di fatto tra la moltitudine della turba spettatrice del martirio sofferto nell’Equleo, dall’inarrivabile Eroe Biase, composta di Fedeli, e di Gentili, si ritrovarono Sette Donne di numero sue Figlie Spirituali, le quali ne avevano sempre nudrita nel cuore, una Spirituale affezione. Le medesime desiderato avrebbero di avvicinarsi a lui, e ristorarlo da’ patimenti; ma chi ne le dava il permesso? Non contente di averlo ajutato colle preghiere fervorosamente umiliate a Dio, aspettarono che venisse restituito nel Carcere, e l’andarono dappresso, per ivi servirlo nella migliore maniera, che riuscire l’avesse potuto. Per istrada, premurose di non far perdere il di lui prezioso Sangue, che grondava dalle ferite, l’andarono raccogliendo con de’ panni lini; e più volte se ne segnarono, con sentimenti di religiosa pietà, e particolar divozione.
Se ne avvidero i Manigoldi, e per essere di gente perduta, dopo di avere consegnato al Custode del Carcere, il martirizzato Pontefice, si rivolsero contro di esse, e caricatele di Catene, le condussero d’avanti al Preside, a cui riferirono quant’era avvenuto, dal che dissero, avere argomentato, di essere elleno Cristiane. Ancora stava nel bollore del suo sdegno Agricolao, che perciò avendo a noja, trattenersi in discorso con Femminucce, ordinò che condotte le avessero vicino al freddissimo lago di Sebaste, e con esse portata avessero ancora una Statuetta di qualche Idolo, e dell’incenso, con legge, che se allo stesso prestato lo avessero, le avessero liberate: in contrario precipitandole nel lago, si fossero adoperati, di farle in esso restare sommerse, ed estinte.
Arrivate nel prescritto luogo, imposero i Manigoldi alle Donne, l’esecuzione del di sopra spiegato ordine: ma le rispettabilissime Eroine, domandarono di vedere l’idolo, allegando voler conoscere, se fossero state fuori pericolo di rendere il Culto, a qualche Divinità mentita. Ne le fù subito presentata, e data nelle mani la Statuetta: ed esse riputandola per qual’era simolacro di bugiardo nume, e che niuna stima meritava, con disprezzo la buttarono in quelle acque, nelle quali, erano state condannate, a rimaner sommerse; e vedendola andare a galla, e tommolando qual trottolo, or qua, or la; e fare de’ moti irregolari motivo presero di ridersene, e fortemente.
Come fossero rimasti sbigottiti, e sbalorditi insieme que’ Satel liti dell Umana barbarie nel vedere malmenato, il da loro creduto Idolo per Dio, non si puole bastantemente spiegare. Non seppero al momento, a quale partito appigliarsi. Stimarono però, che il darle subito la morte, non era pena competente, al commesso riputato Sagrilego attentato. Le straziarono per quanto più potettero: indi le ligarono a pesantissime travi, e le precipitarono nel lago: ma la Divina Provvidenza, per maggior confusione de’ Tiranni, riservan dole a più sublime trionfo, dopo di averle fatte passare sopra di quelle acque miracolosamente, le fece ritornare salve, ed illese nella sponda: per il che quegli Empi le ligarono di nuovo, e le riportarono ad Agricolao, a cui di tutto l’accaduto fecero inteso.
Avrebbe dovuto il racconto fargli aprire gli occhi, e fargli conoscere la vanità degl’idoli: ma lo stesso fù doppiamente cieco, perché doppiamente infedele. Montò in collera, s’infuriò, si rese simile ad una bestia infernale; e perciò ordinò che le Sette Donne venissero tormentate nell’Equleo; e lacerate per tutto il corpo con uncini, pettini, lamine, e sedie di ferro, roventate al fuoco.
Niuno puoi comprendere, e niuno spiegar sa, quanto spasimo sentirono quelle benedette Donne; ma le medesime ad imitazione del loro Santo Padre, e Pastore, non si udirono lamentare, né versare neppure una lagrima. Dilacerate tanto più crudelmente, quanto più istigati venivano dal barbaro Tiranno i Manigoldi, non le restò nelle vene più una stilla di Sangue, che convertito in latte a terra non venisse versato: cosa che fece stupire gli Astanti, ed anche i Manigoldi stessi; ma Agricolao mostro spaventevole, ed inumano, non sentì ribrezzo; che anzi duro, protervo, ostinato: progredendo sempreppiù nella crudeltà, e nella fierezza, indossare le fece una Corazza per cadauna di ferro, e sedere sopra sedie parimenti di ferro, il tutto però reso rovente dal fuoco.
In tale stato ridotte, ecco che mentre si brugiavano le carni si dilatò il fumo, e col fumo un fetore per le narici degl Infedeli. Il fumo però ascendendo in alto in compagnia delle Orazioni, e delle Sante Donne, e del gran Biase, che pregava per esse dal Carcere, si convertì in un odore soavissimo di purgato incenso al cospetto del Signore, il quale perché sempre ammirabile è nelle sue operazioni, spedì un Angelo dal Cielo, acciò le sanasse, le confortasse, le consolasse, facendole vedere eziandio quella corona di Eterna Gloria, che in breve erano per conseguire. Videro le Sante Donne E Angelo, ma non lo videro i Gentili, perché non lo meritavano: quindi nel mentre che tutti credevano essere per esalare tra pochi momenti l’ultimo Spirito di loro vita; mirandole poi, e tutt’ad un tratto sane, ed illese, ne restarono fortemente attoniti.
Ed attonito ne restò sopra modo anche Agricolao, il quale non arrivando a conoscere, d’onde mai sì istantaneamente derivata fosse alle Donne la sanità, e la robustezza, cadde in una grande costernazione di animo. Si mordeva le labra, e si svelleva dalla testa i capelli, nel riconoscerle vegete, e floride: e tanto più si disperava, quanto più si faceva a considerare, che anche le Donne, si burlavano di lui, del suo Imperatore Licinio, e de’ suoi Dei. Deliberò farle buttare in un’ardente fornace, e ne accellerò l’esecuzione della Sentenza, per dare ad intendere al popolo spettatore, che l’immediata guariggione, era derivata dalla di loro arte magica.
Ma oh, e fin dove s’infangò Agricolao ! oh quanto si diede a conoscere forsennato! Eh come? Non sapeva, che quando Dio vuole, opera de’ prodigi, sopra tutti gli elementi? Siccome ridusse le acque del lago di Sebaste, qual duro marmo, allorché vi furono buttate le Sante Donne: e siccome le stesse sanò immediatamente, dalle contusioni, contrizioni, e piaghe cagionate dall’ Equleo, e dalle scottature del fuoco; così era per convertire l’accesa fornace, in un amenissimo giardino di fresche rose, ed in un prato di ameni fiori: ed in essa le Martiri di Giesù Cristo, sarebbero state in una somma contentezza, tutte occupate in cantare le Divine Lodi.
Essendosi verificato, ed appuntino, quanto testé si è enunciato, se ne sparse subito la voce, per l’intiera Città di Sebaste, e gli abitanti tutti della stessa, vi accorsero, e vi accorse anche Agricolao, il quale vedendo che i Sebasteni, erano sulle mosse di maledire i Dei, ed abbracciare il Cristianesimo, con un falso, ma ben studiato discorso gli avvertì a non farsi maraviglia de’ prodigi veduti nelle persone di quelle sventurate Donne, stante i medesimi prodigi non erano, bensì prestigi: e che a dissingannarli, le condannava ad essere decapitate, per fargli conoscere dalla lor morte, quanto sapeva Egli per esperienza con molti Cristiani, i quali dopo aver fatto uso di tant’incantesimi; alla fine eranorimasti freddi estinti cadaveri: e per fargli pure toccare con mani, quanto erano i Dei dell Impero Onnipotenti, e Santi: e quanto meritare tutt i Cristiani, col Crocifisso loro Nazareno tutto l’obbrobrio, e tutte le maledizioni.
Frattanto, che tutto gonfio di se stesso, in tale guisa, non parlando, ma bestemmiando stava seducendo Agricolao il popolo; laddove in seguito della sua pronunciata sentenza di morte, credevasi sgomentare le Sante Donne: una di esse con virile coraggio, e con molta sua vergogna, in nome di tutte parlando, lo chiamò mensogniero: gli rinfacciò la sua crudeltà, ed ostinazione: gli dimostrò la vanità degl’idoli, e la sua perfidia, nel procurare l’eterna dannazione a quella Gente: gli fece conoscere chiaramente l’Onnipotenza di Giesù Cristo, perché per virtù del suo Santissimo nome, erano rimaste Esse sane, salve, ed immuni, dalle acque del ago di Sebaste: dall’Equleo, pettini uncini, lamine, e sedie di erro roventate al fuoco; come anche dall’accesa fornace, le di cui race, erano restate convertite in amenissimi fiori.
Lo ringraziarono della sentenza di morte, contro di esse pronunciata, e l’assicurarono che intanto verificata si sarebbe, in quantocché Giesù Cristo stesso, non voleva più procrastinarle quell’eterna corona di Gloria, che dimostrata l’aveva, per mezzo di quell’Angelo, che sanate le aveva.
L’attestarono finalmente, che non lo riconoscevano per loro nemico; stante in virtù della Cristiana Cattolica Legge, che è legge di amore, lo amavano con affetto casto, e sincero: e pregavano Giesù Cristo, ad accordargli la sua Grazia, in virtù della quale, deponendo la crudeltà, e la perfidia, avesse potuto pentirsi di vero cuore, battezzarsi, credere in Giesù Cristo, e salvarsi.
Da tale discorso, che tutto suggerito lo aveva lo Spirito Santo, secondo le promesse del Divin Redentore, invece di restarne convertito Agricolao, se ne dimostrò per contrario esasperato al sommo: quindi ordinò che immantinenti si fossero le Sante Donne condotte nel luogo del supplicio, e si fosse la sua sentenza eseguita. Si rallegrarono assai in ciò sentire le ammirabili Eroine, e ne ringraziarono Dio di avere i loro voti esauditi, di andarlo presto a godere in Paradiso.
Per istrada due Ragazzi, Figli di una di esse, ad alta voce si lamentavano, che perdendo la Madre, non avevano chi istruiti gli avesse nell’amore di Giesù Cristo. La Madre sentir gli fece, che fossero andati nel Carcere a ritrovare Biase, che gli sarebbe stato Padre, e Pastore. Dopo una breve orazione, fervo rosa, arrivate al luogo del supplicio furono decapitate. I Ragazzi videro morire la Madre, senza versare neppure una lagrima, ma piuttosto la invidiarono, persuasi che la di lei Anima, era andata a godere l’eterna Beatitudine. Inesplicabile fù la Santa educazione, che ricevettero. I carnefici nel ritorno, gli presentarono ad Agricolao, il quale rinchiudere gli fece nella prigione, e per Divina Disposizione, il Custode gli collocò nella medesima stanza dell’illustre Eroe, che gli consolò assai, e conoscere gli fece, che la Madre, colle Socie, già godevano con Giesù Cristo in Cielo.
Seguì la di loro preziosa morte nel dì due Febraro dell’anno di nostra Reparata Salute trecento sedici, giorno in cui dalla Santa Chiesa venne di poi stabilita la Festa della Purificazione della Santissima sempre Vergine Gran Madre di Dio Maria: e giorno faustissimo per le di sopra lodate Donne, poiché le di loro Anime purificate nel proprio Sangue, furono vedute dai Cristiani, con lucidissime corone, volarsene al Paradiso, li quali essendo venuta la notte, deposto il timore per tale vista, andarono a sepellire con sentimenti di pietà i loro Santi Corpi.
Sarebbe veramente questo il proprio luogo opportuno, di aprirsi alla mente un vasto campo di considerazioni: e sopra la crudeltà di Agricolao cioè, nell’essersi infierito tanto, contro Sette di numero delicate Donzelle, e due Fanciulli: e sopra di esse, che dimostrando un coraggio non solo virile, ma anche marziale, seppero fargli vigorosa resistenza, e soffrire con costanza il marti rio: sopra i mentovati Fanciulli, che si dolevano della perdita non di una madre, ben vero di una Maestra di amore, verso Giesù Cristo: e sopra l’educazione di questa Santa Madre che aveva istruiti i Figli, a cercare i soli Beni eterni; ma perché l’istituto del presente Discorso Istorico, tanto non permette; perciò le divisate, ed altre riflessioni all’uopo, si lasciano alla Saviezza del divoto Lettore, e si ritorna al punto d’onde si è fatta partenza.
SI RIPORTA DI SEGUITO PER COMODITA' DI RISCONTRO
UN FRAMMENTO DELL' ORIGINALE DEL TESTO CHE POTRETE TROVARE NEL CAPITOLO ACTA SANCTORUM IN VERSIONE INTEGRALE
Capo X
De' prodigi nel lago di Sebaste
Dal momento in cui arrivò nel Carcere il nostro inclito Eroe, dopo il tormento dell’Equleo, sino alla decollazione delle Sette Donne, delle quali nel capo precedente si è fatta onorata menzione; tutta la sua occupazione, non fù in ristorar se stesso, ben vero in ajutare le medesime colle sue orazioni, acciò conseguita avessero la palma, e la corona del martirio; ed allora desistette, quando venne assicurato, che di già le loro Anime Sante, erano arrivate nella celeste Gerusalemme; del che ne rendette i più fervorosi ringraziamenti a Giesù Cristo.
Mentre poi nel Carcere inebriato di Santa letizia, e godendo una somma felicità, e tranquillità di Spirito si tratteneva in vieppiù rassodare nella virtù, e nella Fede, i due testé enunciati Fanciulli; Agricolao nel suo Palazzo, non poteva in conto alcuno ritrovar pace, e sentivasi nel petto palpitare il suo perfido cuore. Come ritrovarla, quando essendo un empio, secondo gli attestati dello Spirito Santo, per bocca del Profeta Osèa, ne doveva sempre essere privo?
Dal vedersi schernito, anche da debolissime Donzelle, e da teneri Fanciulli, i quali ad onta della sua barbarie, e crudeltà; con intrepidezza, e costanza predicavano la Divinità di Giesù Cristo; si pose non poco in apprensione, e col suo raziocinio andò a conchiudere, che laddove restasse, o vinto, o estinto il Pastore, infallibilmente il Gregge, o gli sarebbe andato appresso, o sarebbe rimasto depresso.
Conosceva molto bene però, che se superato l' avesse, doppio vantaggio sarebbe venuto a conseguire presso l' Imperatore Licinio, e Grandi di sua Corte, li quali di doppia gloria, lo avrebbero riputato degno; e per avere accresciuto il Culto, secondo il loro piacere de’ Dei, stimati Onnipotenti e Santi: e per avere risparmiato il Sangue de’ sudditi, de’ quali si faceva gran conto per la Guerra, che Licinio intendeva fare, come fece per altro a suo danno, col suo Cognato, e Collega Costantino il Grande, anche in odio della Cristiana Religione, che abbracciata aveva; e che stava proteggendo, e propagando per tutto l’Occidente.
Perché gli Uomini quanto hanno piacere di volere, tanto stimano dovergli facilmente avvenire, non calcolando affatto se siano, o nò sostenuti sopra forte base i loro disegni. Perché Agricolao tutto quello, che dal suo delirante cervello venivagli suggerito, teneva per certo, e come suol dirsi in pugno. E perché aveva il Santo in Carcere a sua disposizione; perciò determinò non più procrastinare un tale affare, che stimava di tanta importanza, e procurò portarlo a fine con tutta la prestezza.
Quindi non ostante, che ancora fumasse nel luogo del supplicio, il caldo Sangue delle decapitate Donzelle; ed a lui per la rabbia cessato non avesse di palpitargli il cuore nel petto; non di meno ordinò, che di bel nuovo gli venisse presentato il Mitrato Taumaturgo, a cui con tuono or placido, or minaccevole sentir fece, che sarebbe stato ormai tempo di rendersi accorto, e non abusarsi della pazienza di chi in Sebaste faceva le veci dell' Imperatore Licinio.
Che già molto bene conosceva non burlarsi coll' Imperiale Potenza, e non giovare ai Cristiani, l’uso della Magia, e degl’incantesimi, poiché in faccia alle Scuri tutto andava a dileguarsi, e svanire; ed andava a terminare ogni arte diabolica, colla morte di chi la professava. Che Egli usato l’aveva del molto riguardo, e non lo aveva fatto morire, come quelle Sette di numero vilissime Donne, quali sedotte aveva. Che finalmente non voleva parlare più del passato, ed oltre del perdono che intendeva accordargli, suo desiderio era di procurare la di lui fortuna, i suoi vantaggi, la sua amicizia, il favore de Magistrati, e la Grazia dell' Imperatore: a condizione soltanto di dover bestemmiare Cristo, ed adorare il Sommo Onnipotente Giove, e gli altri Dei tutti.
A tal doppio, simulato parlare, con tranquillità di Spirito, e placidezza di parole rispose il Santo, invano sperarsi da lui quanto si domandava, per non essere né Giove, né le altre mentite Divinità veri Dei, né potersi mai indurre a prestargli l' incenso, e bestemmiare Giesù Cristo, vero Dio, e vero Uomo, a cui tutto il Mondo, e signantemente Licinio, erano debitori del beneficio della redenzione. Quindi Egli confidando nella Divina Grazia, siccome era costante nel rifiutare qualunque onore, e costante era stato nel predicare la sua Divinità in mezzo ai tormenti i più spietati, che gli aveva fatti soffrire, pe quali lungi dall’essere perdonato, ne accordava, e di vero cuore il perdono: così per la stessa causa, era risoluto di disprezzare la morte, non una volta sola, ma mille, se mille volte morire avesse potuto.
Avrebbe più voluto dire in questa congiuntura l’inclito Biase; ma l' iniquo Preside, arrestandole la parola in bocca: tutto sdegno, e furore non sapendo cosa meglio risolvere, ordinò che immantinenti si fosse buttato nel lago, con grave peso al collo, per restarvi sommerso.
Qual stravaganza! Il nostro buon Padre Dio, Padrone dell’Universo, che aveva comandato alle acque, che rispettate avessero le mentovate Benedette Donne, figlie spirituali del Santo; non poteva forse comandare lo stesso, anche per lui, di quelle Padre, e Pastore?
E se Egli, come Empio, credeva che le Sante Donne, n’erano uscite per forza di magia: essendo stato Biase delle prelodate eroine il Maestro; non doveva forse supporlo, nella magia più provetto? Quando lo condannò all’Equleo, si astenne di condannarlo alle Bestie, pél motivo, che stimandolo Stregone, era sicuro non doverne restare offeso, per virtù d’incantesimi; ed ora tutte le riflessioni tralascia, e quasi non ragionando più da Uomo, al lago per restarvi sommerso lo destina? D’onde si domanderà tanta precipitanza, e tanta stravaganza insieme, nel presente Giudizio?.
A rettamente considerarsi l’affare, che si stà trattando, per due ragioni avvenne, che Agricolao, operò in maniera, come se perduto avesse il raziocinio. La prima si deve ripetere da Agricolao stesso. Egli il sordo sempre facendo alle tante voci di Dio, ricevute per mezzo di Biase: delle Sette Sante Donne martirizzate: de’ due Ragazzi, figli di una di esse; ed anche del proprio cuore, che non ritrovava mai pace, meritò per volontaria colpa, d essere lasciato nel reprobo senso.
Caduto dal primiero onore, in cui era stato creato, ed in cui non si seppe mantenere; e rifiutato sempre avendo, i mezzi che gli erano stati offerti, eziandio per via de’ tanti prodigj operati, dal magnanimo Biase, e dalle Sante Donne* perché tanto comprendere non volle mai, devenne nello stato di poter essere paragonato benissimo agli animali bruti; giacché niuna differenza discernevasi più, tra lui, ed un vii giumento. Come tale, qual maraviglia fia, che ragionando non già; ma da bestia procedendo, si vedesse tirar de’ calci, a simiglianza di un Asino, e cozzar di corno, da indomito Bue.
L’altra ragione, si deve ripetere da Dio, il quale al suo solito, dopo di avere tutt’i mezzi usati, per la conversione del peccatore: e dopo avere sperimentata più volte la sua ostinazione, finalmente in compenso del suo peccato, nel peccato lo abbandona; ed in tanto non lo toglie dal Mondo, in quantocché ricavando sempre dal male il bene; permette, che lo stesso colla sua malizia, fosse di molestia al giusto; acciò costui, per la pazienza ch’esercita in sopportarlo, si rendesse vieppiù arricchito di meriti; e riportasse nell’eternità maggiori gradi di Gloria; ed operasse de’ prodigj in contestazione della verità, e della Santità della Cristiana Cattolica Religione.
Premessa tale dottrina, che è indubitata, ecco come chiaramente si conosce, aver militata l’Ostinazione di Agricolao, e la sua protervia, a rendere più illustre, e più sublime, e nella Santità, e nella Gloria Biase. Nella Gloria, perché predicò, e colla voce, e coll’esempio, e coi stupendi prodigj di Giesù Cristo la Divinità; come in parte si è veduto, ed in appresso si vedrà. Nella Santità, perché divenne col martirio tanto potente, avanti il cospetto di Dio, che sebbene da più Secoli, sia partito dal Mondo, non di meno in tutto il Mondo Cattolico, e signantemente in Maratea, si sperimentano alla giornata i tratti benefici del suo efficacissimo Patrocinio.
Ed a rimettersi in linea il discorso, si soggiugne, che arrivati i Satelliti col Santo, carrico però di Catene, alle sponde del lago di Sebaste, subito l’adattarono una pesante mole nel collo, e lo precipitarono in quello. Ed ecco immantinenti, rinnovato il prodigio avvenuto al Principe degli Apostoli, che caminando a piedi asciutti, per sopra le acque del mare, si portò dove trattenevasi il suo caro Divin Maestro.
Ma, e che si sta qui a dire? Maggiore certamente, questo prodigio fu di quello, imperciocché laddove Pietro camminando libero: essendo marinaro, e sentendosi muovere le onde sotto le piante, non ostante che nuotare avesse potuto; pure di sommergersi temendo, ajuto domandò al suo Maestro: Biase con grave peso al collo, stette intrepido, e segnando il lago col Santo segno della Croce, lo rendette sodo come il marmo: si ritrovò liberato dal peso, ed in mezzo del lago assiso, nella medesima guisa, che nella sua Cattedra Episcopale: continuò a predicare Giesù Cristo, e di Giesù Cristo la Divinità e la Gloria.
Vedendo de’ Gentili la Turba, alla sponda rimasta, come in Trono assiso, in mezzo delle acque il degnissimo Sebasteno Prelato, incominciò con orribili urli, a carricarlo di villanie, ai quali colla sua solita mansuetudine, Egli rispose non occorrere l’adirarsi, stante erano anch’essi in grado di potere lo stesso operare, purché creduto avessero in Giesù Cristo, e l’avessero con viva Fede invocato: dovendo essere persuasi, non avere Uomo alcuno la potestà di consolidare le acque, o operare altri portenti, per propria virtù; bensì, e solo in nome del Divin Redentore, per essere lo stesso vero Dio, e vero Uomo. In ciò sentire, ottanta di numero di quei Soldati, maggiormente si diedero nelle furie: incominciarono a bestemmiare Giesù Cristo: si fecero coraggio: si risolvettero di andarlo a trucidare in mezzo del lago; ed invocando Giove, chiamandolo Santo,
Onnipotente, Tonante, si tuffarono in quelle acque: ma che? immantinenti quali grosse pietre pesantissime, se ne calarono al fondo, né mai più comparvero, egualmente che non comparvero gli Egizj col loro Faraone nell’Eritrèo, quando perseguitar vollero il Popolo di Dio; onde è, che siccome dimostrò il Signore allora la sua potenza conceduta a Mosé, così nella presente congiuntura, volle dare chiara testimonianza del Sommo suo potere accordato a Biase.
Importa non poco adesso, per confondere, chi volesse farla da Dottore essendo quasi analfabeta, chiamarsi all esame, se i Soldati esecutori degli ordini di Agricolao, meritato avessero il riportato castigo. Il castigo lo diede Dio: dunque volendolo 1 Uomo scrutinare, altro non fà se non dimostrare la sua inesplicabile, presuntuosa temerità. Ad ogni modo, a sodisfare la curiosità si dice, non potersi dubitare, che lo meritarono, stante essendo Uomini forniti di ragione, dovevano conoscere, come facilmente potevano, non ammettersi pluralità di Dei, né attributi la Divinità dissonorantino.
Questa cognizione, oltre del lume naturale, venivale insegnata anche dal lume gratuito della Grazia, per mezzo di Biase; e più dal lume sopranaturale, che si chiama Intelletto, ed è Dono dello Spirito Santo, mediante l’esempio della costanza nel patire, ed anche mediante i prodigi, quali operava, per la Gloria, ed in nome di Giesù Cristo vero Dio, e vero Uomo: ma si supponga per poco, che niente di tanto avessero mai inteso: dubitare nemmeno si puole, di avere peccato, nell’avere dimostrato tanto accanimento nel tormentare un Uomo, ch’era tenuto in Sebaste, per le sue Virtù, e per la tanta stima, e venerazione in concetto di un Nume; imperciocché se il Carnefice, non deve eseguire la Sentenza del Giudice, quando è manifestamente ingiusta, per non rendersi reo di Omicidio: se in forza delle leggi di allora, era innocente, perché oltre all’inobedienza per l’idolatria, quale il Legislatore non aveva Autorità d’imporre; era in tutto il resto di vita illibatissima, ed irreprensibile: se non aveva arrecato mai del male; ma per contrario aveva beneficato chiunque: e se Agricolao l’aveva con manifesta ingiustizia condannato, ed essi non dovevano ubbidirlo: essendosi oltre dell’ubbidienza non dovuta nel caso, tanto inferociti contro un innocente, ed un benefattore; siegue eh enormissimamente peccarono, e meritamente il castigo ricevettero.
Si dirà, ch’essi operarono così, stimando di prestare un ossequio a Dio, mentre educati nelle Superstizioni del paganesimo, odiavano la Religione Cristiana ed i suoi professori, credendo che si fossero opposti alla religione da essi riputata Santa, e vera. Meri tare quindi scusa, atteso la loro ignoranza; e perché nihil volitum, quin praecognitum, perciò siegue, che ogni loro azione, nonostante che di crudeltà, e barbarie: non fù voluta da essi come peccaminosa: e tale non essendo, non se le puole, come non se le deve imputare a colpa. Si conferma tutto questo coll’esempio di Giesù Cristo, il quale innanzi al Tribunale del suo Eterno Genitore allegando 1 ignoranza de’ suoi crocifissori, s’impegnò d’impetrargli il perdono dicendo: Pater ignosce illis, non enim sciunt, quid faciunt.
A sciogliersi tutto il testé di sopra ben concertato argomento, conviene per poco portarsi nelle Scuole, per ivi sentirsi essere
1 ignoranza invincibile solamente quella, che a colpa non si puole, perché non si deve imputare; ed esservi nell’azione ignoranza vincibile, quando discernendovisi la colpa, porta seco per conseguenza tutta la pena. I Sebasteni Gentili: gli Officiali: i Soldati dell Imperatore Licinio, e principalmente Agricolao, non avevano scusa da addurre, perché non avevano ignoranza da allegare.
Il Santo Vescovo Biase, più volte predicata l’aveva la vanità degl’idoli: la di loro fallacia; e la Santità, e verità della Cristiana Religione. Sopra due punti adunque si versavano tutte le sue prediche, cioè sopra la superstizione del Gentilesimo, e sopra la verità del Cristianesimo. Intorno al primo, non si richiedevano pruove di sorte alcuna, imperciocché bastava essersi Uomo ragionevole, per conoscersi d’essere ridicola la religione che ammette la pluralità de’ Dei, essendo minore l’Empietà del materialista, che dell’idolatra, per conoscere costui, ciaschedun de’ numi, ricoverto di laidezze. Sicché restavagli di provare il secondo punto, per escludersi ogni dubio, e stabilirsi con fermezza, essere la Religione di Giesù Cristo, vera, Santa, Divina.
Or l’illustre Prelato, a dimostrare, e confermare quanto proposto aveva, non cessava di corrobborare ogni suo detto coll esempla rità della vita, e colla moltitudine de’ miracoli, de quali i Sebasteni tutti, non ne potevano negare l’esistenza, per esserne stati testimoni di vista. Inoltre in Sebaste stessa, tanti, e tanti essendone rimasti illuminati, abbracciata avevano di Giesù Cristo la Legge, ed erano rimasti talmente persuasi della di lei veracità, e santità; che per confessarla, erano stati costanti in soffrire i tormenti tutti, ed anche la morte. Da ciò risulta, che tutti coloro i quali si mantennero nell’errore, vi si mantennero, per propria volontà deliberata, vale a dire con piena cognizione, e non con ignoranza, e dato che con ignoranza: appunto perché vincibile, e propriamente affettata, perciò colpevolissima.
Per rapporto all’esempio prodotto di Giesù Cristo, dir si deve, che laddove si richiede il perdono, ivi si suppone la Colpa, e per conseguenza se i suoi crocifissori fossero stati nella perfetta igno ranza invincibile, non avrebbero peccato, e non avrebbero avuto bisogno di essergli impetrato. Delle parole poi del Divin Redentore, eccone l’interpretazione. Egli faceva l' officio di Avocato, e l'i primi clienti, che gli presentarono dinanzi, i suoi crocifissori furono.
Per difendergli conoscendoli colpevoli: di non vedergli condannati bramando, e non potendogli chiamare innocenti, gli scusò nel miglior modo, che potette; e con sublime sottilissima Metafisica, allegando per essi, disse al Padre, che perdonati gli avesse, imperciocché quantunque nel crocifiggerlo avessero peccato, per averlo conosciuto innocente, anche per contestazione del Preside Pilato, il quale a tale oggetto si lavò le mani pubblicamente; nondimeno non l’avevano conosciuto per quello che era cioè suo unigenito, da lui, eguale a lui della medesima sostanza, sin da tutta l’eternità generato. In una parola, l’avevano conosciuto vero Uomo giusto; ma non erano arrivati a conoscerlo vero Dio.
Garantisce la presente interpretazione l’Apostolo Dottore delle Genti, il quale alludendo all’esposto di sopra, pure disse: Si cognovissent, numquam Dominurrt gloriae crucifixissent. Lo crocifissero però, e peccarono; sì per avere eseguita una ingiusta Sentenza; sì anche pél di loro accanimento.
Ed affinché restasse vieppiù confermato, quanto si è enunciato di sopra, d’essere stata la Cecità de’ Gentili volontaria, ed ogni loro azione peccaminosa, perché fatta con cognizione, e non con ignoranza, dar si deve un’occhiata di nuovo a Biase nel mezzo del lago di Sebaste. Il prodigio in vederlo assiso, in mezzo di quelle acque come nella sua Sede Episcopale, sorpresi tutti aveva; ma non tutti ne avevano concepiti i medesimi Sentimenti. Il Santo con stupore, considerava le maraviglie, che Dio operava pél di lui mezzo, e ricolmo di gioja, ne gli porgeva i più fervorosi ringraziamenti.
I Gentili riflettevano, che tutt’i loro Dei del Cielo, della Terra, delle Acque, dell’inferno, erano stati dissonorati, colla perdita di ottanta di numero loro adoratori, per solo forza delle sue magie, continuando a riputarlo Stregone: ed atteso la loro ostinazione nella cecità, non vollero mai comprendere, che supposto quanto pensavano, sempre ne seguiva, ch’essi Dei, erano sottoposti alle magie del Sebasteno Prelato. I Fedeli poi tutti attoniti, meditavano, quanto Dio è sempre fedele nelle sue promesse, e come anche nella presente vita, premia coi raggi di gloria i Servi suoi, e dà spesso la meritata pena ai scellerati. Da tanto Essi Fedeli, fecero voti di mille volte morire, pél Santissimo nome di Giesù Cristo. I Gentili, desiderj perversi contro i Cristiani di stragge’
crudeltà, e barbarie. Ed il magnanimo Biase, a che pensava? Non ad altro, se non a versar delle lagrime per la conversione de’ Gentili, acciò si fosse finalmente squarciato il velo della loro volontaria perfidia, ed adorato avessero il Divin Redentore.
E stando ancora in mezzo del lago, che continuava ad essere per lui sodo come il marmo, si pose in ginocchio, e fece con tutto il fervore del suo Spirito la sua orazione, protestandosi, che da se, niente risolvere intendeva; ma la Divina Volontà conoscere bramava. Che si fosse degnato, il Signore additamela, pél merito infinito del di lui Divin Figlio; e suo Redentore; non che della Santissima sempre Vergine, e Divina Madre Maria.
Che cara sì gli era egualmente la vita, e la morte; purché però la morte, e la vita, fosse restata consegrata, per la Gloria del suo Santissimo nome: per la Salute eterna dell’Anima propria, e de’ Fedeli; e per l’esaltazione di Santa Chiesa. Finalmente, che essendo Egli ricco nelle Sue Misericordie, specialmente con coloro, che confidano in lui: siccome lo avevano fregiato di tante Grazie, e favori; così lo pregava concedergli il dover finire di vivere solo, per dar Gloria a lui, e di morire in Grazia del suo Divin Figlio Giesù Cristo.
Immantinenti un Angelo discese dal Cielo, e prima circondollo di splendentissima luce, e poi sentir gli fece , eh essendo un Anima grande già a seconda de’ suoi desideri, era stato esaudito da Dio, il quale voleva, che fosse ritornato da quel lago, in potere del perfido Agricolao, poiché in quel giorno, restar doveva perfezionato il suo Sagrificio, e l’Anima sua benedetta occupar doveva quella Sede m Cielo, che Giesù Cristo comprata l’aveva col prezzo del suo Sangue, e ricevere oltre la corona, anche 1 Aureola del Martirio. Ritornossene l’Angelo nell’Empireo, accompagnato dai Sospiri, e desideri del Santo, il quale visto da tutti di luce circondato in piena ubbidienza, armandosi del Segno della Santa Croce, ritorno ne a sponda; e si diede in mano de’ Soldati, che o igarono, e o ricondussero con vilipendi, alla presenza dell iniquo Preside Agricolao.
FINE